LETTERATURA: La mano de Dios – Domenica 22 giugno 198628 Giugno 2009 di Marco Vignolo Gargini Chernobyl Sasha non dovrebbe stare in quel campicello vicino a casa sua a rovistare con la mano sinistra, la mano dei tovarish che solo in questo caso porta inguantata per proteggersi. Non sono passati nemmeno due mesi dall’incidente al reattore. Pur con tutte le precauzioni che ha preso, sta correndo davvero un bel rischio. Però Sasha non si dà pace: proprio in quel punto aveva sotterrato la scatola di latta con dentro tutti i suoi risparmi, e di quei soldi ne ha maledettamente bisogno per andarsene da Chernobyl. In giornata ha avuto da un esperto la notizia che aspettava e sente di non poter più restare. Chi resta è spacciato, chi fugge ha qualche speranza di farcela. Questo momento della sera è l’ideale per lavorare inosservati, e poi di domenica la sorveglianza un po’ latita, anche perché i vigilanti saranno davanti alla tv a guardare la partita, almeno si spera. Solo, in mezzo a un campetto grigio, senza controlli, nel silenzio spettrale di una landa radioattiva dimenticata da Dio e dagli uomini, Sasha, con la sua mano sinistra, ha trovato la scatola di latta… si toglie il guanto, vuole toccare, tastare con le dita nude e se ne frega delle conseguenze. Sorride e piange insieme stringendo l’involucro arrugginito, il passaporto per la sua nuova vita. Domani partirà, come hanno già fatto tanti altri suoi colleghi. Adesso può raggiungere la sorella a Minsk e ricominciare. Sacramento, California Una donna ha partorito. Ha messo al mondo una morettina di nome Lorena Sanchez. È una splendida neonata con i caratteristici lineamenti ispanici. In quale ospedale si trova? A Sacramento in California ce ne sono diversi: Mercy General Hospital, Setter General Hospital, Sierra Vista Hospital, Shriners Hospital, Heritage Oaks Hospital, solo per citarne alcuni. Non so dov’è nata Lorena. So che intanto la donna carezza con la mano sinistra la bella bambina che dorme accoccolata sopra il suo ventre. L’infermiera tra poco la rimetterà nel lettino e finirà questo contatto magico. Le sembra incredibile avere su di sé la creatura che negli ultimi mesi con la stessa mano sinistra cercava di sentire scalciare, muoversi nel suo grembo. Pregusta l’incanto che proverà ben presto attaccando Lorena al seno per l’allattamento… La bambina crescerà, sarà una ragazza bellissima, desiderata, tanto desiderata da diventare una star del cinema porno con oltre 150 pellicole all’attivo… Milano Mi domando quale pensiero, quale immagine lo ha accompagnato prima di chiudere definitivamente gli occhi? Fausto Melotti, ne sono sicuro, ammirava spesso la sua mano sinistra, la ammirava vedendola scorrere sui tasti del pianoforte, o scolpire, levigare il marmo. Adesso tutto è fermo, la multiforme plasticità dell’arte raccolta e prodotta in una lunga vita trascorsa tra Rovereto, Firenze e Milano, giace insieme a lui. Rimangono le sue opere, le ceramiche, le installazioni, le sculture, i disegni, gli scritti. La morte di un artista è un silenzio indefinibile, come quello che segue l’ultimo colpo sparato in una battaglia campale. Cessa di fluire il sangue, non pulsano più le idee, i terrori, le estasi. La creazione e l’annientamento si sopprimono a vicenda nella quiete del decesso. La mano sinistra di Fausto Melotti è immobile, forse intrecciata con l’altra mano, in una postura ricomposta dai coreografi funerari per accontentare l’insensato e discutibile gusto rappresentativo dei viventi. Ma se la tocchi ti accorgi che è diventata fredda come la pietra che lavorava. Pollsmoor Prison in Cape Town Forse Rolihlahla Dalibhunga sta già dormendo nella penombra della sua cella: questo ennesimo sonno senza libertà iniziò nel lontano 1964, ma è il suo sonno insieme al suo pensiero a non conoscere sbarre, manette, privazioni. Nessuno ha mai piegato quest’uomo forte e colto di 68 anni. I capelli di Madiba si sono incanutiti, il vecchio testardo Thembu resiste e continua a sognare la sua terra senza padroni bianchi. Ricorda la visita al College dove andava dell’imbongi, il cantastorie Xhosa Krune Mqhavyi, e le parole pronunciate con fermezza da questo gigante vestito con pelle di leopardo e una lancia in mano: “Non possiamo permettere che questi stranieri che non si curano della nostra cultura si impadroniscano della nostra nazione”. Il cuore di questo eterno bafana batte e scandisce il tempo che nessun orologio potrà mai calcolare. Fa solo un po’ freddo in questa cella e l’uomo che i bianchi chiamano Nelson Mandela si tira addosso la coperta con la mano sinistra… Ciudad de Mexico Nel medesimo istante, in cui Sasha trova la sua scatola di latta, Lorena Sanchez neonata respira sul ventre della madre, Fausto Melotti riposa per sempre e Nelson Mandela forse sta dormendo, dentro il terreno di gioco dell’Estadio Azteca di Città del Messico Maradona avanza nella tre quarti avversaria, salta il mediano Reid, punta il centro dell’area di rigore e infine passa sulla destra a Valdano un pallone che l’attaccante di proprietà del Real Madrid non controlla bene, facendolo impennare. Hodge nel tentativo di respingere invece crossa in mezzo alla propria area e Maradona si fa trovare solo davanti a Shilton, il portierone britannico che tenta invano di contrastare questo folletto. Maradona anticipa il portiere inglese balzando, gli prende il tempo e con la mano sinistra tocca quel tanto la palla per mandarla in rete. L’arbitro tunisino Ben Naceur non si accorge del gol irregolare, respinge le proteste degli inglesi e convalida la marcatura che porta in vantaggio l’Argentina. Dopo quattro minuti la palla: “ahi la tiene Maradona … le marcan dos. Pisa la pelota Maradona. Arranca por la derecha el genio del fíºtbol mundial. Puede tocar para Burruchaga… siempre Maradona … genio, genio, genio… ta, ta, ta, gooool … quiero llorar. Dios santo, viva el futbol… golaaaazooo… Diegooooo! Maradona … es para llorar, perdí³nenmne… Maradona en recorrida memorable, en la jugada de todos los tiempos… barrilete cí³smico… ¿De qué planeta viniste… para dejar en el camino a tanto inglés? … Para que el pais sea un puí±o apretado gritando por Argentina… Argentina 2 Inglaterra 0… Diego Armando Maradona… Gracias, Dios. Por el fíºtbol, por Maradona… por estás lagrimas… por este Argentina 2 Inglaterra 0…”[1]. [1] “ecco, è in possesso di Maradona … lo marcano in due. Pressa la palla Maradona. Avanza verso la destra il genio del calcio mondiale. Può toccare per Burruchaga… sempre Maradona … genio, genio, genio… ta, ta, ta, gooool … voglio piangere. Dio santo, viva il calcio… golaaaazooo… Diegooooo! Maradona … c’è da piangere, perdonatemi… Maradona nella rincorsa memorabile, nella giocata di tutti i tempi… aquilone cosmico… Da quale pianeta sei venuto… per seminare per strada così tanti inglesi? … Perché il paese sia stretto in un pugno a gridare per l’Argentina… Argentina 2 Inghilterra 0… Diego Armando Maradona… Grazie Dio. Per il calcio, per Maradona… per queste lacrime… per questo Argentina 2 Inghilterra 0…”. Dal commento originale del famoso telecronista uruguaiano Victor Hugo Morales: http://www.youtube.com/watch?v=RiYYSradplU&feature=related. Letto 3773 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by Gian Gabriele Benedetti — 28 Giugno 2009 @ 16:23
Quadri originali, dove è rappresentata, attraverso un narrare concreto, sostanzioso, commotivo, una varia umanità, da cui scaturiscono personaggi noti e non, tutti, comunque, ed a loro modo, di eccelsa dignità, di indiscusso spessore e di compenetrazione affettiva. Si ha, attraverso questi vari passaggi, la grande e la piccola storia del nostro tempo, che si rende emblematica e unifica coordinate di vita e mito, per sottrarli all’ipoteca temporale e per ridare spazio soprattutto al valore umano. E la mano sinistra diviene il simbolo di questa storia, in cui l’uomo porge e cerca affetto, carezza il bello, costruisce o indirizza il cammino del mondo stesso, cerca il riscatto dal tormento, dal sopruso, da una vita difficile… No, non è, non può essere la mano del diavolo, la sinistra! È sempre la mano dell’uomo ed ha la sua importanza nel completarlo e caratterizzarlo. Ha la sua nobile funzione e la sua poesia anche quella mano
Gian Gabriele Benedetti
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