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LETTERATURA: Laura Di Simo: “Alla tavola di Mariù e Zvanì. I cibi pascoliani”, Lucca, Pacini Fazzi, 2009

27 Novembre 2009

 di Liliana Di Ponte

Un Giovanni Pascoli in versione più intima e domestica emerge da un libro fresco di stampa, Alla tavola di Mariù e Zvanì. I cibi pascoliani, di Laura Di Simo, che si   presenta come una gradevolissima incursione nel mondo raccolto, ma non per questo chiuso, del poeta, negli anni di Castelvecchio di Barga, dove si ritirò a vivere con la sorella Mariù nel 1895, per rimanervi fino alla fine.

Di Pascoli è nota la passione per la buona tavola, che per lui era tutt’uno con l’amore per la campagna, per i sapori semplici dell’orto, per i cibi genuini, che gli ricordavano le sue origini e l’infanzia. Ma uno dei pregi di quest’opera è nell’amalgama, fatta con mano leggera e competenza (come sanno i veri cuochi), tra le diverse anime che in Pascoli convivevano: il letterato colto e raffinato, la persona riservata che sapeva però coltivare lunghe e fedeli amicizie, l’amante della natura, cantata in tanti versi.

Una vita un po’ appartata nella bella casa (ora Casa/Museo) che chiamava “la bicocca”, da cui Pascoli usciva però volentieri, non per incontri mondani ma per mescolarsi con la gente semplice del luogo, per mangiare nella locale osteria “Zì Meo” o per frequentare gli amici lucchesi, con cui s’incontrava al Caffè “Carluccio” in via Fillungo, ritrovo di intellettuali e artisti, di proprietà di Alfredo Caselli. L’amicizia con quest’ultimo fu duratura, coltivata anche tramite un fitto epistolario, in cui spesso si parlava di vino buono, di biscotti e caramelle (Caselli era artista e droghiere), delle pietanze cucinate da Mariù.

Un altro caro amico fu Gabriele Briganti, direttore della Biblioteca Governativa di Lucca, anche lui frequentatore del Caffè Caselli e di molti incontri conviviali, per il quale scrisse   una delle più belle liriche, “Il gelsomino notturno”, come imeneo per le sue nozze.

Il cibo, dunque, è una presenza discreta ma costante sia nella quotidianità del poeta che nella sua produzione letteraria, tanto che dai suoi versi spesso si possono ricavare vere e proprie ricette.

Al riguardo, Laura Di Simo rileva, da un’analisi più approfondita dei testi, uno stretto legame tra il gusto della cucina e la ricerca linguistica. Pascoli infatti adotta con naturalezza, nei suoi scritti, i vocaboli contadini – cruschello, cavolo cappuccio, buzzo, gallinelle – e gli attrezzi domestici – stacci, testi, coli, testi, laveggi – di uso comune in cucina. Di conseguenza, dice Di Simo, “Risulta evidente quindi che sia i piatti tipici che gli attrezzi, testimonianze   della civiltà contadina di fine ottocento rientrano a pieno titolo in quella poetica delle piccole cose che percorre l’intera produzione pascoliana”.

A conferma di questo intreccio, nel libro compaiono sia le liriche e i testi in cui il poeta parla di pietanze e di prodotti dell’orto, sia vere e proprie ricette dei piatti della tradizione locale, in uso tuttora, ricavate dalle sue stesse pagine o tratte da manuali di cucina, di alto profilo come l’Artusi, o di impianto più domestico.

Alcune immagini d’epoca dei personaggi e dei luoghi citati completano l’opera, che si offre dunque come una bella passeggiata (non a caso è inserita nella collana Appunti di viaggio) tra temi letterari, poesie, ambienti rurali e cittadini, curiosità storiche e, non da ultimo, ricette da mettere subito in pratica, magari per evocare, in casa propria, un po’ di atmosfera pascoliana.
                                                                                                                                                                                                                     

Laura Di Simo, Alla tavola di Mariù e Zvanì. I cibi pascoliani, Lucca, Pacini Fazzi, 2009, pp. 79, € 7,00.


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3 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 27 Novembre 2009 @ 20:21

    Un bel libro e soprattutto una giusta intuizione dell’Autrice. Si chiedeva un critico letterario di Milano: “ma perchè nei romanzi dei nuovi autori non c’è mai il cibo? possibile che questi personaggi di fine 900 non mangino mai?”

    Non  banale la cosa, ma il gran critico ometteva di citare, non so se per invidia da vendite e successo o supponenza, un certo Camilleri, che a Milano e nei suoi ambienti editoriali non è molto amato. E se si parla dello scrittore sicialiano e della sua propensione   a descrivere i primi piatti, gli intingoli di pesce e gli arancini di Montalbamo, il pensiero poi corre a Manuel Vasquez Montalban, il grande giallista catalano che era un cult in quanto a  ricette culinarie del suo eroe.
    E dunque, io che ho  ascoltato commosso e stupito  quel suono,  Zvanì,   la voce sottile e amorosa che sovviene al poeta sul far della sera (mescolo due liriche insieme) , e considerato Pascoli un  precursore del 900 ( lo è anche Carducci, oh yes, andate a leggere certe odi   in cui si  rinvengono alcuni spiriti  catramosi del  900)    io, dicevo, non posso che plaudire all’uscita di questo libro, che coglie   nel segno e rimanda ai suoni di mie corde di dentro. Quei suoni mi sembrano canti di culla/ che fanno ch’io torni com’era/sentivo mia madre… poi nulla…/ sul far della sera.

     

  2. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 27 Novembre 2009 @ 21:50

    Vorrei ricordare che frequenti erano le visite del Pascoli all'”Osteria del Platano” (tuttora esistente), dove si riuniva con amici, per gustare, tra l’altro, la trota pescata nel luogo e per sorseggiare il buon vino dei poggi, ben esposti al sole, di Castelvecchio, dell’attuale “Ciocco” e di Albiano.

    Al Pascoli piacevano i prodotti genuini, che gli forniva anche e soprattutto il suo contadino Zi’ Meo

    Gian Gabriele Benedetti

  3. Pingback by Bartolomeo Di Monaco » LETTERATURA: Laura Di Simo: “Alla tavola di … — 27 Novembre 2009 @ 23:07

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