Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

LETTERATURA: Marco De Carolis: “Vorrei raccontarti”, Alberto Cane editore

13 Giugno 2008

di Francesco Improta

Prima di recensire questo delizioso libretto di poesie, pubblicato con molto gusto ed eleganza dalla Vanitas di Alberto Cane, anche io, riecheggiando il titolo del libro, vorrei raccontarvi qualcosa sul suo autore. Marco De Carolis, professore di lettere, è attivo e operante da una ventina d’anni nell’ambiente culturale e letterario dell’estremo lembo della Riviera di Ponente. Originario di Arma di Taggia ha già pubblicato alcune cose in versi e in prosa e ha collaborato a diverse iniziative e mani ­festazioni culturali. Accanto a questi impegni, oserei dire, pub ­blici c’è stato e c’è tuttora l’esercizio costante della poesia e la frequentazione assidua e proficua di alcuni tra gli scrittori più qualificati di questa feconda terra ligure: Francesco Biamonti, Nico Orengo, Sandra Reberschak, liguri questi ultimi due solo di adozione, Ivan Arnaldi e Giuseppe Conte. Ed è stata proprio la comune frequentazione di Biamonti prima e di Orengo poi che ci ha consentito di conoscerci e di stringere rapporti di amicizia e di stima reciproca.
Chi mi conosce sa, però, che non scriverei mai di un libro che non mi abbia veramente colpito e convinto per cui la mia pre ­senza qui non è dettata solo dai sensi di un’amicizia ormai decennale ma dall’apprezzamento sincero del libro e dei suoi contenuti.
C’è in Marco de Carolis una fisiologica, irresistibile pre ­disposizione alla versificazione che trova nelle pagine di questo libretto o alfabetiere, come lo definisce Nico Orengo nella sua bella e compendiosa prefazione, la possibilità di esprimersi e definirsi nel modo più tradizionale ma anche più rivoluzionario possibile attraverso, cioè, canti, immagini e figure d’amore.
È l’amore, infatti, come si evince pure dal bellissimo esergo tratto da Neruda (non c’è primo volume senza donne:/ i libri si scrivono con i baci.), che fa da protagonista assoluto in questo breve canzoniere, composto da 21 componimenti, quante sono le lettere dell’alfabeto, più un congedo; un amore che non ri ­scatta e non consola dalle pene del vivere in quanto è esso stes ­so una pena, una ferita e per giunta immedicabile perché non può essere metabolizzato e rimane come sordo persistente do ­lore, nel cuore e sottopelle. Marco, però, rifiuta i toni dram ­matici e le lusinghe del pianto e della disperazione e predilige cadenze, misure e ritmi elegiaci. Da qui la presenza e l’im ­portanza della memoria che recupera dai propri scaffali, insieme al senso della fugacità del tempo e della irrimediabile caducità di tutte le cose, sguardi e colori, voci e odori, attese e delusioni. Dice Orengo giustamente nella prefazione: “sono versi scritti dopo“, quando l’amore, ormai diventato ricordo, si fa più tenace e vivo di quanto non fosse nella quotidianità, nella ripetitività, cioè, dei gesti e delle parole che ne nascondono probabilmente la malia e la virtù vivificante. La vera misura dell’amore, del resto dice qualcuno (J. Winterson), è l’assenza, la perdita, la mancanza; solo allora, infatti, riusciamo a coglierne tutta l’inten ­sità, la profondità e la vertigine. Ci dibattiamo annaspando per ­ché ci manca l’ossigeno. E di questo ossigeno Marco ha un bisogno fisiologico.
La geografia di questi componimenti è facilmente riconoscibile; ci si muove tra Sanremo e Arma di Taggia in un paesaggio familiare e circoscritto che si specchia, però, costantemente nel mare e ancor più nel cielo acquistando dimensioni più ampie e indefinite. Del resto anche a livello temporale solo due com ­ponimenti, il diciottesimo e il ventesimo, o meglio ancora quelli che corrispondono alle lettere “T” e “V”, offrono un riferimento cronologico preciso ed esplicito “Era d’Ottobre“, né ciò può me ­ravigliarci dal momento che ottobre è, per antonomasia, il mese della mestizia, quando tutto dai colori della natura, alle foglie stridule che ricoprono come un tappeto le strade alberate e i viali dei parchi, agli odori che si percepiscono nell’aria, tutto dicevamo cospira a suggerirci il senso del transito, del trapasso da una stagione operosa, allegra e festosa a quella del sonno, della tristezza e del letargo. Lentamente ma inesorabilmente tutto trascorre via: nel caso di De Carolis un amore e un’ami ­cizia altrettanto importante e sentita. Per il resto dei componi ­menti, invece, ci si muove in quell’aura senza tempo che è propria dei sognatori e dei nostalgici.
Il quarto componimento, quello che corrisponde alla lettera “D“, può essere letto come una vera e propria dichiarazione di poetica da cui traspare non solo la fedeltà a un’idea, l’amore, ma anche il ruolo della memoria che ne raccoglie, inscatola e occulta figure, immagini ed emozioni per poi liberarle, dietro le sollecitazioni più diverse, depurate e alleggerite. C’è inoltre la volontà di raccontarsi e di raccontare, in uno stile colloquiale e discorsivo, non fatti, esperienze o semplici episodi ma vaghe sensazioni, svolazzi, movimenti sinuosi ciò che Barthes ha definito in un’opera bellissima che tutti, almeno una volta, dovrebbero leggere “Frammenti di un discorso amoroso“. Né la citazione è fuori posto perché i componimenti di Marco risen ­tono della cultura e della sensibilità francese e non potrebbe essere diversamente per chi scrive versi e, come noi, vive ai confini con la Francia, in una realtà bilingue. Ci sono, infatti, e si avvertono chiaramente echi e reminiscenze del grande Prevert e del meno conosciuto ma non per questo meno interessante Delerm, autore tra l’altro di “Innamorati a Parigi“, soprattutto in “Idillio per B.” dove non solo si respira l’aria dei bistrò e dei boulevard parigini ma c’è un riferimento esplicito, laddove si parla di calze di seta, di gambe inguainate e di armonia del mondo, al regista d’oltralpe che più e meglio degli altri ha saputo cantare l’amore F. Truffaut; senza contare che la musa ispiratrice del libretto in un altro componimento viene definita “… di bellezza francese, un po’ nervosa “.
Discorsività, leggerezza e trasparenza sono questi i caratteri distintivi della poesia di De Carolis e in questa dimensione di tenue sospensione i sogni affidati “a un palmo di stellesono restituiti dalle maree” e le cose, anche quelle in apparenza più concrete, più corpose vengono smaterializzate, si sottraggono quasi alla forza di gravità e sembrano galleggiare nell’aria, pen ­so alla tristezza della gru su cui si posano leggeri i gabbiani, al tetto di ardesia e alle scale di marmo che la carezza di una suola trasforma in un soffice tappeto. Gli altri oggetti di questo suo mondo nostalgico e onirico sono la luna, più confidente che complice, le pietre viste come grani di un rosario, un oste dalla graziosa pinguedine che segnala precisi, inconfondibili scenari, gli ulivi e i cipressi elementi di un paesaggio freddo e piovoso dove l’unica nota di colore sono le mimose, omaggio probabil ­mente al mai troppo rimpianto Francesco Biamonti, la cui figu ­ra, anche se a torto, è stata sempre associata a questi effimeri fiori.
Prima di concludere vorrei sottolineare che questo libretto dall’elegante veste tipografica, è impreziosito da sei splendidi disegni di Ugo Giletta che non hanno una funzione esornativa ma sono parte integrante dell’opera e che per la loro bellezza e per la loro straordinaria aderenza ai testi finiscono con il trasformare la raccolta in un felice e originale esempio di poesia visiva. Penso in particolare all’ultimo disegno, preposto al componimento “Era d’ottobre“, dove su un uliveto tratteggiato in basso si innalzano un volto sfumato, diafano di donna, sa ­rebbe preferibile dire madonna nell’accezione originaria del termine, e due occhi blu, profondi come il mare, quelli, cioè, di Francesco Biamonti. E infatti la poesia che segue parla della fine di un amore e della scomparsa di un caro amico oltre che straordinario scrittore. Infine vorrei ricordare la conclusione della prefazione di Nico Orengo “… bianca come un’alba” perché oltre a essere una suggestiva comparazione e oserei dire una raffinata tautologia offre, a mio avviso, diverse chiavi di lettura e precise indicazioni per vedere con chiarezza attraverso le nebbie dei ricordi e per muoversi meglio attraverso le maglie di questi componimenti. Bianca è infatti la pagina da riempire di segni, parole, immagini ed emozioni; bianchi sono dette, per rimanere nell’ambito metalinguistico, le cadenze spazio-visive, che sottolineano differenti emozioni e di conseguenza differenti frequenze cardiache, ma bianco è anche sinonimo di innocenza perduta e rimpianta, di una verginità sentimentale difficile da recuperare ma sempre agognata e infine Bianca può essere an ­che un nome di persona, come lascerebbe intendere il componi ­mento intitolato Idillio per B.    


Letto 4813 volte.


1 commento

  1. Commento by marco de carolis — 18 Settembre 2010 @ 12:57

    Bene, visto che non lo ha ha ancora fatto alcuno, lo faccio io: grande recensione, professore. Grazie.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart