LETTERATURA: Marino Magliani: “L’estate dopo Marengo” (2003), Philobiblon edizioni
27 Dicembre 2007
di Bartolomeo Di Monaco
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Il romanzo è del 2003 e precede dunque gli altri due che hanno fatto conoscere ad un pubblico più vasto, grazie all’editore Sironi e al fiuto di Giulio Mozzi, questo scrittore che si richiama alle migliori tradizioni della narrativa ligure: “Quattro giorni per non morire” del 2006, e “Il collezionista di tempo” del 2007.
Il dottor Johan Cornelius Zomer, olandese di Haarlem con studi regolari in Francia, a Tours, ha prestato servizio nell’armata di Napoleone Bonaparte, e ha preso parte alle battaglie di Akkon, Jaffa e Abukir dove i francesi hanno subito delle dure perdite e registrato numerose diserzioni. Napoleone nomina una commissione d’inchiesta, di cui fa parte Zomer, il quale cerca di convincere i colleghi che la causa della demoralizzazione delle truppe francesi risiede in una sostanza stupefacente di cui hanno fatto uso, il teriaki, conosciuta in Europa con il nome di hascisc.
Il corpulento e giovane dottor Zomer, “basso e tarchiato, dalla lunga capigliatura sciolta”, “dai movimenti goffi”, tuttavia, non è preso sul serio dai colleghi e questa sua condizione di “sconosciuto di sempre” lo prostra e immalinconisce: “L’indifferenza era sempre stata per Zomer la più umiliante delle offese.”
Alcuni documenti ritrovati, consentono al narratore di ricostruire i fatti, tornando all’anno prima, il 1799, che riguardano il soldato Gilbert, il sottotenente Silvestre e il capitano Leduc, carichi di hascisc e partiti dal continente africano con la nave a fianco della quale naviga anche la fregata Muiron su cui è imbarcato il generale Bonaparte, entrambe alla volta di Tolone, da cui poi si muoveranno alla volta dell’Italia per liberarla dagli austriaci. Il dottor Zomer faciliterà la loro diserzione, in modo da studiare il loro comportamento conseguente all’assunzione dell’hascisc e quindi dimostrare la validità della sua teoria.
È una scrittura netta e precisa quella che ci accompagnerà nella storia. Si ha subito la sensazione del dominio degli strumenti narrativi. Gli ambienti sanno suggestionare e coinvolgerci.
Zomer è presente anche lui alla campagna d’Italia, e uno dei suoi obiettivi è proprio quello di vigilare sui movimenti dei “nostri veterani di Abukir”, ossia i tre citati personaggi implicati nell’uso e nel commercio di hascisc: “Sarebbe un po’ il sogno di tutti disertare.”; “Stanotte, se sarà ancora in vita, Gilbert striscerà tra i cadaveri e frugherà loro nelle tasche.” Siamo alla battaglia nei pressi del villaggio di Ventolina.
La narrazione segue accuratamente, con nomi e luoghi, il filo della Storia, riportando il lettore a rivivere le pagine memorabili che videro Bonaparte coprirsi di gloria e salire i gradini di una fama che l’avrebbe coronato presto a protagonista assoluto di quegli anni.
La struttura in capitoli brevi, come pure le lettere di Zomer, e alcune pagine del suo diario, consentono una lettura articolata e limpida.
La battaglia sembra volgersi al peggio per i francesi. Taluni fuggono di fronte alla massiccia e straripante avanzata del nemico. Bonaparte tenta inutilmente di fermare la fuga. Anche i nostri tre personaggi “al tramonto sono disertori.” Vorrebbero imbarcarsi a Porto Maurizio clandestinamente e tornare in Africa. Ma Napoleone ha mosso bene le sue pedine e “La battaglia che alle cinque era persa alle sette è vinta.”
È la vittoria di Marengo. I tre in fuga temono l’arrivo della “polizia segreta in cerca dei disertori”. Attraversano valloni e paludi, sempre alle prese con la paura. Il capitano Leduc, nelle soste, legge sempre le stesse lettere che porta gelosamente con sé. Provengono da Porto Maurizio. Quale storia lo lega ad esse?, si domandano i due compagni.
L’attenzione del narratore è tutta per loro. Ci domandiamo se riusciranno nella fuga, quale segreto nasconde Leduc, e che cosa saprà ricavare il dottor Zomer da questa loro esperienza legata all’hascisc. Zomer li fa pedinare a distanza dal suo assistente, Victor Pangloss.
La fuga è anche l’occasione per segnare una differenza tra la guerra e la natura, nella quale i tre disertori sempre più si immergono, inconsapevolmente nutriti e sostenuti dalla sua selvaggia bellezza. Pietraie, boschi, torrenti, campi coltivati al ritmo di una immutabile civiltà contadina, s’insinuano nel loro animo occupando uno spazio che restringe a poco a poco quello della guerra. Non v’è dubbio che una trasformazione incombe su di loro, pur nel torpore che l’assunzione dell’hascisc procura alla loro mente, come se una forza inarrestabile, assai più della fuga li allontanasse dalla guerra. Osservando con il cannocchiale dei contadini al lavoro nei campi, Silvestre pensa: “Ecco, vivere come loro, senza hascisc, senza dover scappare, senza respirare questa morte, paura, angoscia, sogni maledetti…”
È un cammino puntiglioso, come lo sono i giorni della nostra vita. La fuga è  una metafora della vita, dunque. Lo scorrere del tempo e le minute azioni s’impregnano di significato allo stesso modo che la vita si impregna del significato della morte.
Si hanno notizie di una epidemia di tifo che infesta l’Europa. Leduc tossisce e sputa sangue, si è molto indebolito. C’è aria di morte intorno a loro. Quando sono davanti al paese di Diano, Leduc manda Gilbert in avanscoperta, poi al suo ritorno, ricevute informazioni da lui, scende a sua volta per ritornare con una bisaccia carica di ogni ben di Dio. Un’illusione? Uno sprazzo di speranza che cerca di illuminare le follie del destino riservato agli uomini?
È la storia di un fallimento collettivo, che l’autore ci fa centellinare per accrescere via via la nostra curiosità .
La vita, sembra dirci, ha come fine la cancellazione dei sogni e il loro annientamento nella delusione, e infine nella morte.
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