LETTERATURA: MUSICA: I MAESTRI: Rossini a Bologna2 Ottobre 2013 di Riccardo Bacchelli Poco tempo fa, a Bologna » discorrendo di Rossini e della città diletta e poi detestata ebbi a dire che fu un odio di quel genere che origina dall’affetto ed è l’opposta fac cia dell’amore stravolto. L’ipersensibilità rossiniana che dal 1829 in Parigi e dal ’36 in Bologna s’era venuta facendo tormentosa e morbo sa, spasmodica e patologica nell’insofferenza d’ogni uma na emozione affettiva, d’ogni morale e intellettuale e fisico turbamento, e nell’avversione anche fisiologica e allucinan te, non pure alla musica ma alle note. L’artista già lucido e sano per eccellenza era di ventato un uomo ammalato, e, per più di tormento, am malato in ciò e per ciò ch’era stata la sua vocazione, la sua forza, l’esser suo di creatore artistico. La tremenda e stu penda fatica di un’opera mi rabile per quantità, qualità, varietà, e per l’originale e originaria spontaneità e natu ralità della vena da cui eran nati i suoi capolavori in ogni genere musicale e teatrale, pervenuta al sommo e all’esau dimento suo culminante, esau dita nell’artista, nell’uomo si manifestava esausta, esaurita, inconsolabilmente ed implaca bilmente: in una stanchezza da settimo giorno di artistica creazione; stanchezza senza ri poso e senza requie, inguaribile di tormentosa impotenza anche a riposare. Essa era cominciata a Pa rigi nel ’29, cioè dopo il Gu glielmo Tell; a Bologna, dal ’36, s’era aggravata e inasprita: nel ’54 in Firenze, dopo la fuga sgomenta e il furioso ripudio bolognese, toccava il punto critico di una qualifi cata nevrastenia, con fobie, manie, fissazioni, angoscie os sessive e vergogna e rimorsi e disperazioni. Tanto costava al fisico la spirituale privazione dell’ineffabile felicità dell’ispirazione.
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Per la storia, superata la crisi acuta, nel ’55 espatriato in Francia, guarì, come si guarisce di cotesti mali, ossia venendo a cauta e cautelosa composizione con essi, evasiva, reticente, semmai ironi ca: quella ch’egli adottò, nel la sua vecchiaia parigina, verso la musica e specialmente la propria, verso il mondo mo derno e l’Italia e specialmente Bologna, a cui probabilmen te non pensò più e, semmai, cercò di pensarci il meno possibile per le tante e tanto patetiche memorie che gli destava. Fra queste c’erano i ricordi dell’adolescenza e della prima giovinezza, povere, laboriose, studiose, che l’avevan fatto bolognese non pur di adozione, ma di abitudine e gusto e dialetto, mentre i cit tadini modi civili ed affabili e colti, l’avevano indotto ad eleggervi la sua dimora per gli anni che aveva sperato di riposo e ristoro e quiete, do po la rinuncia alla musica. Bologna dunque, per quanto la sua carriera operistica fos se stata veneziana e milane se, napoletana e romana, pa rigina finalmente, assai più che bolognese, Bologna era stata la città dei suoi studi ed esordi di musicista e di operista. Infatti il suo non del tutto immotivato sgomento nel sen tirsi gridare austriacante illi berale ed antipatriota nei più fervidi e tumultuari giorni del ’48, e il suo del tutto ecces sivo ed esagerato sdegno nel ’51, fanno pur pensare a un latente malumore e rancore precedenti. Che ci fosse, e di che ge nere e origine, ne dà spia, fra le molte invettive ed ingiurie non altro che rabbio se, ingiuriose, sarcastiche, una ironia, quando ebbe a qualifi car « classica » Bologna, anzi, e proprio in regime di occupazione austriaca restaurati va, « più classica del solito ». E’ uno scherno, cui non vale, a giustificarlo, il fatto che se egli non aveva partecipato degli entusiasmi e delle illusioni quarantottesche, in ciò aveva avuto criterio di pur lucido discernimento realistico: uno scherno alla città dotta per antonomasia, al suo stile e spirito non romantici: ma avviene di sospettarvi un significato polemico meno incerto e men generico, pen sando che insomma il maestro suo di composizione era stato il severo, arcigno, dogmatico, e, com’egli ebbe a descriver lo, più che laconico, addirit tura taciturno Padre Mattei, depositario musicale di una tradizione dottrinaria rigoro sa e rigoristica e misoneisti ca, bolognese fin dalla infelicissima polemica dell’Artusi contro Claudio Monteverdi. E Mattei aveva chiamato il giovine allievo « disonore » della sua scuola, eppoi, e peggio, con magisteriale in generosità e magistrale gran chio a secco, aveva commen tato il successo dell’Italiana in Algeri, sentenziando che Gioacchino aveva « vuotato il sacco ». Del resto, l’opinione e la critica seria e seriosa rimase per lo più retriva e ritarda taria lungo tutta la carriera di lui nel « buffo » farsesco, nel « comico » e specialmente nell’« opera seria », che dal giovanile incanto del pateti co Tancredi alla epica gran dezza del Tell, si affermò e si svolse, non senza contra sti, disavventure, fatiche, tra vagli. Ma, stando al caso, il sarcastico epiteto di « classi ca », sinonimo di pedantesca e accademica e sussiegosa, denota che qualcosa di quella tradizione e d’un’opinione e umore non favorevoli nei suoi riguardi, gli fosse trapelato dal chiuso ambiente bolognese musicale dotto e dottrinale. E Rossini, intelletto di rara e ammirevole lucidità e consa pevolezza critica, quale si di mostra nell’opera sua e nel suo sviluppo e nel suo stile e linguaggio, alle critiche sen sibile fin morbosamente, era attento agli umori e alle opi nioni tanto che, per esem pio, al mezzo successo del Gu glielmo Tell all’« Opéra » in Parigi, aveva rifiutato di com parire alla ribalta per ringra ziare il pubblico dei suoi ap plausi di stima. Al mezzo suc cesso della prima, era seguito in Francia un insuccesso piut tosto lamentevole, mentre in Italia fra gli stessi rossiniani, anzi fra i più entusiastici, si diffondeva l’accusa ch’egli, espatriando, si fosse artisti camente trasgredito. L’avran detto anche a Bologna, ripren dendo, vedi caso, la vecchia critica che allo scolaro, al l’esordiente, aveva messo il so prannome di « tedeschino ».
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Sono ipotesi, ma è certo che se lo sgomento e l’avversione furono, non che eccessivi, an che esagerati, alle varie ragioni del fatto può ben aggiungersi il sospetto di una inveterata, latente e magari inconscia, animosità di Rossini verso Bo logna. Considerando, all’incontro, il futuro, in Bologna veniva preparandosi e maturando una disposizione innovatrice e fa vorevole alle innovazioni, ne cessaria a quell’apertura intel lettuale e polemica rottura da cui esplose la passione bolo gnese per Wagner e in cui nacque il colto amore citta dino per la grande musica ro mantica da concerto. Ma che di quella disposizione abbia avuto sentore o sospetto il Rossini, dispettoso e affettato e doglioso misoneista, sarca stico, non si può, credo, do cumentare. D’altronde, e all’opposto, chi si diletti a immaginare un color locale, un ambiente ci vico, un umore, un’architettu ra conformi, originariamente, al Barbiere rossiniano, ri corderà che questo ebbe non per caso interpreti primi e ge niali, anzi congeniali, una Ro sina e un Figaro, la Giorgi Righetti e lo Zamboni, ambe due bolognesi, mentre l’Almaviva Garcia, spagnoleggiando, contribuì allo storico fiasco del 20 febbraio 1816 al teatro di Torre Argentina in Roma. Ma c’è dell’altro, perché se uno prende gusto a un simile im maginar bologneggiando, vede una fuga di quei meravigliosi portici, e comparire da dietro una colonna con un mezzo scambietto, chitarreggiando., il gaio, lo « svelto » Figaro del bellissimo libretto; scorge sot to gli archi passeggiare Don Basilio solfeggiando e batten do il tempo con magistrale ed ipocrito sussiego: la finestra con la « gelosia » da dietro la quale si sentirà la voce di Rosina, dà su una piazzetta o su un trivio, dove il serenatante Almaviva avrà raccolto un coretto di scanzonati, buone voci d’osteria e di stra da, anzi di porticato « petro niano »; eppoi, nell’esosa e amara grinta di Don Bartolo apparirà in trapelo la ma schera prettamente bolognese e universitaria, dell’irascibile e dottorale Balanzone. Uno dei valori dell’incom parabile Barbiere rossiniano proviene dall’avere ricavato dalla Commedia dell’Arte partiti e figure e effetti d’una semplicità e vitalità e comicità di significato ed efficacia uni versali e immediatissimi. E così, in quell’aria e stile d’umore e color locale, e nella bellezza poetica dell’opera ge niale, Rossini e Bologna si son riconciliati, han fatto pace in immortalità. Letto 2529 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||