LETTERATURA: Percorso politico-letterario de La Voce
20 Marzo 2009
di Carmelo Alberti
Fra le riviste letterarie dei primi decenni del Novecento Italiano, un ruolo importante nella vita culturale fu svolto da “La Voce”, sia per lo spessore dei suoi collaboratori che per il complesso delle differenti impostazioni e orien tamenti, durante la durata della sua intensa attività, che confluiscono sulle sue pagine, particolarmente nella prima fase della fondazione, nel novembre del 1908, ad opera di Giuseppe Prezzolini fino al 1911.
Come scrive lo stesso Prezzolini, in un’analisi retrospettiva, il periodico che all’inizio esce in 4 pagine con scadenza settimanale, tra i punti fondamen tali del suo programma si propose “l’antipatia per la retorica, il disprezzo per la pedanteria, la stima della semplicità, la prevalenza del sostantivo sull’ag gettivo e del verbo attivo sull’esclamativo, la preferenza per il fatto anziché per la fantasia.
Pur non essendo, sul piano filosofico, idealista, la rivista riscuote il con senso di Croce che ritiene i vociani responsabili e seri operatori della cultura in quanto lontani dal nazionalismo e dall’irrazionalismo che caratterizzano le altre riviste fiorentine contemporanee.
Nella redazione, oltre a Prezzolini, si ritrovano anche Giovanni Papini e Ardengo Soffici, provenienti dall’esperienza del “Leonardo”, il modernista Murri, i socialdemocratici Giovanni Amendola, Gaetano Salvemini e lo scrit tore Scipio Slataper, figure di primo piano intellettuale, accomunati da una sentimento di insoddisfazione verso l’Italia del periodo, dilaniata da effer vescenze nazionaliste, questione meridionale e questione operaia, i problemi relativi al diritto all’istruzione, al diritto di voto, al problema del divorzio, insomma da una vasta gamma di drammatiche tensioni sociali e da allarmanti questioni economiche, che, sul piano politico venivano captate dal consolidar si di un capitalismo arrogante e dal germoglio di un socialismo attivo e orga nizzato che Giolitti cercava di neutralizzare con l’asettica politica del “lasciar fare”, consapevole della resa finale del proletariato, dinnanzi alla realtà della fame incalzante, a causa degli scioperi, dei licenziamenti e della disoccupa zione. Dopo quasi mezzo secolo dall’Unità, l’Italia appariva ancora come un corpo nudo, traboccante di malesseri sociali, civili e spirituali.
In tale contesto, l’idea di fondare una rivista come “La Voce”, nacque in Prezzolini come d’istinto, quasi un’illuminazione mentre, come racconta nell“Italia inutile”, con il pittore Griglia, compie un viaggio da Bulciano alla Verna e alla Consuma, a piedi, per andare ad incontrare la moglie nel Cosentino.
Dalla conversazione emerge la necessità di un “racconto” dell’elenco del le infermità che affliggevano l’Italia e l’uomo di quel tempo, l’espressione dell’indignazione per le squallide mediocrità di una classe dirigente e di un Paese, indegno del suo passato e di ciò che accadeva oltreoceano.
“La Voce”, continua Prezzolini, nacque con un intenso desiderio di tutti quelli che vi parteciparono più intimamente, della verità. Eravamo di fede diversa e di parti diverse e di speranze diverse . Ma una cosa ci univa, il culto della verità. La vita italiana, la poesia italiana, la filosofia italiana ci parevano mancare di verità.
Nell’editoriale Prezzolini affermava: “Non promettiamo di essere dei geni, di sviscerare il mistero del mondo, ma di essere onesti e sinceri”.
Nel manifesto-programma, in quarta pagina del primo numero, si legge: “Oggi uomini celebri e ignoti, adulti e giovanissimi, di idee, di comporta mento, di cultura differente, vogliono aiutare l’iniziativa di questa rivista con l’intento comune della sincerità nel pensiero e nella brevità dell’espressione. Al commento delle scritture e bozze dei nostri tempi, sarà unita la discussione spregiudicata delle più importanti questioni, da quelle sociali e quelle filosofi che, da quelle pedagogiche e quelle religiose”.
Il settimanale escluse d’occuparsi di poesia e di narrativa e tardò ad occu parsi di critica letteraria. Sono le scuole e le biblioteche a interessare i vociani esperti di letteratura, non i libri nuovi. Ma Prezzolini preferiva il non-interven to. Era difficile fare un bilancio concreto della nuova letteratura, anche per la presenza di Croce che agiva da filtro per formulare giudizi sicuri, a causa delle sue convinzioni estetiche, concentrate sull’indefinito e sul dubbio discutibile.
Ciò consentì di offrire maggiore spazio alla critica di costume, di idee, ad argomenti storici, morali o politici.
L’indagine sulla realtà sociale diventa l’obiettivo principale della rivista, che affronta anche la questione dell’irredentismo e del modernismo , proble matiche letterarie e problemi europei, dal terremoto di Messina, alla tematica meridionalistica, cui è dedicato l’intero numero del 16 marzo 1911, con scritti di Fortunato, Einaudi, Nitti, Salvemini e altri; entrano, anche, per la prima vol ta, la conoscenza della teoria freudiana sulla sessualità parentale di Assagiali.
Trovò spazio, come si è accennato, anche la prosecuzione dell’analisi del Modernismo per una riforma cattolica che, già dibattuto su “Rinnovamento”, era stato condannato dalla Chiesa. Su “La Voce” il problema riaffiora in un’ot tica conciliante, tesa ad una interpretazione della cultura e della letteratura di riunificazione sociale, in un clima di libero sentimento religioso. A proposi to, Salvatore Minocchi il 12 maggio 1910 sostiene la necessità di integrare la coscienza religiosa con quella sociale, secondo l’antico insegnamento del Cristianesimo, e attribuiva la decadenza del moderno cattolicesimo alla sepa razione tra coscienza religiosa e coscienza ecclesiastica.
Contrasti di opinione ideologici, rancori personali o interpretazioni dif formi della realtà, si integravano e pianificavano nell’esigenza della ricerca della verità.
Le ragioni diverse diventano necessità di convergenza spirituale di fronte al disinganno storico. È l”‘idealismo vociano”, aperto alle esigenze del con creto realismo e nell’atto di negare un’Italia sopraffatta da molteplici carenze, contraddizioni e infinità sociali; in realtà si avvertiva dolorosamente il biso gno di un’Italia nuova, a cui i vociani, attraverso una diversificata molteplicità di voci, cercavano di dare una risposta.
In campo artistico, Soffici presenta i maestri dell’Impressionismo.
Il musicista Federico Pizzetti affronta le nuove problematiche della mu sica contemporanea.
La cultura crociana si contrappone all’accademismo dei cattedratici, defi niti per la prima volta “baroni universitari”.
Quando vengono affrontati temi importanti, la critica li affronta con una visione morale e ragionata unitaria.
I contrasti partitici e ideologici dei vari collaboratori dalle più disparate provenienze, dai cattolici, ai socialisti marxisti, ai liberali o ai riformisti, ai sindacalisti rivoluzionari, ai conservatori o ai nazionalisti, non si trasformaro no in caos, o in precari eclettismi, o in contrasti aperti, (neppure quando viene affrontato il tema del divorzio) ma persistono nel loro rigore analitico, senza frizioni evidenti ma con suggerimenti critici, utili a soluzioni unitarie.
L’impegno nell’analisi di tanti aspetti concreti della realtà italiana diventa una sorta di dialogo con il Paese nella sua complessità.
Una convergenza su una coscienza gratificata si ritrova in Prezzolini, Salvemini, Anzillotti, Ambrosiani e Slataper, anche se Papini oscilla tra inter venti personali e talvolta impetuosi, particolarmente quando giudica il giorna le come un’esperienza irrazionale e poetico-istintiva, quasi una sorta di celato idillio tra le forze della cultura e la brutale condizione politica italiana.
Nonostante le sue intemperanze egli è disposto a ricercare “ciò che esor bita dalle idee correnti, e dalla sensibilità abituale. Ciò lo accosta a Soffici, aperto ad avvertire ogni progressiva evoluzione artistica, dall’arte di Rimbaud agli impressionisti, all’immediatezza creativa.
Il principio della convivenza, nella prima Voce, trasforma la coerenza ide ologica di ciascun scrittore nella necessità di concreta simbiosi interpretativa, fra diversi modi di sentire la realtà, assumendo posizioni antidannunziane sul piano culturale. Negli anni fra il 1911 e il 1914 avviene la frattura nell’ambito della redazione.
Sulla guerra italo-turca per il possesso della Libia scoppiata nel 1911, La Voce si schiera contro l’impresa; ma quando si delinea il successo italiano, Prezzolini muta atteggiamento.
Già Salvemini, pur consapevole della diversità della sua posizione, non condivise il breve spazio, riservato al problema della guerra.
Avrebbe desiderato si parlasse più di Tripoli, che di Picasso, perché per lui riflettere sulla guerra era letteratura pura, come rileva in una lettura indiriz zata a Prezzolini il 28 settembre 1911.
Ma, secondo Prezzolini, la limitatezza del dibattito su Tripoli era strate gica per la sopravvivenza della Rivista, su cui incombevano oscure minacce, come si poteva capire dall’aggressione degli ufficiali di cavalleria, a Firenze contro lo stesso Prezzolini, per il suo antimilitarismo.
Lo stesso Croce suggeriva di “sfrondare “La Voce” dalle contingenze”, per lasciare ai posteri non polemiche, ma dibattiti di idee.
Giolitti, con la concessione del voto alle “moltitudini incolte”, aveva cre ato notevoli difficoltà alle forze rivoluzionarie.
Finita l’impresa libica, Prezzolini, nell’ottobre del 1912, esaltava con la “Pace giolittiana” l’uomo della malavita, visto ora come vero uomo di Stato, per il modo in cui aveva saputo organizzare la guerra.
Incomincia ad emergere, così, la “politica vociana”, fondata sulla concre tezza dei fatti, a cui si affianca l’idealismo utopistico di Amendola, anche se di poca durata.
Ciò determina l’abbandono della rivista da parte di Gaetano Salvemini, sdegnato per il nuovo atteggiamento di collusione con il giolittismo.
Così dal 4 aprile al 31 ottobre del 1912, la direzione della Rivista viene assunta da Papini che le imprime una svolta estetizzante, siglando il successo della posizione degli artisti che all’impegno politico e sociale preferiscono il fascino della bellezza, convinti che l’arte sia il bene più indispensabile per l’uomo.
In tale clima, il nuovo direttore scriverà: “Dacci la nostro poesia quoti diana”.
In questo secondo tempo, diventano collaboratori assidui de “La Voce” scrittori come Bacchelli, Umberto Saba, Giuseppe De Robertis, Giovanni Boine che, abbandonato il Modernismo, aderisce ad un nuovo spiritualismo mistico e innesca un’aspra polemica con Croce. Intanto la Rivista dà vita ad una omonima sigla editoriale, in cui vengono ospitate opere di Piero Jahier, Scipio Slataper, Ardengo Soffici, Clemente Rebora, Umberto Saba, Camillo Sbarbaro e altri.
Si attua, così, un ritorno alla letteratura, con preferenza per il genere “diaristico” e autobiografico », per la prosa d’arte, con connotazioni liriche ed espressionistiche.
In questa fase la rivista svolge un ruolo importante anche per la diffusione della letteratura internazionale e, con la proposta di testi di Mallarmé, Gide, Claudel, Ibsen, ecc.. determina lo svecchiamento della letteratura italiana.
Nel 1914 la direzione è ripresa da Prezzolini e La Voce, con un nuovo formato, diventa quindicinale, assumendo come linea prevalente la filosofia di Croce e Gentile, trasformandosi in “Rivista dell’idealismo militante”.
A questo punto, Boine, temendo che il nuovo orientamento consolidi una svolta verso l’Attualismo geritiliano, cessa la collaborazione e, all’interno del la redazione, esplode una polemica insanabile tra due tendenze, che sfocia nella scissione definitiva.
Il conflitto genera la nascita della “Voce letteraria” (1914-1916), sotto la direzione di De Robertis, che ha come collaboratori Papini, Soffici, Jahier, Boine e Serra.
Ad essa si affianca la prezzoliniana “Voce politica” che diventa strumento di propaganda, sostenendo l’interventismo, l’antigiolittismo, l’antisocialismo e l’anticlericalismo, che durerà fino al 1915, quando Prezzolini partirà volon tario per il fronte.
“La Voce” di De Robertis si aprirà dunque alle più disparate tendenze e, sotto l’influenza di Renato Serra, diventerà fautore della “religione delle let tere” e per un totale disimpegno politico, tanto che lo stesso De Roberto sarà contro l’intervento dell’Italia in guerra.
La prevalenza dell’aspetto letterario vedrà l’affermazione della “poetica del frammento”, una poetica, cioè, caratterizzata da brevi componimenti lirici, in cui si riflette il soggettivismo del poeta, dove la parola poetica risulta spo gliata di ogni orpello decorativo, per privilegiare il puro stile formale.
Si afferma la concezione della “poesia pura”, libera da ogni condiziona mento esterno (storico, civile, etico o intellettuale), che privilegia la parola poetica, carica di pregnanza simbolica e intrisa di musicalità.
Emerge anche il poemetto in prosa, tipicamente vociana, una commistio ne di prosa e poesia, caratterizzata da perfezione formale e da un’intensa ca rica lirica.
Tale concezione aveva avuto precedenti nei modelli francesi, nel simbo lismo pascoliano e nell’ultimo D’Annunzio.
L’estetica crociana che teorizzava il dilemma tra distinzione di “poesia” e “non poesia” (particolarmente applicata alla poesia di Pascoli), fissò la “poe sia pura” nell’istituzione lirica, svincolata anche da influenze razionali. Così, la poetica elaborata da “La Voce” di questa fase, diventerà il nucleo ispirativo di tante poesie successive e costituirà il punto di partenza sia dell’Ermetismo ungarettiano, che della poesia onesta di Saba.
Già nella “Premessa”, la Voce letteraria esprimerà l’opzione dell’arte per l’arte che, nell’espressione essenziale e nel frammentismo strutturale espri merà, senza alcuna ipertrofia elaborativa, la verità più trasparente dell’io auto biografico, in cui incominciavano a delinearsi le convulsioni, i turbamenti, le ansie, i dubbi ma anche la desolazione del poeta, aggredito dall’arida civiltà moderna.
Camillo Sbarbaro, ad esempio, presenterà, nei suoi versi un io lirico smar rito nel deserto del mondo, alienato e spersonalizzato dalla civiltà industriale che riduce l’uomo ad oggetto, dove il poeta diventa spettatore sofferente della propria alienazione.
La città diventa il luogo-simbolico di una inconsolabile solitudine.
Gli stessi motivi sono caratteristici della poesia di Rebora, espressi con immagini violente ed espressionistiche scelte formali.
Anche in Rebora appare un mondo alienato, caotico e senza senso, ma, a differenza di Sbarbaro, egli si sforza di dare un senso alla vita e si affida ad una sorta di titanismo etico, radicato nel solitario volontarismo, per ricomporre il dissidio tra l’io e la realtà, visibile anche attraverso l’uso di un linguaggio talvolta deformato, in sintonia con il malessere interiore del poeta. Sono già percepibili, nella voce di questi due poeti, motivi essenziali che appariranno in poeti come Montale e Quasimodo, fino ad influenzare tanta poesia più recente, da Raboni, a Cattafi.
Saba esordirà con un modello di “poesia onesta” come egli stesso definì il suo modo di poetare in una lettera scritta (e mai pubblicata dalla Voce) nel 1911, cioè quel tipo di poesia che, negli eterni e puri valori del cuore, nella vibrazione delle emozioni di fronte alle più semplici voci della natura e della vita, nella gioia delle piccole cose e nella semplicità quotidiana espressa con limpidezza verbale e strutturale, avrà le sue più autentiche radici, rielaborate dal poeta triestino come antidoto al “male di vivere” di oggi.
Nel dicembre del 1916, con la chiusura de “La Voce letteraria” di De Ro bertis si conclude l’esperienza della Rivista.
Dopo l’uscita di Salvemini, l’intervento di Amendola è conciliante, le gato ancora all’astrattismo dell’eticità collettiva, rivendicando il fondamento idealistico vociano, apparentemente vicino all’idealismo di Croce e Gentile, solo nella vocazione al concretarsi della visione. Infatti, nella sua propensione al “volontarismo misticheggiante”, Amendola collega idealità storiche appli cate all’esplorazione di realtà sociali lacerate, su cui sembra insediarsi costrut tivamente il realismo giolittiano, a cui aderiva, pur con il sacrifìcio richiesto dalla guerra.
A proposito, dirà: “… Nell’Italia malcontenta di sé, critica implacabile e crudele della propria vita interna, pronta a sciorinare i suoi panni sporchi dinanzi al mondo intero per amore di sincerità, nell’Italia che taluno chiamò puritana e quacchera, noi vediamo oggi le fondamenta incrollabili dell’Italia Bile comincia a rivelarsi oggi, attraverso questa prima prova, e che dovrà do mani consolidarsi e accrescersi nella pace…”.
Amendola, Papini e Prezzolini, convinti oppositori di Giolitti nel 1906, nel 1908 e nel 1910, ora sembravano convertirsi alla sua politica.
Dopo il distacco di Salvemini, nonostante le polemiche interne tra le di verse “anime” ideologico-estetiche dei suoi collaboratori, gli avvicendamenti tra Papini e Prezzolini conservano una apparente unità dialettica, legata ai progressi economici e alla speranza dell’Italia giolittiana.
Il visibile miglioramento economico si accende nell’animo vibrante di Papini di oltre e più alte tonalità, quando scrive: “… Che cosa speriamo? Speriamo che le cose vadano meglio, che il nostro paese progredisca, che gli uomini (pochi o tutti) migliorino. E come intendiamo mai, in definitiva , questo miglioramento degli nomini? Come miglioramento materiale, prima di tutto… Ma dopo? Miglioramento morale, anche e intellettuale. Desideriamo che gli uomini (tutti) sappiano leggere e scrivere e che leggano buoni libri…e che imparino a ragionare bene, a vedere chiaro nelle questioni, a non lasciarsi imbrogliare dalle parole, dalle finzioni, dai miraggi…”Ma questi uomini che hanno da mangiare… debbo no fermarsi qui?… La vita vera nasce quando a tutte queste risorse si aggiunge la poesia che è necessaria all’anima umana. E, ve l’assicuro io, un bene di prima necessità…”. Anche Croce aveva definito la poesia come primo momento dello spirito.
Il vocianesimo cercava, pertanto, un posto concreto per la poesia, ma in misura nuova.
La nuova lirica vociana si esprimeva con impronte diverse dalle regole dell’estetica crociana.
La poesia di Saba, apparsa eccezionalmente per prima il 7 novembre del 1912 quella di Sbarbaro, di Rebora e per altri versi, di Palazzeschi, era lontana dal canone dell’intuizionismo crociano.
Croce, definendo “amori con le nuvole” ciò che in Boine era amore di verità da parte dei giovani, siglava un avvio alla rottura.
Gli iniziali elementi contrastanti, lo spiritualismo di Croce, la sintonia tra Prezzolini e Salvemini nella polemica morale, l’irrazionalismo e il poeti cismo di Papini, dapprima conviventi nella reciproca tolleranza e tesi in una evoluzione dialettica della storia, ora cedevano il posto a tre nuovi autori, De Robertis, Bacchelli e Longhi, associati in un unico modo di leggere la realtà e scrivere, in contrasto con la precedente tendenza.
Croce, Amendola, Slataper e Prezzolini erano ancora attivi, ma i troppi insanabili litigi interni consigliavano, non di far cessare quell’esperienza, ma una ripartizione della materia: una sezione filosofica, storica e politica; un’al tra letteraria e artistica.
Ciò determinò la trasformazione del settimanale in rivista, che affiancò la “Libreria della Voce”; cooperativa di scrittori e di lettori e dalla rivista politica che continuò a vivere, da maggio a dicembre 1915.
Renato Serra, in precedenza e ancor più marcatamente con “Esame di coscienza di un letterato”, aveva disapprovato certe argomentazioni retoriche di una protesta anarchica permanente de “La Voce” prezzoliniana. “La Voce” bianca di De Robertis richiama alla serietà di un serio impegno letterario, in tercettando le speranze espresse da Serra.
La guerra è sentita ora come esperienza da affrontare, come doloroso do vere da compiere e non come facile esaltazione, o, peggio, come cieca ed euforica avventura.
La polemica serriana documenta la necessità di una nuova coscienza cri tica, il ritorno dell’uomo alla serietà del proprio impegno di lavoro.
Alla dissoluzione decadentistica oppone un modello di letteratura intesa come difesa e riscatto.
11 nuovo rigore letterario vociano apparirà come una fuga, un esilio dalla situazione di crisi della democrazia giolittiana, per prolungarsi in rifiuto all’at tivo impegno sociale.
Di fronte alla nuova realtà storica, che si prolifera negli anni dell’afferma zione fascista, Prezzolini trasformerà l’idealismo militante del 1914, in aristo cratica accettazione storica degli eventi, quando nel 1922 ingabbiava l’Italia giolittiana e si andava restringendo l’orizzonte della cultura.
In tale cornice storica involutiva, si spiega come il “foglio isolato” abbia messo in luce la profonda crisi storica dell’intellettuale italiano, invischiato in atteggiamenti di incertezza di fronte alla precarietà del compromesso giolittiano.
“La Voce”, sin dai primi anni, si propose di trasformarsi in luogo di elabo razione di una nuova cultura, diversa dalle posizioni ideologiche post-risorgi mentali e provinciali, in modo da creare i presupposti ideali per la formazione di un nuovo indirizzo delle classi dirigenti.
Gli articoli di Amendola su “Il Mezzogiorno e la cultura italiana”, gli editoriali di Prezzolini, le osservazioni precise sulle contraddizioni del par tito socialista, le polemiche sulle conseguenze sociali del protezionismo, la denuncia dei mali della società italiana, se sembrano espressione di un im pegno sociale, carico di un’astratta impostazione intellettualistica, risultano essenziali per l’interpretazione storica della società italiana contemporanea, con cui si misuravano gli intellettuali del dopoguerra. In realtà, il programma etico-politico di opposizione al malessere sociale dell’Italia evidenziò un reale aspetto dilettantesco forzatamente limitato, per l’oppressione del regime poli tico, ma anche per una prospettiva di adesione ideologica, in effetti organica alla società giolittiana.
Il più volte declamato storicismo di Prezzolini riusciva, in realtà, a giu stificare ogni sotteso o aperto compromesso, in norme della necessità storica, che sfocerà in “Diario di un uomo moderno” del 1912, in coincidenza con la svolta conservatrice che si andava profilando in Italia.
I contrasti latenti tra i collaboratori, la divergenza di opinioni e diversità di preparazione, tuttavia, riuscirono a rispecchiare limiti, vizi, deficienze e aspirazioni della cultura del tempo, alla ricerca di una sua precisa configura zione.
Nella rivista, tra pagine di mediocri o dissenzienti, trovarono voce, però, artisti, critici e poeti, come Serra, De Robertis, Jahier, Cecchi, Longhi, Pancrazi, Croce e Gentile, Salvemini, Amendola e i poeti migliori del tempo, da Un garetti, a Boine, a Rebora, a Sbarbaro, a Cardarelli, a Saba, da cui maturarono le più valide esperienze letterarie del primo Novecento e l’apertura alle ultime grandi voci del Decadentismo europeo, che contribuirono a far maturare in questa poetica tematiche e stili nuovi nella sensibilità letteraria dei poeti italia ni, in cui si evidenziò l’influsso più duraturo della rivista e la continuità della sua fama ma anche i semi da cui si svilupperanno le concrete e i movimenti letterari più importanti del nostro Novecento.
Sul piano filosofico, i vociani si mossero su un piano di incertezza, dovuto alle diverse direzioni filosofiche della cultura europea, che inducevano allo scontro tra spiritualismo e irrazionalismo, in cui traspariva un doloroso dram ma metafisico, risolto in scena brutale, dove esperienza quotidiana e realtà storica non riuscirono a saldarsi, generando una situazione di crisi, da alcuni risolta in una vicenda di conversione, in altri con lo scivolamento nello scetti cismo, in altri ancora mediante l’appello alla bellezza futurista dell’azione.
Si distingueva il rigore moralistico di Boine, mentre l’assoluta coerenza filosofica di Michelstaedter, sfociata nel “suicidio metafisico”, ne segnerà le ragioni del fallimento, riscatterà la dignità dei vociani e nel difendere l’Italia da un possibile ritorno alla barbarie borbonica o a un deleterio conformismo.
(da “Sìlarus”, n. 261; genn-febbr. 2009)
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 20 Marzo 2009 @ 17:46
La rivista fiorentina “La Voce”, diretta da Prezzolini e poi da De Robertis, annoverando al suo interno personaggi straordinari della cultura, ha avuto un ruolo non secondario nel panorama politico, filosofico, artistico e letterario del tempo. Contemporanea al movimento futurista, con scambi anche di personalità, “La Voce” riuscirà a scuotere ed a rimuovere non poco soprattutto il mondo della poesia. Si avrà, tra l’altro, l’apparizione e la conferma dei poeti che hanno dato origine alla poesia pura dell’Ermetismo, movimento a cui, anche oggi, si fa riferimento.
Ampio, dettagliato, ottimamente impostato, ricco di riferimenti interessanti ed intelligentemente articolato questo documento, tanto da risultare una pagina di particolare fascino e di sicura documentazione
Gian Gabriele Benedetti