LETTERATURA: PITTURA: I MAESTRI: Beppe Bongi. L’estate perduta20 Giugno 2017 di Carlo Laurenzi Non c’è nulla da togliere o aggiungere alla misura dei giudizi di Eugenio Montale, nella prefazione ad Amo l’estate, i versi postumi di Beppe Bongi pubblicati da Vallecchi. Obiettivamente) il richiamo di questo esile li bro consiste proprio nel fat to che sia presentato da Mon tale, e anche e soprattutto il lustrato da sei acquerelli del lo stesso Montale, colorati « con vino, caffè e vaghe trac ce di lipstick ». Si sa che il maggiore poeta italiano con temporaneo possiede (più che un hobby) una rara e ag guerrita vocazione pittorica. La fama di Beppe Bongi, al contrario, è quasi tutta da creare. Bongi era un pittore, per taluni un grande pittore; può darsi che questo apparente bi sticcio â— le poesie di un pit tore illustrate dagli acquerelli di un poeta â— funzioni da trampolino a una gloria. Ma come dispiacerebbe a Bongi che si scrivesse gloria. E co me deve essergli piaciuta, giacché l’ha letta prima di morire, la prefazione di Mon tale, affettuosa ma limitativa ed esatta: « Quel tanto d’in combusto che si avverte nel falò poetico di Beppe Bongi ci rimanda alla sua opera di pittore… Se meno scaltra è la sua perizia tecnica, l’evidente svantaggio è neutralizzato dal l’indubbia verità della sua pa rola poetica… La sua natura non è abitata da cervi, fau ni e ninfe, ma da animali oggi quasi altrettanto rari e conosciuti solo da cacciatori e bracconieri, e da lui intra visti e sorpresi con solidarie tà umana… Se non fosse irriguardoso verso l’ipotetica real tà della Laura che campeggia in questo breve diario poetico direi che il titolo della rac colta potrebbe essere anche: Laura e gli animali, ma difficilmente il lettore capirebbe che la congiunzione non va intesa in senso grammaticale; si tratta di identità e non di accostamento… Bongi non è un naturalista, ma lo è anche. E’ un mondo a portata di ma no, il suo: è un amore di screto e giornaliero che ri piega su se stesso e rimanda all’inesausta miseria della con dizione umana, di una specifi ca condizione umana. Con questo credo di aver detto tutto: il pregio e la singola rità di una poesia fuor di tempo e fuor di squadra an che nelle sue minute e in cessanti precisazioni realisti che ». Davvero, non c’è nulla da togliere o aggiungere in que sto invito a un libro nel qua le, oltrepassando i misteriosi voli delle meropi e una pia ga d’amore, il traguardo è forse Dio, il « Dio però che ha permesso a Noè di so vraccaricare l’arca, non l’Esse re che implacabilmente osten ta di ignorarci ». La prefa zione di Montale apre anche i pertugi che guardano di là dal segno: « Amo l’estate è come una voce che certo de sterà echi in qualche anima fraterna »; e: « Per ora non si può dire di più ». * Sulla precisione della pri ma ipotesi, l’eco in un’anima fraterna, io posso e debbo recare testimonianza, con la asciuttezza che impone il pu dore. Se mai nella mia vita una circostanza reclamò l’ab bandono (diciamo pure la di sperazione, le lacrime) que sta circostanza è stata la lun ga agonia, o la morte precoce di Beppe Bongi, spentosi nell’ottobre passato. Il sentimen to mi indurrebbe a scrivere cose che tacerò o ridurrò a una lamentazione essenziale, persino accademica: a nessun uomo sono stato vicino come a Beppe Bongi, la sua visio ne del mondo mi penetrò, la sua favola mi si comunicò, l’esplorazione con lui della nostra patria toscana mi fu paradigma che culminò nell’invenzione del cuore, il suo ardore finì con l’essermi fil tro attraverso cui mi si ma nifestava la vita. Aggiungerò che i nostri temperamenti di vergevano e che, avendo rice vuto tanto da Bongi, temo di non avergli donato nulla, o ben poco. Ma queste sono le mie irrilevanti ferite pri vate. Molti, come me, deb bono moltissimo a Beppe Bon gi; l’eco nelle « anime frater ne » è più vasta, chissà, di quanto noi amici pensiamo. L’altro pertugio, che Mon tale non chiude, guarda ver so un orizzonte diverso o almeno lo suppone: « Per ora non si può dire di più ». Questa, implicita in una temporanea rinuncia, è la scommessa di fondo, e non concerne il destino delle versificazioni di Beppe Bongi (eleganti, strug genti, occasionali) ma la sua possibile « fortuna » di pittore, che potrebbe svelarsi cospicua o addirittura travolgente. Si tratta, lo so, di un detestabile tipo di discorso: l’auspicio provinciale, la solidarietà degli affranti che chie de per lui, per l’artista morto, un compenso inutile ma concreto. Inoltre non sono critico d’arte e diffido di ogni dilettantismo. Però, ancora in chiave di testimonianza, non debbo dimenticare un dato quantitativo: Bongi, che par ve sempre disponibile per l’aria libera e le avventure, ha faticato (chissà come, chissà quando) come pochis simi altri pittori. La mole del la sua opera, in massima par te sconosciuta, giunge a forse diecimila fra tavole, tempere, tele, affreschi, disegni. Poi ci sono altri dati: psi cologici, cronistici, e anche (di riflesso) qualitativi. L’uomo, così estroverso e talora istrionesco, era ombroso e ascetico nei confini della sua pittura. Amava occultare i suoi quadri piuttosto che mo strarli; preferiva regalarli che venderli. Tutti coloro che li hanno visti â— in trent’anni, giacché Bongi maturò prestis simo â— ne sono rimasti af fascinati: la sua « bravura », non fosse che la sua « bra vura », era strepitosa. E’ ov vio che i quadri di Bongi cir colassero in un ambiente chiu so, quasi iniziatico. La cri tica ufficiale non è stata chia mata in causa se non in oc casione di due piccole mo stre, una nel ’56 a Firenze, l’altra nel ’62 a Milano, alle quali Bongi si prestò con pez zi minori e senza entusiasmo. Personalmente, lo ripeto, de sidero astenermi da qualun que sentenza e limitarmi a es senziali informazioni « ester ne »; tuttavia riferirò quanto fu scritto a proposito della mostra del ’62 dove Bongi espose soltanto visioni di pa ludi: « Sono, queste paludi di Bongi, la continuazione viva ce del suo discorso civile, ali mentato da una rara intelli genza della forma, sorretta da una cultura selezionata e va stissima, di tono e di natura assolutamente eccezionali per un artista. La sua perizia tra spare da questi fogli ove la costanza della non casuale tematica si risolve in un ric chissimo atteggiarsi di modi di invenzioni. Non si fa tica a trovare conferma delle radici kleeiane che Bongi stesso ha ripetutamente sotto lineato, ma è da aggiungere che questa esperienza si stem pera in un rabesco più o me no scoperto che fa tesoro del repertorio grafico orientale, soprattutto giapponese ». * Bene: era questo (laudativo e al tempo stesso raggelante) il timbro della critica ufficia le nelle rare occasioni in cui s’imbatteva in Bongi, per qualche decina di pezzi esposti. Ora mi giungono notizie diverse. Per tutto un terribile anno, nel quale l’agonia di Beppe Bongi è stata lucida e per così dire pubblica, Fi renze si è accorta del pittore che le stava venendo meno; e, come pentita, gli si è stret ta intorno. Non si parla più di un calligrafo cultore di paludi: ci sono i paesaggi, gli uomini, le meditazioni astrat te, le belve, gli uccelli, le in terpretazioni del Decamerone, gli oggetti, le case coloniche, i fiori. Mi parlano di una grossa collettiva di Bongi in palazzo Capponi, attesa come « l’avvenimento artistico del 1969 ». Si vedrà. Era generoso Bep pe Bongi, non mi stupirei di dovergli anche questo: che al mio nome, per essere il no me di un amico di lui, toc chi la sorte di non morire. Ma questa prospettiva, è chia ro, non medica i miei rim pianti o rimorsi. Letto 1650 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||