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LETTERATURA: PITTURA: I MAESTRI: Beppe Bongi. L’estate perduta

20 Giugno 2017

di Carlo Laurenzi
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 19 febbraio 1969]

Non c’è nulla da togliere o aggiungere alla misura dei giudizi di Eugenio Montale, nella prefazione ad Amo l’estate, i versi postumi di Beppe Bongi pubblicati da Vallecchi. Obiettivamente) il richiamo di questo esile li ­bro consiste proprio nel fat ­to che sia presentato da Mon ­tale, e anche e soprattutto il ­lustrato da sei acquerelli del ­lo stesso Montale, colorati « con vino, caffè e vaghe trac ­ce di lipstick ». Si sa che il maggiore poeta italiano con ­temporaneo possiede (più che un hobby) una rara e ag ­guerrita vocazione pittorica. La fama di Beppe Bongi, al contrario, è quasi tutta da creare.

Bongi era un pittore, per taluni un grande pittore; può darsi che questo apparente bi ­sticcio â— le poesie di un pit ­tore illustrate dagli acquerelli di un poeta â— funzioni da trampolino a una gloria. Ma come dispiacerebbe a Bongi che si scrivesse gloria. E co ­me deve essergli piaciuta, giacché l’ha letta prima di morire, la prefazione di Mon ­tale, affettuosa ma limitativa ed esatta: « Quel tanto d’in ­combusto che si avverte nel falò poetico di Beppe Bongi ci rimanda alla sua opera di pittore… Se meno scaltra è la sua perizia tecnica, l’evidente svantaggio è neutralizzato dal ­l’indubbia verità della sua pa ­rola poetica… La sua natura non è abitata da cervi, fau ­ni e ninfe, ma da animali oggi quasi altrettanto rari e conosciuti solo da cacciatori e bracconieri, e da lui intra ­visti e sorpresi con solidarie ­tà umana… Se non fosse irriguardoso verso l’ipotetica real ­tà della Laura che campeggia in questo breve diario poetico direi che il titolo della rac ­colta potrebbe essere anche: Laura e gli animali, ma difficilmente il lettore capirebbe che la congiunzione non va intesa in senso grammaticale; si tratta di identità e non di accostamento… Bongi non è un naturalista, ma lo è anche. E’ un mondo a portata di ma ­no, il suo: è un amore di ­screto e giornaliero che ri ­piega su se stesso e rimanda all’inesausta miseria della con ­dizione umana, di una specifi ­ca condizione umana. Con questo credo di aver detto tutto: il pregio e la singola ­rità di una poesia fuor di tempo e fuor di squadra an ­che nelle sue minute e in ­cessanti precisazioni realisti ­che ».

Davvero, non c’è nulla da togliere o aggiungere in que ­sto invito a un libro nel qua ­le, oltrepassando i misteriosi voli delle meropi e una pia ­ga d’amore, il traguardo è forse Dio, il « Dio però che ha permesso a Noè di so ­vraccaricare l’arca, non l’Esse ­re che implacabilmente osten ­ta di ignorarci ». La prefa ­zione di Montale apre anche i pertugi che guardano di là dal segno: « Amo l’estate è come una voce che certo de ­sterà echi in qualche anima fraterna »; e: « Per ora non si può dire di più ».

*

Sulla precisione della pri ­ma ipotesi, l’eco in un’anima fraterna, io posso e debbo recare testimonianza, con la asciuttezza che impone il pu ­dore. Se mai nella mia vita una circostanza reclamò l’ab ­bandono (diciamo pure la di ­sperazione, le lacrime) que ­sta circostanza è stata la lun ­ga agonia, o la morte precoce di Beppe Bongi, spentosi nell’ottobre passato. Il sentimen ­to mi indurrebbe a scrivere cose che tacerò o ridurrò a una lamentazione essenziale, persino accademica: a nessun uomo sono stato vicino come a Beppe Bongi, la sua visio ­ne del mondo mi penetrò, la sua favola mi si comunicò, l’esplorazione con lui della nostra patria toscana mi fu paradigma che culminò nell’invenzione del cuore, il suo ardore finì con l’essermi fil ­tro attraverso cui mi si ma ­nifestava la vita. Aggiungerò che i nostri temperamenti di ­vergevano e che, avendo rice ­vuto tanto da Bongi, temo di non avergli donato nulla, o ben poco. Ma queste sono le mie irrilevanti ferite pri ­vate. Molti, come me, deb ­bono moltissimo a Beppe Bon ­gi; l’eco nelle « anime frater ­ne » è più vasta, chissà, di quanto noi amici pensiamo.

L’altro pertugio, che Mon ­tale non chiude, guarda ver ­so un orizzonte diverso o almeno lo suppone: « Per ora non si può dire di più ». Questa, implicita in una temporanea rinuncia, è la scommessa di fondo, e non concerne il destino delle versificazioni di Beppe Bongi (eleganti, strug ­genti, occasionali) ma la sua possibile « fortuna » di pittore, che potrebbe svelarsi cospicua o addirittura travolgente. Si tratta, lo so, di un detestabile tipo di discorso: l’auspicio provinciale, la solidarietà degli affranti che chie ­de per lui, per l’artista morto, un compenso inutile ma concreto. Inoltre non sono critico d’arte e diffido di ogni dilettantismo. Però, ancora in chiave di testimonianza, non debbo dimenticare un dato quantitativo: Bongi, che par ­ve sempre disponibile per l’aria libera e le avventure, ha faticato (chissà come, chissà quando) come pochis ­simi altri pittori. La mole del ­la sua opera, in massima par ­te sconosciuta, giunge a forse diecimila fra tavole, tempere, tele, affreschi, disegni.

Poi ci sono altri dati: psi ­cologici, cronistici, e anche (di riflesso) qualitativi. L’uomo, così estroverso e talora istrionesco, era ombroso e ascetico nei confini della sua pittura. Amava occultare i suoi quadri piuttosto che mo ­strarli; preferiva regalarli che venderli. Tutti coloro che li hanno visti â— in trent’anni, giacché Bongi maturò prestis ­simo â— ne sono rimasti af ­fascinati: la sua « bravura », non fosse che la sua « bra ­vura », era strepitosa. E’ ov ­vio che i quadri di Bongi cir ­colassero in un ambiente chiu ­so, quasi iniziatico. La cri ­tica ufficiale non è stata chia ­mata in causa se non in oc ­casione di due piccole mo ­stre, una nel ’56 a Firenze, l’altra nel ’62 a Milano, alle quali Bongi si prestò con pez ­zi minori e senza entusiasmo. Personalmente, lo ripeto, de ­sidero astenermi da qualun ­que sentenza e limitarmi a es ­senziali informazioni « ester ­ne »; tuttavia riferirò quanto fu scritto a proposito della mostra del ’62 dove Bongi espose soltanto visioni di pa ­ludi: « Sono, queste paludi di Bongi, la continuazione viva ­ce del suo discorso civile, ali ­mentato da una rara intelli ­genza della forma, sorretta da una cultura selezionata e va ­stissima, di tono e di natura assolutamente eccezionali per un artista. La sua perizia tra ­spare da questi fogli ove la costanza della non casuale tematica si risolve in un ric ­chissimo atteggiarsi di modi di invenzioni. Non si fa ­tica a trovare conferma delle radici kleeiane che Bongi stesso ha ripetutamente sotto ­lineato, ma è da aggiungere che questa esperienza si stem ­pera in un rabesco più o me ­no scoperto che fa tesoro del repertorio grafico orientale, soprattutto giapponese ».

*

Bene: era questo (laudativo e al tempo stesso raggelante) il timbro della critica ufficia ­le nelle rare occasioni in cui s’imbatteva in Bongi, per qualche decina di pezzi esposti. Ora mi giungono notizie diverse. Per tutto un terribile anno, nel quale l’agonia di Beppe Bongi è stata lucida e per così dire pubblica, Fi ­renze si è accorta del pittore che le stava venendo meno; e, come pentita, gli si è stret ­ta intorno. Non si parla più di un calligrafo cultore di paludi: ci sono i paesaggi, gli uomini, le meditazioni astrat ­te, le belve, gli uccelli, le in ­terpretazioni del Decamerone, gli oggetti, le case coloniche, i fiori. Mi parlano di una grossa collettiva di Bongi in palazzo Capponi, attesa come « l’avvenimento artistico del 1969 ».

Si vedrà. Era generoso Bep ­pe Bongi, non mi stupirei di dovergli anche questo: che al mio nome, per essere il no ­me di un amico di lui, toc ­chi la sorte di non morire. Ma questa prospettiva, è chia ­ro, non medica i miei rim ­pianti o rimorsi.


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Bart