LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: L’alba a Nicosia17 Giugno 2017 di Carlo Laurenzi Marzo mi punge con la no stalgia di Cipro: gli anemoni, le buganvillèe, le giunchiglie, le rose, i primi papaveri nei campi di grano. Il verde, pie no e soffice, delle brughiere. Le rondini. E l’alba di Nicosia, giallo-azzurra: conosco l’ora nella quale raffiche di mitra hanno crivellato l’eli cottero di Sua Beatitudine. L’arcivescovo Makarios si muove sempre all’aurora. * Riceve gli ospiti all’aurora. « Non vi è tensione che debba definirsi preoccupante. Sia i greci ciprioti sia i turchi ci prioti si stanno formando una coscienza cipriota; considera no Cipro la loro patria comu ne. L‘Enosis è esclusa. Noi la voriamo affinché Cipro, data la sua posizione geografica, divenga un punto di incontro fra le varie nazionalità, e un modello di paese pacifico ». Nessuna di queste parole, nel momento in cui fu pro nunciata, poteva essere since ra; così toccai con mano il fascino in Makarios. L’arcive scovo mi aveva concesso udienza alle cinque e tre quar ti. Il palazzo sulla collina, circondato da un parco pia cevole, era costruito in matto ni, non senza splendore. Lo stemma di pietra con l’unicor no e il leone non era stato rimosso dalla facciata. Lo stu dio di Makarios era, natural mente, lo studio appartenuto al governatore britannico; lo scaldava un caminetto allegro, come piace agli inglesi. I li bri negli scaffali erano per lo più di teologia bizantina, con dorature sbiadite. Vidi oleo grafie e xilografie, al muro, raffiguranti miracoli. L’arci vescovo mi attendeva in pie di: appena qualche filo bianco nella barba castana; gli oc chi, lunghi e mobili, non sor risero mai. Indossava una tunica blu con ricami neri; la sua voce era pacata e profonda. Sen tenziò gravemente cose gen tili sul conto dell’Italia, e an nunciò un suo prossimo viag gio a Roma, non avvenuto. Alludendo ai propri hobbies, l’arcivescovo fece menzione del suo interesse per il giar dinaggio. Si vantava astemio e cultore della ginnastica, ma smentiva di dedicarsi a pra tiche yoga. Si gloriava dell’origine modesta: il padre, ottantenne, viveva in una povera casa di Panayia, nel di stretto di Pafos, e vestiva il vraki, le grosse brache dei contadini. Apparentemente im memore dell’esilio cui lo con dannarono nelle isole Seychel les, Sua Beatitudine mi parlò degli inglesi con ammirazione, sia pure un po’ circospetta. (Si diceva però che qualche giorno prima, onorando una nave da guerra britannica, Ma karios avesse gelidamente os servato: « Magnifica nave; mi ricorda la nave con la quale andai alle Seychelles »). * Da un punto di vista mili tare, gli inglesi mantenevano â— non so se lo mantengano tuttora â— il controllo di Ci pro. Se percorrevate la car rozzabile tra Famagosta e Larnaka. vi imbattevate anzi pe netravate nella loro cittadella di Dhekelia, a specchio del mare. L’impressione era di una tranquilla potenza. C’erano campi trincerati, depositi al l’aperto, carri in manovra, un via vai di jeeps, soldati scoz zesi della Guardia; e gli occhi vitrei e i colli legnosi della Polizia Militare. Accanto alle fortificazioni di Dhekelia, su quelle alture giallastre, le case per i funzionari civili e per le famiglie dei militari: case dipinte di turchino; e gli uf fici, i clubs, l’ospedale, il ci nema, le scuole. Bambini dai capelli rossi vi salutavano, as sai contegnosi. Neo-colonialismo? Mi parve che gli inglesi di Cipro amas sero l’isola piuttosto che i ci prioti; non si smentiva l’adat tabilità appassionata di un grande popolo, ma non si smentiva la sua ritrosìa. Il problema della convivenza con il ceppo turco non si è posto mai: i turchi ciprioti formano una società chiusa per la qua le il principio della separazio ne, o taxim, rappresenta non solo un’arma politica ma un modo di concepire la vita, con tetra fierezza. Per il resto, non accadeva che i residenti britannici a Cipro si appartassero dalla popolazione greca; al contrario vi si mescola vano, fino a un certo segno. A Limassol, dove si svolgevano parate carnevalesche di bo naria impronta nizzarda, notai che i residenti inglesi â— in camiciole fiorite e blue jeans alla maniera degli americani in vacanza â— ridevano, ap plaudivano al passaggio delle maschere. Le giovani massaie inglesi si proclamavano entu siaste di fare la spesa nei ne gozi greci, così « fantasiosi ». Nondimeno, mancava un vero contatto fra nativi e britan nici: l’amicizia tra famiglie delle due stirpi, o la comu nanza scolastica, o quella spor tiva. Giunsi a questo schema esi stenziale: i ciprioti (i greci ciprioti, non del tutto simili al loro etnarca Makarios) vivevano così semplicemente e intensamente da non accor gersi di vivere: un popolo fra i più antichi del mondo ser bava un cuore infantile. Gli inglesi, sebbene operosi, cono scevano il peso della potenza cui si accompagnava la stan chezza, quindi la delusione. Mi accorsi di invidiare i gre ci, giacché peregrinando per Cipro la solidarietà del mio sentimento mi accomunava sempre agli inglesi. Come gli inglesi avevo cercato, invano, di uscire dalla mia scorza. La nostra adesione all’arte, al pae saggio, alla storia dì Cipro era turbata in senso libresco. I greci si limitavano a sentirsi greci, come germogli di un vecchio albero che non muore. Avevo contemplato soprat tutto rovine, compulsando ma nuali. Avevo visitato gli scavi di Pafos, di Soli, di Curium, che sembrano, illudendoci, re suscitare gli dei perduti. Al mio fianco, non avevo trovato che inglesi. Sulle rive di Salamis, che fu la metropoli di una Cipro dimenticata, guar dai le colonne romane, con sumai il mio picnic stando mene solo nell’automobile di nanzi al vento furibondo e celeste che arruffava il mare; molti inglesi, con me, stavano muti e soli nelle loro auto mobili. Avevo visitato la ne cropoli misteriosa di Alasya, i castelli gotici, le cattedrali dissacrate, i rotondi templi bi zantini, i monasteri, la moschea-eremitaggio di Hala Sultan fra le palme dell’oasi, sul le sponde del lago salato. De bitamente, a Kyrenia, mi ero affacciato sugli spalti del ca stello lusignanese, dopo avere compiuto il pellegrinaggio, non meno debito, all’abbazia di Bellapais. Non avevo tro vato che inglesi. Cercavamo senza riuscirvi la radice di noi stessi in quei gorghi di pietra, nella vertigine del sole? * Come gli inglesi, credo che finirei col preferire Kyrenia a qualunque luogo dell’isola, se mi consentissero di abitare a Cipro. Kyrenia, sulla riva nord, ha una breve insenatu ra naturale con yachts alla fonda durante i mesi d’estate E’ la cittadina più fresca del l’isola. La sua costa ha rot ture, promontori ammantati di verde che, a detta degli in glesi, rammentano i fiordi di Scozia. C’era un club, proprio nel cuore di Kyrenia, dove servivano bistecche al sangue su stoviglie vittoriane, e ci si poteva compiacere delle stam pe vittoriane alle pareti, e in tercalare ai lunghi silenzi vittoriani placide osservazioni sul tempo, il tempo costante mente sereno. Finirei a Kyrenia come i pensionati inglesi: rinuncerei a penetrarmi della verità di Cipro il cui segreto è troppo semplice o troppo incandescen te per noi. Mi occuperei di ornitologia, deplorando le stra gi di pernici e di beccafichi compiute dai nativi con le loro subdole panie. Mi com piacerei di leggere, sul Cyprus Mail o sull’Out and í€bout, le poesie dei professori di scuo la media o dei caporali della RAF consacrate all’eterno mi to di Venere rinascente dalle spume. Esistevano caporali della RAF capaci delle impre se più folli, a Cipro, come l’addomesticare falconi. La menterei l’usanza, se resta in voga fra le giovani impiegate britanniche a Nicosia, di bal lare in bikini negli alberghi, il che scandalizzava i ciprioti. Leggerei libri polizieschi; ca pirei poco di quanto mi cir conda; invecchierei (forse) felice. Letto 1064 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||