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LETTERATURA: PITTURA: I MAESTRI: Il catalogo

2 Settembre 2017

di Virgilio Lilli
[dal “Corriere della Sera”, lunedì 23 febbraio 1970]

Quei quadernetti; no, quei fascicoletti; no, quei calenda ­ri; no, no, non è ancora la parola giusta. Ecco, quegli opuscoli, insomma quella spe ­cie di libretti abbandonati quasi con noncuranza sul ­l’unico mobile della galleria, come se qualcuno ve li avesse dimenticati e dovesse torna ­re da un attimo all’altro, di fretta, mormorando « Buona ­sera, chiedo scusa, ho dimen ­ticato qui…; quei libretti, di ­co, sono i cataloghi. Sono i cataloghi della mostra perso ­nale del pittore ».

Voi dalla strada avete ve ­duto un vecchio lume a pe ­trolio bianco e viola, due pe ­re .rosse e una spazzola nera con un pettine blu. E’ un qua ­dro, messo su un piccolo ca ­valletto contro la vetrina d’un negozio. E’ una natura morta. Vi siete fermato un attimo, lo avete osservato meglio: quell’idea del bianco contro il vio ­la, e poi del rosso sotto il bianco, e poi del nero col blu, vi ha distratto, vi ha strap ­pato ai fastidiosi pensieri che vi passavano per la mente mentre camminavate verso ca ­sa vostra.

Avete posato la mano sulla maniglia della porta della gal ­leria d’arte senza tuttavia aprirla, avete allungato gli sguardi fino alle pareti attra ­verso il vetro, avete visto al ­tri quadri; sempre quel bian ­co contro il viola, tutto som ­mato; una chitarra bianca contro una parete viola, un nudo di donna bianco su un divano viola, un gruppo di case bianche sopra una colli ­na viola; e sempre dei rossi, dei neri, dei blu. Allora siete entrato nel silenzio della gal ­leria deserta: « Buonasera », avete detto fra i denti come se salutaste quel mondo bian ­co e viola più che qualche vo ­stro simile; ma una voce di ragazza, assonnata, vi ha ri ­sposto appena, chi sa di dove: « Buonasera ».

*

Ora avete preso a percorre ­re le pareti: bianco viola nero blu rosso, bianco viola nero blu rosso, bianco viola nero blu rosso eccetera. Non avete condotto a termine la rasse ­gna dei quadri, avete rag ­giunto direttamente la porta, siete uscito. Né vi siete avve ­duto che su un mobiletto, a destra della stanza, c’erano dei libretti, i cataloghi. Avete ripreso a camminare, fate mentalmente dei conti, siete preoccupato. Il bianco e il viola della galleria vi sono al ­le spalle, dimenticati, non sa ­prete mai chi è l’autore di quelle combinazioni di colore, di quelle immagini, di quelle visioni.

Oppure no. Appena entrato in quella galleria avete visto i libretti, vi siete diretto deci ­samente al mobiletto, ne ave- te preso uno e avete comin ­ciato ad osservare i quadri; e osservando i quadri gioche ­rellavate col catalogo. Lo avete addirittura arrotolato, fa ­cendone un tubo; e il tubo lo aprivate fra la palma, con le dita, lo richiudevate, e poi fra l’indice e il pollice ne stropic ­ciavate i lembi, e infine ve lo siete portato alla bocca, avete preso a mordicchiarne i bordi, inavvertitamente. Quindi siete uscito.

Oppure preso il libretto, lo avete consultato prima di ini ­ziare la rassegna dei quadri. Sulla copertina, sopra la riproduzione della natura mor ­ta esposta in vetrina, avete letto un nome in grandi ca ­ratteri, un solo nome (o cognome) messo lì con lo stes ­so criterio col quale si scrive Dante e non Dante Alighieri, o Modigliani e non Amedeo Modigliani. Voltata pagina avete letto « …L’arte del No ­stro è la verbalizzazione delle cromìe rimodulate nell’espres ­sione materica… ». Avete let ­to: « …le allusioni masaccesche sono i parametri del te ­sto gergale, ma rilievitano in chiave prefauvista… ». Im ­pressionato da quella prosa, data una rapida occhiata, sie ­te uscito.

Oppure â— ancora â— avete soffermato la vostra attenzio ­ne sulla fotografia del pittore, una faccia benevola dalle guance cascanti. Oppure siete andato diretto alla sua biogra ­fia: « …nato a… il… iniziò gli studi all’Accademia di… il suo primo maestro fu… ma poi… ». Avete saltato qualche riga, ma vi siete sempre tenuto sulla biografia: « …la partecipazione alla collettiva di… lo impose alla critica che… Sue opere si trovano a Milano, Roma, Grottammare, Casalpusterlengo e nelle principali collezio ­ni italiane e straniere… ».

Letta la biografia, non vi siete deciso tuttavia a « visita ­re la mostra » nel senso con ­creto della parola, avete dato un’occhiata all’elenco delle opere: «Composizione… Coordinate e fiore… Composizione 2… Composizione 3… Coor ­dinate e fiore 2… Coordinate e fiore 3… ». Lentamente ave ­te sollevato gli occhi dal li ­bretto, avete cercato di indo ­vinare subito quale fosse il quadro « coordinate e fiore 2 ». Non ci siete riusciti e avete continuato a leggere: « Hanno scritto di… », ma non avete avuto la pazienza di compi ­tare le decine di nomi che seguivano. Sbirciati rapidamente i quadri, siete uscito mettendovi i libretti in tasca.

Oppure…

Si potrebbero scrivere pa ­gine e pagine sui rapporti fra il visitatore della galleria d’ar ­te e il catalogo. E tuttavia la conclusione è una sola: che novantanove volte su cento, grande o piccolo esso sia, a colori o in bianco e nero, stampato a regola d’arte o al ­la bell’e meglio, corredato dal ­la presentazione d’un grande nome della critica ufficiale o da quella d’un anonimo, esso finisce in un cestino o in un cesto, pubblico o privato, di rifiuti.

*

Ma il pittore non lo sa. Egli ha visto cento, mille, diecimila cataloghi di altri fare quella fine, inesorabilmente. Egli stes ­so ha contribuito personal ­mente, sia pure senza averne coscienza, a una tale fine di quanti altri cataloghi ha raccolto nelle gallerie ove si tenevano personali; ma la catastrofica fine del « suo » catalogo la ignora. La ignora, intendiamoci, perché la vuole ignorare, perché rifiuta di includersi nella massa degli altri, perche il suo mestiere è proprio quel ­lo di essere fuori della massa, un individuo, un « solo », il quale appunto è il solo a ve ­dere il mondo bianco e viola. Questa volontà è proprio la sua carta d’identità di pittore. Egli crede nella validità del suo catalogo come in quella della sua pittura. Se così non fosse smetterebbe di dipinge ­re. E smetterebbero di dipin ­gere tutti i pittori del mondo i quali continuano a fare mo ­stre personali e cataloghi che finiscono fra i rifiuti (ed ognuno d’essi pensa: « il mio no »).

Lo abbia fatto lui, o la gal ­leria; sia un opuscolo, o un manifesto, o un gioco di fogli difficilissimi ad aprirsi, come usa oggi; in carta comune, o da imballaggio, o metallizzata; rettangolare, o quadrato, o tondo, o esagonale; bianco, o rosso pomodoro, o giallo, o arlecchino; sia insomma il più tradizionale dei fascicoletti o il più avanguardistico dei dépliants; per il pittore che fa una mostra personale, il catalogo è un poco la mostra stessa, l’emblema della sua arte, il suo riassunto psico ­logico.

E il catalogo è una delle sue fatiche non inferiore a quella di dipingere. E quando si inaugura la sua personale egli ha l’aria un poco disfat ­ta: perché, sì, ha lavorato ai quadri, ma ha anche lavora ­to a « fare il catalogo ». Vi ha lavorato sia che io abbia fatto lui, sia che lo abbia fat ­to la galleria, indifferentemen ­te. Se lo ha fatto lui, giorni e giorni nella scelta del quadro o dei quadri da riprodurre, nello studio del formato, nel seguire i clichés, nelle consul ­tazioni col tipografo; e i caratteri, e le correzioni, e la qualità della carta; e l’indeci ­sione fra « una cosa semplice » o « una bella cosa nuo ­va ». E l’attesa del testo d’un critico amico o d’un amico critico al quale poi mandare un disegno o un piccolo olio.

Se lo ha fatto la galleria, stesse preoccupazioni, aggra ­vate dall’angoscia di non es ­sere presente, con la mente piena di pensieri tormentosi quanto infantili: mi sbagliano la data di nascita… dimenti ­cano di mettere il titolo della natura morta… mi stampano la composizione 3 capovolta…

In ogni caso l’impazienza dell’attesa, l’ansia di « veder ­lo », il catalogo, di averlo fra le mani, il catalogo, di leggere quelle righe: « E’ nato a Spe ­zia il… Sue opere nei musei di Terontola, di Manila, di Oslo… ». Il piacere, un poco mostruoso, di compitare fra le labbra quella presentazione: « La sua corposità diremmo fossile trasmoda nella sfera paraonirica delle dilatazioni semantiche… ». E infine usci ­re di studio con un mucchietto di cataloghi nella tasca del ­la giacca, per offrirli agli ami ­ci e ai conoscenti, e poi non averne il coraggio, e riportare il mucchietto intatto allo stu ­dio, pensando: « L’affare è che io non ci so fare… mi fa schifo a me… Guarda Tizio… lui sì… il catalogo lo porta personalmente al presidente della Repubblica, al Papa… ».

Ed eccolo lì, ora, a casa, dopo la vernice. La galleria è lontana, lo studio è chiuso. Forse non venderà un solo quadro, forse li venderà tutti. Forse i giornali lo ignoreran ­no, forse il critico del… scri ­verà sette righe in corpo cin ­que: « …non è da lasciare inosservata certa eleganza to ­nale delle composizioni di… ». Siede sul bordo del letto in maglietta, piedi nudi. E’ tar ­di, ha sonno, ma non si de ­cide a staccarsi dal catalogo; legge per la centesima volta « …iniziò gli studi alla Acca ­demia di… sue opere si trova ­no… ». Sillaba le ultime parole della presentazione: « …la frat ­tura psichedelica della proie ­zione cromatica ». Domattina aggiungerà un pacco di cen ­to cataloghi alla montagna di cataloghi vecchi che giaccio ­no in un sottoscala dello stu ­dio: carta straccia, illusione, vita, amore.


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