LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: Da Hegel ad oggi #10/10
2 Giugno 2009
di Panfilo Gentile
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 27 febbraio 1970]
Il calendario delle celebra zioni porta quest’anno una ri correnza interessante: si cele bra il bicentenario della na scita di Giorgio Guglielmo Federico Hegel. Per l’occasione non mancheranno nel no stro paese studi, articoli, di scorsi e simposi, perché da noi Hegel è più vivo che mai. Lo provano le ristampe delle vecchie traduzioni dell’« Enci clopedia » e della « Filosofìa del diritto », le nuove traduzioni di tutte o quasi tutte le « Vorlesungen » (lezioni) e di molti scritti giovanili, edi ti in tedesco per la prima volta nell’edizione delle « ope ra omnia » di Giorgio Lasson. E lo provano anche i molti e spesso pregevoli sag gi sul filosofo di Stoccarda, editi negli ultimi decenni, di Della Volpe, De Negri, Ple be, Negri, Mure.
Molto probabilmente il pun to sulla filosofia hegeliana non sarà fatto come per il passato in termini polemici fra hegeliani ed antihegeliani ma fra neo-hegeliani di diversa confessione. Al primo decen nio del secolo, quando Cro ce scrisse il suo famoso sag gio: «Ciò che è vivo e ciò che è morto di Hegel » da un lato stavano gli hegeliani di scuola napoletana, nell’al tro stavano gli antihegeliani di varia provenienza: positi visti, neo-kantiani, cattolici. La scuola napoletana, che risaliva a Bertrando Spaven ta, a Francesco de Sanctis, a Vera, a Angelo de Meis riproponeva con Croce e con Gentile un libero ripensamen to, nel rispetto della ispirazione fondamentale, dell’idealismo assoluto. Gli avversari impugnavano l’hegelismo con molti argomenti. I principali erano il panlogismo, l’immanentismo, lo storicismo. Con l’accusa di panlogismo si attribuiva ad Hegel di avere costretto la realtà entro l’astratto schematismo di un movimento logico-dialettico delle idee, e l’ignoranza dei dati dell’esperienza. Con l’accusa di immanentismo gli si rim proverava di avere distrutto ogni opposizione fra verità ed errore, bene e male, abolen do il parametro di ogni giu dizio di valore, cancellando quella razionalità normativa e non costitutiva, che Kant ave va fatto salva nella « Critica della Ragion pratica ». E infine con l’accusa di storici smo, gli venne addebitato di avere concepito tutta la sto ria come storia sacra, fornen do così una giustificazione del fatto compiuto.
Non starò a discutere quan te di tali accuse erano fondate e quante erano il frutto di incomprensione e malinte so. Ad ogni modo esse non riuscirono ad archiviare una filosofia, che continuò ad in teressare la cultura europea. II più recente interesse cadde però in un ambiente assai diverso da quello del pri mo decennio del secolo. Scomparsi i positivisti, scomparsi i neo-kantiani, e distrattisi molti cattolici dal tradiziona le tomismo, presero voga nuo ve correnti: l’esistenzialismo, il freudismo e il neo-marxi smo, ed ognuna agì, ora se parata, ora commista con le altre. Orbene, gli autori, che hanno esercitato la maggiore influenza non sono scesi in campo contro Hegel, ma hanno anzi preteso, più o meno legittimamente, di discender ne in una certa misura.
Prendiamo, ad esempio Sartre. Sartre è un esistenzia lista, che deve molto più ad Hegel che a Kierkegaard o ad Heiddeger. La base su cui si fonda l’« Étre et le néant » è la « Fenomenologia » di He gel. Il freudismo e il mate rialismo storico si aggiungo no poi all’hegelismo con una sutura puramente esterna sen za nesso interiore con quanto precede. Sartre non procede ad un’adulterazione di Hegel. Ci dà solo un Hegel incom pleto. La « Fenomenologia », come tutti sanno, fu l’opera prima di Hegel non solo nel senso puramente cronologico; fu l’opera giovanile, dell’an no 1807, quando Hegel aveva solo trentasette anni, ma fu prima anche nel senso filosofico, perché servì da introduzione alle opere succes sive, costituì la necessaria pro pedeutica del pensiero che poi si svilupperà nella Logica, nell’« Enciclopedia » e nella « Filosofia del Diritto ». He gel infatti non volle fare esplodere il suo sistema, come Fichte e Schelling avevano fatto postulando fin dal l’inizio l’Io, il Soggetto tra scendentale, dal quale poi facevano uscire tutto l’univer so, come il prestigiatore fa uscire i piccioni dal suo cap pello. Il loro punto di par tenza doveva essere accetta to con un atto di fede e tut to il sapere che ne discende va restava così condizionato da un principio dogmatico e indimostrato.
Hegel invece parte da un soggetto empirico, da un sapere comune e poi segue il processo attraverso il quale questo soggetto è tratto necessariamente nel suo svilup po interno ad innalzarsi fino a una verità trascendentale e cioè speculativa, razionale, obbiettivamente valida. Utilizzare Hegel attraverso la « Fenomenologia » ed ignorarlo nelle opere successive, come Sartre, significa arrestarsi alle porta di ingresso, significa cioè fermarsi alla prefazione e non leggere il libro. A guardare bene, Sartre può fare ciò solo perché non ha mai simpatizzato con gli scopi co struttivi della « Fenomenolo gia ». Egli ha studiato quest’opera sotto la suggestione di Gide, che non nomina mai ma che è sempre presente. Gide è il vero maestro di Sartre, anche se Sartre supera il maestro per preparazio ne e capacità di muoversi nel le atmosfere rarefatte della astrazione. Non sembra tuttavia che Sartre abbia fatto scuola in nessun paese.
Maggiore attualità, anche se di molto inferiori a Sartre, hanno le dottrine di Lukàcs e di Marcuse. Anche qua abbiamo lo stesso pasticcio esistenzialista-marxista-freudiano. Hegel è tirato in ballo, come una specie di precursore del marxismo, attraverso un’interpretazione estremamente arbi traria del suo pensiero. Per Lukàcs, Hegel apre la via al marxismo con la sua scoper ta della dialettica obbiettiva come legge del processo sto rico. Si tratta di un ravvicinamento artificioso, perché in realtà non c’è nessuna paren tela fra la dialettica hegelia na che si consuma sul piano della logica e non penetra nella storia, e la pseudo-dialettica marxista delle contraddizioni tra forme della produzione e sovrastrutture giuridico-politiche. Più felice è il Lukàcs quando sostiene con tro Glockner il carattere razionalista della filosofìa hege liana. Facile assunto. Hegel fu in tutta la sua opera in aspra polemica coi romantici tipo Jacobi e Mendelshon, e ci voleva la temerarietà di un Glockner per affermare il contrario.
Marcuse adotta press’a poco l’interpretazione di Lukàcs, il quale fa testo in tutta la letteratura ispirata al marxismo. Funambolesco e caotico, Mar cuse fa di Hegel addirittura un contestatore suo malgrado, perché il processo dialettico avrebbe come suo momento essenziale la rivoluzione il ribaltamento radicale di ciò che esiste.
Mi pare chiaro che di con tro a codesti interpreti di He gel, che in sostanza lo « stru mentalizzano », per dare un antenato illustre alle loro ideo logie politico-sociali, non potranno non schierarsi gli he geliani (ortodossi o non, poco importa) che si collocano al di fuori e al di sopra del l’impegno ideologico e politi co. I De Negri, i Franchini, cito i primi nomi che mi vengono in mente, quanti hanno studiato Hegel con spi rito di ricerca e non di pro paganda, chiederanno certa mente di restituire alla me moria del Maestro il diritto di essere ricordato per quel che egli pensò e scrisse e non per quel che può servire agli interessi profani di attualità. Bisognerà ridare al filosofo di Stoccarda i suoi contorni veri e buttare nel cestino le caricature in circolazione.
Sarà il miglior modo per celebrare questo bicentenario.
E per l’occasione dovrebbe essere reso un doveroso omag gio alla memoria di uno studioso di Hegel, i cui meriti furono pari solo all’umiltà con cui egli in vita volle che fos sero ignorati e cioè alla me moria di Arturo Moni. II suo nome figura nella traduzione insuperabile che fece della « Logica » (edizioni Laterza).
Ma egli fu anche autore di saggi fondamentali su questa parte più ardua del pensiero hegeliano. Moni non fu mai né professore, né mescolato in altro modo al mondo seco lare. Fu un asceta che visse solitario a Bagni di Lucca, sua patria gentile. E questi suoi saggi lesse a un’Accade mia della città di Lucca, accademia della quale non ricordo il nome1 . Essi furono seppelliti negli atti. Sarebbe giustizia e profitto ripubbli carli in raccolta, o meglio pubblicarli. E’ un voto che faccio nella sicurezza che sa rà accolto dalla gente di Toscana.
1(Si tratta dell’Accademia Lucchese di Lettere Scienze e Arti. Se ne può leggere qui – bdm)
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Giugno 2009 @ 17:39
Condanno anch’io, con l’autore del presente saggio, la falsità e la voluta forzatura dei marxisti, nel voler far derivare le loro teorie da Hegel. Questi lo hanno fatto, per avere una “paternità” di gran nome e per dar maggior credibilità e fondamento al loro pensiero, essendo Hegel il massimo rappresentante dell’idealismo assoluto ed uno dei più grandi filosofi europei e non. Hegel ha poco o niente da spartire con i principi del marxismo.
Sono felicemente sorpreso nello scoprire la figura di Arturo Moni da Bagni di Lucca, che, nella sua umiltà e nel suo ascetismo, è stato uno dei maggiori studiosi del grande filosofo tedesco ed un originale interprete del di lui immenso pensiero. Andrebbe rivalutato ed onorato a dovere
Gian Gabriele Benedetti
Commento by Bartolomeo Di Monaco — 2 Giugno 2009 @ 17:55
I nostri sono più conosciuti fuori che in casa propria, come spesso succede.
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