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LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: Erasmo #6/10

2 Febbraio 2009

di Panfilo Gentile
[dal “Corriere della Sera”, sabato 8 novembre 1969]  

Erasmo da Rotterdam fu così definito da Walpole: « un parassita mendicante che aveva avuto abbastanza talento per vedere la verità ma non abbastanza coraggio per professarla ». Questo giu ­dizio severo ancora oggi la ­scia perplessi gli storiografi e credo che quest’anno se ne discuterà abbastanza, dato che si celebra il quinto centenario dalla nascita di Erasmo.
Vada per il parassita e per il mendicante. Non vi è dub ­bio infatti che Erasmo, prete mancato, professore a tempo perso, amante dei piaceri e delle donne, passò la sua vita nella ricerca dei favori dei principi e dei potenti, per otte ­nerne il massimo degli utili col minimo delle servitù. In ­tellettuale quindi imbroglione e doppiogiochista, sempre in bilico tra il cortigiano e lo scroccone. Montanelli-Gervaso ne hanno fatto un insuperabile ritratto nel loro volume sulla « Controriforma ».
Ma l’accusa di Walpole va oltre. Secondo Walpole, Era ­smo si sarebbe reso colpevole anche di fellonia e di codardia: tra la verità e l’errore egli pur essendo dalla parte della verità non avrebbe avuto il coraggio di combattere per essa. E su questo punto credo che si discuterà all’infinito. Vediamo un po’ come stanno le cose. Quando Walpole parla di verità e di errore egli si riferisce al grande dibattito dell’epoca, a quello che s’era aperto tra Lutero e la Chiesa. Ed allora l’accusa può reggersi solo se sia provato che Erasmo parteggiava in cuor suo con la Riforma e ne condivideva senza riserve le tesi e tuttavia si asteneva dal prendere posizione per paura della Chiesa.
Badate che a favore di Erasmo non può essere eccepito che egli era un semplice letterato, estraneo alla controversia e quindi senza obbligo d pronunciarsi. Infatti se è vero che Erasmo fu un umanista consumato, che la sua fama e la sua carriera tra i contemporanei gli provennero soprattutto per la sua magistrale conoscenza dell’antichità classica latina, è altrettanto vero che non si limitò al campo letterario. Non fu un Petrarca o un Pico della Mirandola in ritardo. Filosofo, teologo, traduttore e commentatore della Bibbia, familiare con Papi e cardinali, non poteva sentirsi o fingere di sentirsi indifferente alla controversia religiosa. E certamente nelle sue opere si trovano non pochi passi che un secolo più tardi sarebbero bastati a fargli fare la fine di Giordano Bruno.
 

*

Quando Lutero affisse le sue famose tesi, non ne fu affatto scandalizzato. Ne man ­dò copia ai suoi amici inglesi Moro e Colet e più tardi scri ­veva ad un amico: « Io cre ­do che queste tesi piaceranno a tutti… La Curia romana è la rovina della cristianità ». Lo stesso Lutero in persona credette di vedere in Erasmo un maestro ed arrivò a chie ­dergli l’appoggio. E questo farebbe pensare che il giudi ­zio di Walpole era fondato. Ma bisogna fare qualche pre ­cisazione. Bisogna richiamarsi all’atmosfera rinascimentale in cui si respirava l’incredulità perfino nella gerarchia ec ­clesiastica. Leone X continuò a proteggere Erasmo anche quando qualcheduno aveva sollevato proteste contro il di lui Commento alla Bibbia. Certe critiche alla Chiesa, ai suoi costumi, alla vendita del ­le indulgenze e così via erano sulla bocca di tutti. Certi mo ­tivi polemici luterani non sembrarono inconciliabili con l’ortodossia, se il cardinale Contarini ad un certo mo ­mento potette credere di ave ­re acconciato tutto.
Stando al Ranke, il falli ­mento dell’accordo con Lute ­ro sarebbe stato voluto anche dal Papa, il quale preferiva una Germania religiosamente divisa. Sarebbe stato questo, sempre secondo il Ranke, uno dei casi più spettacolari in cui gli interessi religiosi sarebbero stati sacrificati agli interessi del potere temporale. Vi deve essere stato dunque un momento in cui un atteggia ­mento     favorevole     a     Lutero poteva     sembrare,     nella    co ­scienza del tempo non incom ­patibile  con  la  permanenza nella Chiesa cattolica.   Un’al ­tra precisazione è che un at ­teggiamento critico verso certi costumi     della   Chiesa   non   si identifica necessariamente con l’adesione a una Chiesa nuova e diyersa.  La lettera  di Erasmo  in  risposta  all’invito di Lutero a solidalizzare, invito che  venne declinato,  è decisiva  per  capire  tutta  la distanza  tra   le posizioni   dei due.
Erasmo si mostra molto lusingato dell’invito.  Ammette certe posizioni comuni, tanto   che a Lovanio molti credono che sia  lui   Erasmo   ad ispirare gli scritti di Lutero. Informa Lutero di aver dovuto subire     molte     animosità     per questi sospetti e di aver do ­vuto giurare di non aver nem ­meno letto i libri di Lutero e perciò di non essere nemmeno in grado di approvarli o disapprovarli.
Ammette sinceramente di non volersi compromettere appoggiandolo nella sua contesa con la Chiesa romana perché, aggiunge, « il mio pane è la letteratura. A questa cerco di limitare i miei interessi, tenendomi il più lontano pos ­sibile da altre dispute, nelle quali tuttavia penso che la cortesia sia più produttiva della violenza ». E queste pa ­role ancora potrebbero dar ragione a Walpole. Ma la lettera prosegue così: « Sareb ­be più saggio da parte vostra denunciare coloro che abusa ­no dell’autorità del Papa, che non censurare lui e seguire la stessa regola per i re ed i principi. Le vecchie istituzio ­ni non possono essere sovver ­tite dall’oggi al domani. Evi ­tate i toni sediziosi. Mante ­netevi calmo. Non incolleri ­tevi. Non odiate. Cristo vi dia il Suo spirito per la Sua gloria e il bene di tutti ». In queste parole non c’entra il tornaconto personale. Erasmo è contrario ad una sollevazio ­ne contro Roma, perché com ­prende i meriti della Chiesa di Roma e più generalmente i meriti di tutte le vecchie istituzioni. Bisogna semmai correggerle e non sovvertirle. Erasmo è, diremmo oggi, un conservatore riformista e non un rivoluzionario.
 

*

La distanza diventa anco ­ra più grande, quando Lute ­ro reagì alla scomunica con inaudita violenza bruciando pubblicamente la bolla e in ­vitando i tedeschi a « lavar ­si le mani nel sangue dei ve ­scovi e dei cardinali ». Erasmo ne fu indignato e Lutero lo ricambiò secondo il suo stile con ogni sorta di con ­tumelie: codardo, rinnegato, camaleonte, disertore. Qua non è diversità di tempera ­mento personale soltanto. Al ­lora si capì la diversa posizione dei due. Erasmo ten ­de alla laicità, all’increduli ­tà e in finale alla libertà per ­sonale. Lutero resta nell’am ­bito della fede e del dogma e in finale mira a una Chie ­sa intollerante e scatenata in sostituzione della vecchia Chiesa diventata coi secoli scettica e indulgente. Dall’insegnamento di Erasmo non esce una nuova fede, né una nuova Chiesa, ma un mondo di liberi pensatori criticamente emancipati da ogni dogmatismo autoritario.
Dall’insegnamento di Lutero è uscito il giovane fanati ­smo delle confessioni prote ­stanti e una reviviscenza del fanatismo cattolico, che con la Controriforma arrestò il suo processo liberalizzante e, per difendersi, dovette resu ­scitare l’antica intransigenza. Qua cade la premessa del giudizio di Walpole. Erasmo non si macchiò di codardia, ne di opportunismo per non aver professato la verità di Lutero. Questa non era la sua verità.
Tuttavia  questa  bega  in definitiva ha giovato alla fa ­ma  postuma  di  Erasmo.  Se non fosse stato cacciato nel ­la  compromettente  amicizia (per modo di dire)  con Lu ­tero, forse di Erasmo non si ricorderebbe nessuno. L’«Elogio della pazzia » e i « Collo ­qui » appartengono a quei libri,    che  non     sono  mai  di ­menticati nelle collezioni po ­polari  dei  classici,  ma  che nessuno  legge.  Resta   l’uma ­nista, ma anche l’umanesimo è in ribasso. Gli umanisti re ­sero probabilmente un gran ­de servizio alla cultura rina ­scimentale con la loro risco ­perta  della  cultura  classica. Ma chi può misurarne i dan ­ni?   Perlomeno   in   Italia l’u ­manesimo creò un’eredità pesante  di  pedanteria,  di  let ­teratura da tavolino, di  imitazione e di accademico, tanto  che  bisognò  arrivare  a Manzoni  ed  a  Leopardi   per poter     rileggere     senza     sbadigli un libro in lingua italiana. Erasmo,     oltre  che  umanista, fu un uomo rinascimentale, nel senso burckhardtiano della parola. Girò come una trottola per tutta l’Europa, stette a Parigi, a Londra, a Cambridge, a Roma, Lovanio, per morire a Basilea. Ebbe costumi sregolati e, in gio ­ventù, vigorosi. La sua ala ­crità di lavoro fu inconcepi ­bile. Fu prodigo e magnifico nello spendere? Guadagnò molti denari e stette sempre senza un soldo. Ma non sem ­bra che la nostra epoca ab ­bia per l’uomo rinascimenta ­le quella stessa disposizione ammirativa che avevano le generazioni che ci hanno pre ­ceduto. Burckhardt insegnava a Basilea negli stessi anni che vi insegnava Nietzsche. Non sappiamo quanta in ­fluenza l’uno abbia avuto sul ­l’altro. Comunque l’uomo rinascimentale burckhardtiano sembrò essere servito da mo ­dello del superuomo e il di ­scredito di quest’ultimo ha travolto il forse incolpevole uomo rinascimentale. La be ­ga con Lutero metterà in lu ­ce la benignità di Erasmo ri ­spetto al fanatico riformato ­re. L’eloquenza commemora ­tiva si riverserà su questo Erasmo, apostolo della tolle ­ranza, non senza qualche ipo ­crisia dei commemoratori.

 

 


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 2 Febbraio 2009 @ 16:35

    Io ritengo che Erasmo da Rotterdam, più che un personaggio controverso, come qualcuno lo considera, sia stato un uomo dalla visione di grande modernità, per il suo tempo. Questa modernità (tra l’altro viaggiò moltissimo per uno di quell’epoca) esce a piene mani dal suo “Elogio della pazzia”. Mi piace qui riportare uno stralcio significativo: “Secondo la definizione degli Stoici, la saggezza consiste nel prendere per guida la ragione; la follia, al contrario, nell’obbedire alla passione; ma affinché la vita degli uomini non sia troppo triste, Giove ha dato loro più passioni che ragione”. Con questo affermava, a mio avviso, la supremazia del cuore sulla fredda razionalità.
    Per quanto riguarda la Riforma e la Controriforma, credo che Erasmo abbia tenuto un comportamento molto equilibrato, capendo che sì bisognasse correggere le vecchie istituzioni ecclesiastiche, senza però sovvertire ciò che di buono contenevano. Posizione, quindi, da riformista avveduto
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Carlo Capone — 2 Febbraio 2009 @ 20:26

    Concordo con Gian Gabriele. E aggiungo che se Roma avesse ascoltato Erasmo forse non avremmo avuto, di lì a poi, cento anni di lutti e rovine e, soprattutto non ci sarebbe stata la Controtiforma. Ma senza Riforma non sarebbe nato neanche il Calvinismo, tuttavia, il motore del progresso moderno.

    Carlo Capone

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