LETTERATURA: STORIA: I MAESTRI: La città di Geremia24 Giugno 2017 di Carlo Laurenzi Ogni qual volta mi fermo a Sovana, mi ricordo di Famagosta anzi di Magosa co me la chiamano i turchi. Magosa e Sovana hanno la me desima aria bianca: ambedue sono luoghi disfatti. Il silen zio di Magosa è più altero, ma la perdizione di Sovana è forse più irrimediabile. Che importa se il mare di Cipro penetra Famagosta, che importa se un’Etruria pietro sa, ricca di tombe, cinge So vana. Ambedue sono il pas sato e il deserto. Ambedue, in dimensioni diseguali, sono amplissime. I ruderi di trecentosessantacinque chiese cri stiane, una sola delle quali mutata in moschea, si levano a Magosa. Sovana, le cui ma cerie permangono consacrate, ospita secondo l’ultimo com puto duecentoventiquattro abi tanti, e il suo spazio potreb be accoglierne diecimila. Tan to sterminio eccita i poeti della provincia maremmana: « Brandello d’anima a ferir l’azzurro – senza tempo af fondata nel silenzio – si di stacca la tua immobilità », co sì un poeta maremmano apo strofa la rovina del castello Aldobrandesco. I pitiglianesi, che in parte discendono da ebrei trapiantati nel secolo XV, hanno donato a Sovana una definizione biblica, « la città di Geremia ». * Geremia fu percosso, im prigionato, chiuso in una ci sterna fangosa; poi i babilo nesi tollerarono che restasse solo con gli infermi e con i poveri a piangere in una spo polata, offesa Gerusalemme. Ma Gerusalemme serbava un’arca, era pur sempre il ri chiamo, mentre le piaghe di Sovana non dolgono più. Non ho veduto nessun luo go, in Italia, subire cambia menti di tanto poco rilievo come Sovana in questi ulti mi anni, così voraci. Certo, è stata costruita una scuola, orribile. Hanno aperto, nel l’unica via del paese, un ne gozio di scarpe la cui vetri na ha qualche presunzione. Su alcuni tetti sono spunta te le antenne dei televisori; la locanda ha un’insegna di versa. Mi sembra che il ca talogo delle novità si esau risca con queste annotazioni. Sovana è ancora tutta in quel la sua unica via che comin cia con la Rocca Aldobrandesca, si allarga nella piazza del Pretorio, si richiude, ter mina allo sperone dove sor ge il Duomo, dai lenti restau ri. L’aria è lattiginosa; una ruvida primavera fiorisce nei pruni. Le case sono tutte antiche e quasi tutte cadenti. Ho l’im pressione che il parco mac chine dei sovanesi sia costi tuito da non più di quattro automobili. Il selciato della strada, che fu di un bel mat tone a spinapesce, cede ai sassi e alla polvere. Anche se i sovanesi sono tutti sugli usci, l’apparenza del paese è di vuoto. Le donne sono per lo più vestite di nero. Uno dei miei rimpianti è di non avere mai sostato abbastan za a lungo a Sovana per sta bilire un colloquio con la gente del paese: tramandano che la loro origine sia neo greca, giacché i granduchi medicei si adoprarono a ri popolare Sovana con colonie di profughi da Maina nella Morea. L’aspetto di questi abitanti è mite: l’estenuazio ne di Sovana, florida in epo ca etrusca e potente nel Me dioevo, si era già consumata quando i loro avi furono de dotti fra questi simulacri. Il dramma di una piccola Ge rusalemme li elude, proprio come l’agonia di Famagosta non riguarda i turchi di Magosa, eredi làceri dei conqui statori. Nessuna geremiade si innalza. Nessuna malinconia storicistica comporterà che si chiudano gli occhi di fronte al fatto consolante che l’este nuazione di Sovana, non di versamente dall’estenuazione di Famagosta, è la pace. * Per quanto mi concerne, sono solito fruire della pace di Sovana rifocillandomi all’osteria, dove ci si può nutrire di agnello arrostito sulla brace o di un pollo tiglio so, il buon pollo coriaceo di una volta. Ovviamente, non trascuro le risorse del pae saggio né quelle dell’arte: il tabernacolo della chiesa di Santa Maria, il palazzotto del l’Archivio, la loggia del Ca pitano, il duomo romanico. Quale ulteriore tributo si può pagare a un villaggio morto? Talora, capito a Sovana con amici. Qualche amico si com muove davanti a una soglia, una casa nera e chiusa come tante altre a Sovana. Una scritta, forse avventata, cer tifica che qui, in questo abi turo, nacque Ildebrando. Se chi si commuove non è indif ferente al travaglio della Chie sa, avviene allora che mor mori o esclami: « Ecco chi ci vorrebbe oggi: un nuovo Ildebrando ». Affermazioni del genere mi rendono perplesso. Forse Il debrando non nacque a So vana; forse era di genia prin cipesca, forse figlio di un legnaiolo. Sicuramente fu un grande pontefice, forse il più grande. Ma la perplessità de riva soprattutto dal dubbio se si possa qualificare come vittoriosa o addirittura trion fante l’opera di Gregorio VII. Quando mi fermo a Sovana, sotto questo cielo spento, so no incline piuttosto a ricor dare quante volte â— con quanta pertinacia, con quan to eroismo â— Ildebrando sia stato sconfitto. In fondo basterà che risfo gliamo i libri di scuola. L’umi liazione di Enrico IV ai piedi del Papa fu in realtà una mossa perspicace dell’Impe ratore, il quale aveva solo ventisette anni contro i ses santa dell’antagonista, ma pos sedeva un’astuzia indomabile. Si troverà che Canossa, ri portata ai problemi di oggi, conta ben poco: il cesaropa pismo non è di moda. Però, a proposito di certe dispute sacramentali, sembra che Gre gorio VII, mediocre teologo, non avesse molti argomenti da opporre a Berengario di Tours il quale negava la Tran sustanziazione postulando con sottigliezza che se Cristo fosse presente nell’Eucaristia dovrebbe moltiplicarsi e dista re dal cielo. Si obbietterà che Ildebrando lottava in nome della purezza morale prima che per l’ortodossia teologi ca: il nicolaismo era la sua idra. Eppure i preti decisi a prender moglie, o comunque a rivendicare il diritto a una loro dose di lussuria, non vennero esattamente debella ti. Ildebrando era uomo d’a zione e di potere: allora la sua ultima sconfitta fu la più intollerabile, giacché Ilde brando, pontefice di Roma, morì nell’inospite città di Sa lerno, in esilio. E’ vero che, morendo, rias sunse la sua grandezza nella frase: Dilexi justitiam odi iniquitatem. Questa coerenza lo fasciò, per questo coraggio non si diede vinto. Ma che commentare, oggi? Uno dei miei conoscenti che si sono turbati a Sovana ha detto: « Più che a Gregorio VII, ormai la Chiesa dovrebbe sim bolicamente ispirarsi ad Ataturk: nello sfacelo dell’impe ro ottomano rimanga in piedi il troncone anatolico, purché sia vitale ». Ecco un curioso parallelo con il mondo dei turchi, do po quello fra Sovana e Ma gosa. Debbo aggiungere che questo mio conoscente (e credo che la cosa sia intuibi le) è un prete. Si qualifica « contestatore di destra ». Letto 1227 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||