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STORIA: I MAESTRI: La rivolta studentesca. Adieu, De Gaulle, Adieu

2 Agosto 2013

di Piero Sanavio
[da “La Fiera Letteraria”, numero 23, giovedì, 6 giugno 1968]

Parigi, maggio

Una settimana di sciopero generale, una settimana di quotidiane battaglie studentesche con la polizia, che da Pa ­rigi si sono estese alla provincia; a Lione, dove è stato ucciso un commis ­sario, Nizza, Strasburgo, Tolosa, Poitiers, Nancy, Clermont-Ferrant, Besaní§on, Rennes, Limoges e Bor ­deaux. Un discorso del capo dello Sta ­to con proposta di referendum, che non è piaciuto a nessuno, tolti i fede ­lissimi, ma è significativo che qualche giorno prima il ministro gollista Pisa ­ni fosse passato all’opposizione votan ­do la mozione di sfiducia al governo e dimettendosi dalla carica; un Paese completamente paralizzato; una capi ­tale isolata, dove già mancano le pata ­te e la benzina, con i morti seppelliti dai soldati del Genio (anche i becchini hanno incrociato le braccia), il telefo ­no interurbano non funziona più e quello urbano abbastanza saltuaria ­mente; i giornali non sono più distri ­buiti, le scuole sono chiuse, e anche gli annunciatori televisivi si astengo ­no dal lavoro, sicché le notizie di quanto avviene in Francia e nella stessa Parigi, per non parlare dell’e ­stero, giungono solo attraverso la ra ­dio governativa o dalle antenne abba ­stanza obiettive di Radio-Luxembourg.

Le immondizie s’accumulano intan ­to agli angoli delle strade quando non invadono interi quartieri, quasi aves ­sero gambe: a delizia dei topi. Fortuna che non fa caldo. Alle Halles, il fetore di marcio è simile a quello d’un corpo in decomposizione. Non bastano i sol ­dati che hanno indossato l’uniforme da fatica e caricano le immondizie sui carri per portarle… dove, se anche i depositi sono bloccati dagli sciope ­ranti? Una parte è depositata e brucia ­ta ai limiti del XVI arrondissement, all’incrocio tra una « bretella » del boulevard periferico e il ponte del Garigliano, così chiamato in omaggio alle vittorie italiche dei soldati marocchi ­ni, durante la scorsa guerra.

Il fumo che s’alza da quel deposito è spesso e fetido. L’altra notte, verso le due, mentre gli studenti si battevano con la polizia, segavano alberi per ser ­virsene come barricate, incendiavano il pianterreno della Borsa, assaltavano e saccheggiavano due commissariati, davano fuoco a qualche furgone vuoto di CRS (Corps republicain de securité – la questura), le fiamme dell’immondezzaio s’alzarono a dimensioni preoc ­cupanti, e occorse l’intervento delle autopompe per spegnerle. Oggi il fu ­mo grigio continua a salire, ma la com ­bustione dei rifiuti è sotto controllo.

Sotto controllo sono anche i sindaca ­ti e la loro eminenza grigia, il Partito comunista, occupati a discutere con il governo e la confindustria ( « Le patronat ») le rivendicazioni che provocaro ­no l’arresto del lavoro. Tutti prevedo ­no che tra qualche giorno ritornerà l’ordine: le rivendicazioni saranno sod ­disfatte (aumento dei salari minimi; allargamento delle garanzie sindacali; riduzione delle ore di lavoro e del li ­mite d’età al quale si può andare in pensione), « L’Humanité » potrà gridare vittoria a grossi titoli e gli scioperanti riprenderanno il lavoro. Fino al pros ­simo rialzo dei prezzi e all’inevitabile svalutazione del franco, che gli esperti attendono per il mese di settembre.

A che cosa sarà servito, allora, lo sciopero generale? Probabilmente a di ­mostrare che i sindacati e il Partito comunista francesi sono organi alta ­mente strutturati, che posseggono un largo seguito di massa, che parlano più facilmente agli operai e al governo, e agli intellettuali che l’invidia di classe gioca ancora un ruolo impor ­tante in Francia, uno dei pochi Paesi moderni dove le strutture sociali siano rigide nel 1968 come lo erano nel 1900. A gettare uno sguardo sugli av ­venimenti di queste tre ultime setti ­mane, infatti, appare chiaro che sinda ­cati e Partito comunista non desidera ­vano lo sciopero: che a esso avrebbero preferito un’azione parlamentare: che lo decretarono per non essere presi in contropiede dagli studenti, di cui ave ­vano denunciato il carattere delle ma ­nifestazioni, al tempo stesso che le reazioni della polizia.

Dei partiti all’opposizione, dall’ini ­zio del mese di maggio, il Partito co ­munista fu l’ultimo a muoversi. Quan ­do lo fece, fu per tentare di assorbire gli studenti, inquadrandoli nel proprio sistema: appoggiò infatti i gruppi « or ­todossi » all’interno dei vari sindacati studenteschi. La manovra non riuscì. Al syndicat national de l’enseignement superieure, i comunisti propone ­vano da tempo la formazione di un « fronte unico » universitario contro il governo, e delle rivendicazioni essen ­zialmente d’ordine materiale. La mag ­gioranza si schierò invece dietro il se ­gretario generale, Alain Geismar (29 anni, socialista, laureato in fisica, as ­sistente alla Facoltà di scienza dell’Università di Parigi), che preconizzava un’azione immediata per la trasforma ­zione dell’Università, contro l’immobi ­lismo e la mafia dei cattedratici. S’af ­fermava intanto l’importanza del « mouvement du 22 mars » e del suo leader, Cohn Bendit, il quale completa ­va l’azione di Geismar e toglieva l’ini ­ziativa ai comunisti ortodossi propo ­nendosi di riunire in un’azione comu ­ne tutti i gruppi studenteschi d’estre ­ma sinistra. L’altro sindacato studen ­tesco, l’Union nationale des etudiants de France (UNEF), restava diviso in una serie di gruppi di idee diverse, dalla destra alla sinistra, sotto la va ­cillante autorità del suo vice-presiden ­te, Jacques Sauvageot.

La prima battaglia tra studenti e po ­lizia avvenne a Parigi la notte tra il 13 e il 14 maggio: fu importante in quan ­to riuscì ad attirarsi le simpatie degli elementi più giovani della classe ope ­raia. Di fronte alla brutalità delle re ­pressioni di polizia, tutta l’opposizione s’alzò indignata â— anche il PC e la Confederation general du Travail, la quale ultima proclamò per 24 ore lo sciopero delle erogazioni del gas e del ­l’elettricità. Contemporaneamente, e sempre con l’opposizione, il Partito co ­munista tentava l’azione parlamentare – quella della mozione di sfiducia al governo.

Gli studenti occuparono la Sorbona il 15 mattina, mentre la facoltà di Lettere di Nanterre si costituiva in « Facoltà libera e autonoma » su pro ­posta del professore Michaud, che tra gli applausi degli studenti di ­chiarava: « Saremmo imperdonabili se non approfittassimo delle circostanze straordinarie nelle quali ci troviamo, per cambiar le nostre strutture mentali e l’organizzazione della Facoltà ».

In Sorbona, gli studenti aprirono dei dibattiti ininterrotti, ventiquattro ore su ventiquattro, ai quali invitarono la popolazione e che avevano come scopo d’informare l’opinione pubblica sul punto di vista degli universitari e decidere le riforme da apportare im ­mediatamente all’insegnamento supe ­riore. Nuovamente il Partito comuni ­sta tentò di assorbire il movimento studentesco, agendo per mezzo delle varie commissioni e sottocommissioni che si riunivano negli anfiteatri della Sorbona, e nuovamente non vi riuscì. Gli studenti accusarono il Partito co ­munista e i suoi rappresentanti, di « crapoule stalinienne ». Nel frattem ­po, Cohn Bendit aveva abbandonato Parigi, tornandosene a Nanterre.

I risultati dei dibattiti, che non si li ­mitavano alla riforma universitaria ma investirono tutti i problemi, dalla filosofia al controllo delle nascite alla nettezza urbana (notevole, in proposi ­to, l’intervento d’uno studente africa ­no, che dichiarò che lui, per vivere, la ­vorava sui camion d’immondizie, e an ­cora non aveva visto un bianco fare quel mestiere), furono piuttosto dra ­stici: si fece strada e si affermò l’idea di procedere immediatamente a una trasformazione dell’Università e delle strutture sociali del Paese, le quali ul ­time erano dichiarate responsabili del ­la crisi attuale dell’insegnamento su ­periore.

I discorsi non avevano, però, sosti ­tuito le manifestazioni. Nel corso di quella settimana gli studenti occupa ­vano il teatro dell’Odeon (il Théàtre de France) dichiarandolo, durante una movimentata discussione con il suo direttore, J. L. Barrault, tempio dell’arte borghese. In provincia, a Gre ­noble, si dissolveva la Facoltà di Leg ­ge; a Caen, gli studenti minacciavano di boicottare gli esami; a Nantes, la Facoltà di Lettere decideva di far scio ­pero; a Tolosa, l’Institut national des sciences veniva occupato; ad Aix en Provence, la Facoltà di Lettere segui ­va l’esempio di Nantes; a Rouen, ven ­timila manifestanti tra studenti, inse ­gnanti e operai protestavano contro il governo. Questo intanto prometteva, per la bocca del suo primo ministro, la partecipazione studentesca all’elaborazione di riforme.

Il 18 maggio, un sabato, una impo ­nente manifestazione di studenti e operai si diresse verso la sede della TV (ORTF), per chiedere di poter esprimere il punto di vista dei sinda ­cati studenteschi alla popolazione. I manifestanti si scontrarono con uno schieramento di polizia e CRS e si di ­spersero. Fu allora che i sindacati (che già avevano fatto uno sciopero di protesta il 15) dichiararono per il lu ­nedì seguente lo sciopero generale. In ­tanto anche la polizia pareva comin ­ciare a nutrire certi dubbi pericolosi: problemi di coscienza. Rispondendo, per mezzo dei propri sindacati, al di ­scorso che l’indomani della prima bat ­taglia tra forze dell’ordine e studenti il primo ministro aveva fatto (di ritor ­no dal Medio Oriente, e nel corso del quale aveva deplorato gli eccessi delle due parti), esso dichiarava d’aver agi ­to non di propria iniziativa ma in ba ­se a ordini precisi: e che pertanto non le pareva giusto che il governo si de ­solidarizzasse dalle azioni repressive che essa aveva compiuto.

Il movimento studentesco scosso da dissidi interni cominciava a perdere il suo impeto, cedendo il campo all’azio ­ne dei sindacati operai e del Partito comunista. C’è un episodio significati ­vo: alle prime notizie dello sciopero generale, un gruppo di studenti si di ­resse alle fabbriche Renault, nel sob ­borgo parigino di Boulogne-Billancourt, con lo scopo d’esprimere la pro ­pria simpatia e solidarietà agli operai che occupavano i luoghi di lavoro. Il contatto non fu possibile: gli operai restarono dietro le griglie dei cancelli, obbedendo così agli ordini della CGT e del PC, che avevano precedentemente dichiarato che « gli operai conduceva ­no da soli la loro battaglia » e non ave ­vano bisogno di nessuno.

Poi vi fu un errore â— e a commet ­terlo fu il governo. Appena qualche giorno dopo aver dichiarato l’amnistia per tutti gli studenti imprigionati nel corso di scontri e manifestazioni, il ministro dell’interno comunicava che Daniel Cohn Bendit, che aveva mo ­mentaneamente lasciato la Francia per il Belgio e la Germania (e di cui si sussurra sia fidanzato con la figlia di un importante membro del regime gollista), era « interdit de sejour » sul territorio francese. Immediatamente, gli studenti organizzarono una mani ­festazione di protesta (23 maggio), finita in un nuovo scontro con la poli ­zia e ne promisero un’altra per la sera del giorno dopo. Quel venerdì vi fu il discorso del capo dello Stato, la pro ­messa di negoziati (per il sabato suc ­cessivo) con i rappresentanti sindacali da parte del primo ministro, e una prova di forza della CGT e del PC. Due imponenti sfilate di lavoratori traversarono Parigi, una sulla riva de ­stra e un’altra sulla riva sinistra, ordi ­natissime, al canto dell’Internazionale. Arrivate ai loro punti prestabiliti, le manifestazioni si dissolsero.

Il corteo degli studenti, cominciato alle 18,30 alla Gare de Lyon, e condan ­nato come irresponsabile ancor prima di formarsi dai dirigenti del PC fini in un altro modo. Confluirono sullo spiazzo antistante la stazione in parec ­chie migliaia, ragazzi e ragazze, non tutti di Parigi ma provenienti anche da Università di provincia, tra i quali si mescolavano operai, disoccupati, cu ­riosi. Fatti saggi dalle esperienze pre ­cedenti, alcuni studenti nascondevano dei manganelli, sotto gli impermeabili. Molti portavano elmetti da motocicli ­sta, contro le bastonate. Portavano striscioni che richiedevano l’ammissio ­ne di Cohn Bendit in Francia e attaccavano i comunisti e i sindacati come « rinunciatari ». Gridavano: »La fabbriche ai lavoratori! »; « Siano tutti ebrei e tedeschi », « Adieu, De Gaulle, Adieu », « De Gaulle, Demissions »â€¦

Un tentativo di dirigersi verso l’Hí´tel de Ville fu impedito dalla polizia (invisibile, durante la manifestazione degli operai) che sbarrò la sola via d’accesso, piazza della Bastiglia. La reazione degli studenti fu immediata: in meno di venti minuti erano già in piedi delle barricate, fatte di sassi, pannelli pubblicitari, auto, segni stra ­dali, alberi. Alcune saranno incendiate (così avverrà più tardi anche al quar ­tiere Latino) per impedire alla polizia d’avvicinarsi. Ai primi lanci di grana ­te e di sassi, una parte della manife ­stazione si frammentò in una serie di veri e propri « commandos », una tecnica mai sperimentata, finora, a Pari ­gi: uno di questi commandos darà fuo ­co alla Borsa, dopo averne sfondate le porte con delle travi trovate in un cantiere vicino.

Alle dieci di sera, Parigi era mode ­ratamente in fiamme. Fuggendo da ­vanti alle forze dell’ordine, gli studen ­ti bruciavano le immondizie. Intanto sorgevano le barricate al quartiere La ­tino: Boulevard St. Michel, Boulevard St. Germain, Place de la Sorbonne, Rue des Ècoles, Place Edmond Rostand, Rue de Vaugirard, Rue Monge, Rue Gay-Lussac, Place Denfert Rochereau, Chatelet…

La battaglia, dalle due parti, prese proporzioni ancora mai viste in queste settimane, con i risultati già accenna ­ti, e questi altri: quattrocento feriti, una trentina d’auto bruciate. Anche un morto, ma che però non c’entrava nella rivolta, un morto a coltellate, una storia privata. Se la polizia spara bombe lacrimogene e granate offensi ­ve, gli studenti non rispondono soltan ­to a pietre e a cocktail Molotov: tirano tegole dai tetti, appiccano il fuoco. I portavoce ufficiali del governo parle ­ranno il giorno dopo di « ammutina ­menti provocati da canaglie e anarchi ­ci, organizzati per la battaglia di stra ­da » : lo scopo è dare alla rivolta tutto un altro colore.

La lotta di strada, con la tradiziona ­le vittoria delle forze dell’ordine, finì alle cinque di mattina. Alle undici, il primo ministro decretava virtualmen ­te lo stato d’assedio. « Ogni manifesta ­zione all’interno di Parigi e del quar ­tiere Latino è vietata ».

Ma fu proprio quel giorno, quel sa ­bato, che scoppiò Bordeaux. Nella stessa Parigi, alle cinque di sera, un nuovo scontro tra studenti e polizia, al quartiere Latino, fu evitato solo dal pronto intervento del servizio d’ordine dell’UNEF, che stabilì un cordone di corpi umani, tra i due gruppi che si stavano avvicinando. Intanto, disgu ­stati dall’atteggiamento della CGT e del PC (i quali erano riusciti a convin ­cere anche gli operai più recalcitranti della necessità di continuare un’azione pacifica verso le autorità, invocando il formidabile argomento della scadenza delle cambiali â— la maggioranza della classe operaia, con la nuova « affluen ­za » è infatti anche in Francia indebi ­tata fino al collo presso i venditori di frigoriferi e di televisori), due alti funzionari sindacali davano le dimis ­sioni per affermare la loro solidarietà con gli studenti.

Sabato e domenica: le conversazioni tra sindacati, governo e « patronat » cominciano e danno subito (malgrado il riserbo dei partecipanti) ottimi ri ­sultati. Il PC fustiga gli studenti sulle colonne dell‘Humanité », Geismar, do ­po una riunione del suo gruppo, di ­chiara di opporsi alla violenza, ma che si sta preparando una nuova manife ­stazione studentesca per lunedì 27, già condannata in partenza come irre ­sponsabile dalla CGT. Un sindacato, all’ultimo minuto (quello di « Force Ouvriere » ) si dichiara solidale con gli studenti.

L’aria è elettrica a Parigi, dove i grossi sindacati e il PC ormai non ten ­tano più di recuperare gli studenti, e si schierano di fatto dalla parte del go ­verno: per tutto ciò che non concerne il         referendum proposto da De Gaulle e le « rivendicazioni ». Il PC non vuole la rivoluzione, vuole andare al gover ­no con i voti della piccola borghesia. Ma l’aria è tesa. La violenza può scop ­piare daccapo. Gli operai sembrano meno disposti a seguire i loro dirigen ­ti di quanto apparisse in un primo tem ­po. Può darsi che l’argomento delle cambiali scadute abbia avuto un effet ­to contrario. Una rivoluzione? Perché no? Estinguerebbe tutti i debiti.

 

 

 

DANIEL LE ROUGE

 

Non si tratta, come l’ha presentato certa stampa, d’un voltabandiera: non ha giocato tra nazionalità francese e nazionalità tedesca per interesse od opportunismo. La storia dei suoi pas ­saporti è quella di tutti i senzapatria â— e senzapatria Daniel Cohn Bendit (che i giornali parigini della sera chiamano, ora « Daniel le rouge ») lo è stato non per scelta ma per imposizione.

A chiederglielo, fa di se stesso il se ­guente ritratto:

 

« I miei genitori mi diedero la nazio ­nalità tedesca quando avevo quindici anni, nel 1960. Prima d’allora non ero che una “displaced person”. I miei pri ­mi quattordici anni li ho trascorsi in Francia, poi ho passato sei anni in Germania occidentale, poi sono ritor ­nato in Francia. Vi sto da tre anni. I miei genitori lasciarono la Germania nel 1933, con i nazisti alle calcagna. Vissero un poco a Parigi e durante l’occupazione dovettero stabilirsi nella cosiddetta Francia “libera”, a Montau- ban, a nord di Tolosa. A Montauban sono nato. Finita la guerra, mio padre, che faceva l’avvocato, dovette ritornare in Germania per poter esercitare la sua professione. Fu nel 1950. Mia ma ­dre ripartì otto anni dopo. Ho un fratel ­lo più vecchio di me, nato nel 1936, che vive in Francia e ha la nazionalità francese. E’ professore a Nantes ».

 

E gli studi?

 

« Ho trascorso la mia infanzia a Pari ­gi. Avevo cinque anni quando i miei genitori si separarono. Come mio fra ­tello, sono stato educato da mia ma ­dre. A Parigi frequentai la scuola co ­munale del XV Arrondissement, poi fe ­ci due anni al liceo Buffon, terminando il liceo in Germania. Due anni. V’ero tornato con mia madre, perché mio pa ­dre era ammalato gravemente e lei se ne doveva occupare. Mio padre morì nel 1959 ».

 

Dal punto di vista ideologico, come si definisce?

 

« Sono un militante rivoluzionario, cioè voglio cambiare radicalmente la società. Per me, la sola cosa da fare è condurre una critica e un’azione di contestazione totali contro il funziona ­mento delle istituzioni repressive. Il che però non significa che io preconiz ­zi la distruzione del più grande numero possibile degli individui che s’appog ­giano a queste istituzioni e le difendo ­no. Ma sono di estrema sinistra. Esse ­re d’estrema sinistra implica soprattut ­to avere una strategia â— possedere strutture. Ora, le strutture non si crea ­no dal nulla, oppure semplicemente perché se ne ha bisogno. Metterle in piedi, implica molto di più. Attualmente, il problema fondamentale delle Uni ­versità, è di riuscire a politicizzare gli studenti. Le strutture le troveremo do ­po. Tentare di crearle prima d’aver proceduto alla politicizzazione degli studenti è votarsi a uno scacco ».

 

Le sue motivazioni?

 

« La principale è basata su un’analisi della società attuale, che rifiuto in blocco ».

 

Il suo obiettivo, come capo rivoluzio ­nario studentesco?

 

« Rovesciare il regime gollista. E’ però un proposito che noi studenti non potremo mai realizzare da soli. Occor ­rerebbe l’aiuto dei partiti di sinistra e dei sindacati. Se il Partito comunista e la CGT avessero voluto far cadere il re ­gime, questo sarebbe già scomparso ».

 

E’ possibile arrivare a un’unione tra studenti e lavoratori, per mettere in at ­to i suoi propositi?

 

« Servendoci dei mezzi d’azione tra ­dizionali dei movimenti operai, quali lo sciopero, le manifestazioni, l’occupa ­zione dei luoghi di lavoro, noi studenti abbiamo mostrato la falsità del mito dell’intangibilità del regime. Abbiamo aperto una breccia nella quale si sono infilati gli operai. Se questi saranno ca ­paci di arrivare fino in fondo è un’altra questione. Ma anche se non lo saran ­no, avverranno altre esplosioni. Ciò che rimane importante è la dimostra ­zione dell’efficacia di certe tecniche ri ­voluzionarie. Ciò che succede in Fran ­cia da quasi tre settimane mostra che, nel Paese, v’era una situazione oggetti ­va, nata da ciò che è chiamato “l’insoddisfazione” della gioventù e della sua volontà d’azione.

 

 


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Bart