STORIA: I MAESTRI: La rivolta studentesca. No tu no5 Luglio 2013 di Carpendras (Manlio Cancogni) Sulla cartella delle tasse, sotto la voce « redditi », Pippo scrive: « nulla »; e sotto quella che indica la professione, « rivoluzionario ». E’ un esempio raro di coerenza, oltreché di sincerità. Pippo, in effetti, è totalmente dedito alla rivo luzione. Da anni egli percorre il globo, da Cuba alla Cina, dall’Algeria alla Bolivia. Negli intervalli viene a dare un’occhiata all’Italia. L’ho incontrato l’altro giorno, approdato da non so qua le punto caldo, calzoni di velluto, scarpe di tela, camicia di flanella, giubbotto di pelle, gli occhi sempre inquieti sotto la fronte sempre più sguarnita. Gli ho detto: « E’ venuta la tua ora ». Mi ha guardato interrogativamente, scattando al- l’insù il minuto profilo da uccello. « Chi intendi, gli studen ti? ». « Eh già… », ho risposto. S’è messo a ridere, mi ha battuto paternamente la mano sulla spalla. « Quei buffo ni… ». Aveva fretta, lo attendeva la tipografia con la composi zione di non so quale giornaletto semiclandestino, non c’e ra tempo per una discussione. Se n’è andato con una risata sardonica, lasciandomi in preda ai dubbi. « Perché loro no? », mi chiedevo. Questa rivoluzione, di cui tutti parlano, diventa di gior no in giorno più misteriosa. Risulta che fra gli occupanti della Sorbona e poi dell’Odeon a Parigi c’era un gruppo di paras katanghesi. A Roma uno studente s’è proclamato nazi-comunista. Alla Triennale gli espositori che protestava no veementemente contro il sistema (una delle sale era la ricostruzione di una strada del Quartiere latino con la mas sicciata divelta e le automobili in fiamme) sono stati « at taccati » dai dimostranti al grido di « Integrati! Fascisti! ». Nella folla che schiamazzava, un tale, avendo captato non so come quello che stavo dicendo a non ricordo chi, mi gridò: « Non sono della tua opinione! ». Risposi: « Veramen te io non la conosco ». E lui: « Ma io sì, e comunque non me ne frega nulla ». Mi guardava bieco. Io continuavo a non capire. « Va là, mi gridò », prima di essere aspirato via « lo sappiamo che sei passato dalla loro parte! ». Ora è la volta della Biennale che raccoglie credo il fior fiore dell’arte nuova, rivoluzionaria, dissenziente, contesta trice. Ma già si profila la minaccia degli « irriducibili » (si chiamavano così alla fine del secolo), che accorrono sulla Laguna da tutta l’Europa per muovere guerra ai « tradito ri ». E qualcuno fra gli espositori sta già con una gamba dentro e una fuori. Il terrore di essere scavalcato sulla si nistra da chi si dichiara più rivoluzionario, provoca tor mentose crisi di coscienza. Fino a qualche anno fa il tor mento era se essere informale o pop. Ora la scelta è molto più difficile anche se, a conti fatti, ugualmente poco ri schiosa. Da questa gran confusione, che a detta di certuni provo cherà comunque salutari effetti (« è stato uno scossone che ci voleva », dichiarano ad alta voce, sperando di farsi senti re, seri borghesi con l’ansia delle riforme, « tutto sommato il movimento studentesco ha un valore positivo ») finora emerge soprattutto una cosa: e cioè che i rivoluzionari più dell’odiato nemico, il sistema, si odiano fra loro. Le frazio ni in cui si divide il Movimento rivoluzionario aumentano in modo prodigioso. Ciascuna condanna le altre, le esclude dalla lotta. « No tu no », grida il compagno al compagno. Credo che la gelosia fra i rivoluzionari sia una fra le malattie più acute che affliggono il corpo sociale. Le altre sono la paura, la vanità, il conformismo, e ovviamente (fat tori eterni della storia) la stupidità e la pigrizia. La gelosia fra rivoluzionari si manifesta tanto più acuta quanto meno probabile è la conquista, da parte loro, del potere. Nessuno è disposto ad ammettere di essere meno rivoluzionario di un altro. Una voce che si levi acuta sul suo fianco sinistro fa sbiancare e poi aggrinzire di rabbia, chi fino a quel mo mento, credeva di essere sul culmine dell’eversione. D’altra parte, si potrebbe obiettare, non per nulla que sti rivoluzionari sono figli del loro tempo, caratterizzato dal rapido consumo. La terminologia rivoluzionaria (per ché è di essa che si tratta, almeno finora) è soggetta alla stessa usura delle poetiche come di ogni altro prodotto. Ciò che ieri appariva di una prodigiosa novità (ci vuol poco a « épater l’analphabete ») oggi è già vecchio, « obsoleto », reazionario. E come le parole si consumano gli uomini. Chi parla più di Dutschke che aveva eclissato l’astro Debray? Ora non c’è che Cohn-Bendit. E domani? L’usura della società dei consumi di cui questi eversori sono il più bel prodotto (vorrebbero consumar tutto con un gran falò) ha già liquidato la concordia, la fratellanza da cui parevano assistiti ai loro primi passi. Era uno dei loro punti forza (l’uguaglianza nell’anonimato) di fronte ai personalismi, egoismi e altri vizi dei vecchi. E ora è scom parsa, inghiottita dalla corsa alla rivoluzione. « Siamo tutti uguali » è il grido, « ma io sono più uguale di tutti ».
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