LETTERATURA: STORIA: Le chiuse corporazioni del potere8 Novembre 2011 di Giovanni Russo Roma, febbraio. La contestazione ha avuto almeno un merito: quello di aver portato alla ribalta, in maniera urgente e dramma tica, il problema della crisi dei partiti. Ormai gli stessi protagonisti politici si sono decisi a riconoscere valida la diagnosi che i partiti non riescono più a mantenere il contatto con la società civile. Nel momento in cui, al congresso del PCI, la sini stra denunziava una mag gioranza burocratica, che avrebbe escluso il partito dalle esigenze delle masse, al convegno dei Segretari pro vinciali e regionali della de mocrazia cristiana, il nuovo segretario nazionale, Piccoli, affermava che la gente vuole contare di più: «…non gli ba sta più la frettolosa delega affidatagli in una semibuia cabina elettorale, non crede più alla bontà delle lezioni che gli impartiamo dall’alto di una cattedra o di un po dio autoritario, la gente vuo le discutere e vuole giudi care ». E il segretario orga nizzativo Gullotti iniziava la sua relazione dicendo che le profonde trasformazioni so ciali ed economiche « com portano un ripensamento del modo di essere nel partito e nella società e quindi nella sua azione politica e nella sua linea organizzativa ». Episodi allarmanti La Malfaintanto difende la classe dirigente industriale dall’accusa di « consumismo », riconoscendo, nel quadro della sua valida polemica civile, che la responsabilità è, inve ce, soprattutto della classe politica. All’ultimo consiglio nazionale democristiano, Mo ro denuncia drammaticamen te la divisione fra il paese reale e il partito, provocando un terremoto politico. Nella stessa occasione, Colombo av verte che « l’università ripro duce come in un microcosmo la situazione generale: l’e quilibrio è letteralmente sal tato quando si è verificata di fatto una saldatura fra minoranze contestatrici del sistema e la massa che vor rebbe un sistema funzionan te e non è disposta a muo vere un dito per difendere quello attuale ». E si do manda: «Dobbiamo chieder ci che cosa accadrebbe se nella comunità nazionale si verificasse una saldatura del genere ». La cronaca offre ogni giorno episodi allarmanti di questa crisi: l’occupazione dell’Assemblea regionale siciliana da parte dei deputati di opposizione e la minaccia di seguire l’esempio in Parl amento; l’elezione a minoranza del segretario nazionale del maggior partito di governo; la ribellione di de putati dei partiti di maggio ranza, nelle votazioni segre te, contro la scelta per inca richi parlamentari di questo o quel candidato, pur designato dai loro stessi partiti. Il giudizio è concorde an che fra gli osservatori stra nieri. Le Monde scrive che è messa in causa la capa cità dei partiti politici ita liani di adattarsi all’evoluzione di una società sviluppata. Le Monde diplomatique osserva che « la politica in Italia, come hanno dimo strato fin quasi alla carica tura le peripezie dell’ultimo congresso socialista e quelle del consiglio nazionale della DC, appare sempre più un gioco d’iniziati col suo linguaggio esoterico, i suoi rovesciamenti improvvisi di situazione, i suoi sottintesi inesplicabili per l’opinione pubblica. Resta la penosa impressione di una classe di rigente prigioniera delle sue rivalità e dei suoi miti sen za comunicazione con la so cietà civile ». Il cittadino non capisce come funzionino i gruppi di potere che si combattono dietro la facciata ideologica dei partiti sia della maggio ranza sia dell’opposizione. Ormai si ha la sensazione che accanto e dentro i par titi ufficiali vi siano decine di sottopartiti. Perché que sta frantumazione interna? Prelude essa all’organizzazio ne di nuove forze politiche o è il segno di una crisi in guaribile? Se è vero che i partiti sono diventati estra nei alla società civile chi è allora che la governa e la in fluenza effettivamente? Quali sono le risposte che danno gli « addetti ai lavori », gli iscritti di base, i funzionari di partito, i deputati di pe riferia a queste domande del cittadino comune e a queste che le fanno da corollario: come funziona il rapporto tra apparato e iscritti? Cosa significa un congresso di par tito? Chi prende veramente le decisioni nei partiti? Co me si formano le correnti? Come si danno le cariche pubbliche? Le autonomie distrutte I partiti presentano alla società l’immagine di corpi separati, che amministrano segretamente il potere. De mocristiani, socialisti, comu nisti, repubblicani, liberali ci hanno confermato che questa immagine è vera: i canali dei partiti sono di ventati strumenti insufficien ti a mantenere un contatto reale con la società che pure politicamente rappresentano. Ciononostante sostengono che non si può farne a meno poiché non vi è ad essi altra alternativa. Occorre, dicono, ristabilire un rapporto tra questi canali e la collettività, trasformandoli. Abolire il « centralismo » è quello che ha chiesto, in una lettera aperta all’onorevole Piccoli, il segretario regionale della DC lombarda, Bassetti. Gli uomini politici sono più spregiudicati di quanto si immagini. Non esitano a fare una descrizione cruda della situazione interna dei loro partiti. Uno degli espo nenti delle minoranze demo cristiane, Galloni, afferma che la crisi, nella DC e in tutti i partiti, nasce dal fat to che essi sono nati, ven ticinque anni fa, dai comi tati di liberazione nazionale e hanno voluto coprire tutto lo spazio di potere della so cietà civile intervenendo in ogni settore del tessuto so ciale dalle organizzazioni sin dacali agli enti locali, dalle scuole alle associazioni pro fessionali e di categoria che riflettono ormai solo gli orientamenti politici del centro. « E’ stato distrutto â— egli dice â— tutto il sistema dell’autonomia locale. Il potere cade dall’alto in modo illu ministico. Ma ora si è avuto un risveglio nella società civile che non si sente più prota gonista né interpretata e rap presentata con questo sistema ». Due strumenti L’osservazione di Galloni è esatta. I partiti hanno celebrato la morte del dibattito politico sostituendola con la gestione del potere fine a se stessa. Gli stessi esponenti democristiani fanno esempi significativi. Le sezioni, che dovrebbero stabilire il contat to con la base, sono in realtà delle « sedi » che si aprono una o due volte alla settimana. Gli iscritti esistono solo sulla carta. Vengono convocati al massimo una volta all’anno. A tali assemblee partecipa appena il trenta per cento dei soci. Un direttivo di una decina di persone si riunisce una volta al mese, ed è questo piccolo gruppo che de cide a livello locale sulle cariche pubbliche: chi designare a sindaco o a presidente dell’ospedale. Non c’è più interesse al proselitismo di parti to appunto per evitare una concorrenza interna di potere. La stessa meccanica regola l’attività dei comitati provin ciali dove poche persone trat tano sulle nomine del presi dente del consiglio provin ciale o della Camera di com mercio. Il meccanismo è uguale al vertice per le cari che nazionali. Questo non accade solo nei partiti di maggioranza ma an che in quelli di opposizione per ciò che riguarda gli enti locali, i sindacati, le coopera tive in cui hanno una fetta di potere. I partiti non fanno più politica con una visione generale ma gestiscono solo il po tere in base a due strumenti: quello elettorale che serve a stabilire i reciproci rapporti di forza, dopo del quale iscrit ti e elettori sono messi fuori del gioco; e quello della di stribuzione degli incarichi pubblici « trattando » con i gruppi di pressione, le associazioni sindacali o economiche che li condizionano ormai dall’interno, tramite le correnti. Proprio per questo e non per ragioni ideologiche è nata la « correntocrazia ». Le correnti riflettono i rapporti di forza interni del partito, prescindendo dalle esigenze della società. Ecco perché i giovani, i nuovi ceti di profes sionisti e di tecnici restano fuori dei partiti. Che interes se avrebbero a entrare in un meccanismo che funziona in questo modo? Ormai hanno capito questo processo. La prova che le correnti so no soprattutto strumenti di gestione del potere è data dal la storia della loro prolifera zione. Nella democrazia cri stiana, dopo il congresso del 1954 che segnò il tramonto di De Gasperi e dei notabili, era no sostanzialmente quattro: sinistra, dorotei, fanfaniani, destra. Dopo il ’64 tutt’e quat tro aderirono alla formula di centro – sinistra. Paradossal mente, invece di rafforzare l’unità del partito, questa ade sione iniziò lo sgretolamento delle correnti che si è accele rato violentemente dopo l’ul timo congresso. Fra dorotei, morotei, fanfaniani, tavianei, scelbiani, andreottiani, varie sinistre di Base, Forze nuove, sindacati, movimenti giovanili eccetera, superiamo la diecina. Il funzionamento delle cor renti è schematicamente sem plice. Chi giunge al vertice attraverso il « canale del par tito » crea la corrente per ot tenere nomine o incarichi sta tali, amministrativi ed econo mici. Tali incarichi non pos sono essere affidati con crite ri di competenza perché devono accontentare, in base alla logica del potere interno, le persone che hanno dato un maggior contributo a rafforzare questo o quel gruppo. Dopo di che il capocorrente si serve del potere statale o economico per soffocare la vita democratica alla base e comandare nella società civi le secondo una sola esigenza: quella di rafforzare il suo potere nel partito. Rapporto feudale Come osserva un altro esponente delle minoranze democristiane, Rosati, le cor renti sono così dei partiti nel partito che hanno stabilito un rapporto feudale che dal ver tice discende verso la peri feria e si sono ormai sovrap poste allo Stato. Questo meccanismo non ubbidisce più quindi neppure alla logica degli interessi del partito. I professionisti della politica, in tutti i partiti, si sono trasformati in autoge stori del loro potere. L’unico momento in cui i partiti sem brano aprirsi alle esigenze della società è quello del con gresso in cui si ristabilisce un contatto verbale con la real tà esterna. Ma, finito il con gresso, le cose tornano come prima. Le conseguenze di tale mec canismo si ripercuotono, ov viamente, su tutta la società, a cominciare dal Parlamento la cui attività è quasi sempre un atto di ratifica di decisio ni già prese non dai partiti ma nei partiti. Ma vi è anche un’altra conseguenza altret tanto importante: la gran parte del vero potere, quello economico, sfugge ormai ai partiti. Le correnti si divido no infatti soprattutto il pote re interno a questi corpi chiu si che sono i partiti. Per le decisioni economiche fonda mentali che riguardano tut ta la società devono invece trattare con i poteri economi ci, sindacali e di categoria che ormai si comportano, nei loro confronti, come sovrani rispetto a vassalli. Letto 1106 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. 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