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LETTERATURA: STORIA: Le chiuse corporazioni del potere

8 Novembre 2011

di Giovanni Russo
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 19 febbraio 1969]

Roma, febbraio.

La contestazione ha avuto almeno un merito: quello di aver portato alla ribalta, in maniera urgente e dramma ­tica, il problema della crisi dei partiti. Ormai gli stessi protagonisti politici si sono decisi a riconoscere valida la diagnosi che i partiti non riescono più a mantenere il contatto con la società civile.

Nel momento in cui, al congresso del PCI, la sini ­stra denunziava una mag ­gioranza burocratica, che avrebbe escluso il partito dalle esigenze delle masse, al convegno dei Segretari pro ­vinciali e regionali della de ­mocrazia cristiana, il nuovo segretario nazionale, Piccoli, affermava che la gente vuole contare di più: «…non gli ba ­sta più la frettolosa delega affidatagli in una semibuia cabina elettorale, non crede più alla bontà delle lezioni che gli impartiamo dall’alto di una cattedra o di un po ­dio autoritario, la gente vuo ­le discutere e vuole giudi ­care ». E il segretario orga ­nizzativo Gullotti iniziava la sua relazione dicendo che le profonde trasformazioni so ­ciali ed economiche « com ­portano un ripensamento del modo di essere nel partito e nella società e quindi nella sua azione politica e nella sua linea organizzativa ».

Episodi allarmanti

La Malfaintanto difende la classe dirigente industriale dall’accusa di « consumismo », riconoscendo, nel quadro della sua valida polemica civile, che la responsabilità è, inve ­ce, soprattutto della classe politica. All’ultimo consiglio nazionale democristiano, Mo ­ro denuncia drammaticamen ­te la divisione fra il paese reale e il partito, provocando un terremoto politico. Nella stessa occasione, Colombo av ­verte che « l’università ripro ­duce come in un microcosmo la situazione generale: l’e ­quilibrio è letteralmente sal ­tato quando si è verificata di fatto una saldatura fra minoranze contestatrici del sistema e la massa che vor ­rebbe un sistema funzionan ­te e non è disposta a muo ­vere un dito per difendere quello attuale ». E si do ­manda: «Dobbiamo chieder ­ci che cosa accadrebbe se nella comunità nazionale si verificasse una saldatura del genere ».

La cronaca offre ogni giorno episodi allarmanti di questa crisi: l’occupazione dell’Assemblea regionale siciliana da parte dei deputati di opposizione e la minaccia di seguire l’esempio in Parl ­amento; l’elezione a minoranza del segretario nazionale del maggior partito di governo; la ribellione di de ­putati dei partiti di maggio ­ranza, nelle votazioni segre ­te, contro la scelta per inca ­richi parlamentari di questo o quel candidato, pur designato dai loro stessi partiti.

Il giudizio è concorde an ­che fra gli osservatori stra ­nieri. Le Monde scrive che è messa in causa la capa ­cità dei partiti politici ita ­liani di adattarsi all’evoluzione di una società sviluppata. Le Monde diplomatique osserva che « la politica in Italia, come hanno dimo ­strato fin quasi alla carica ­tura le peripezie dell’ultimo congresso socialista e quelle del consiglio nazionale della DC, appare sempre più un gioco d’iniziati col suo linguaggio esoterico, i suoi rovesciamenti improvvisi di situazione, i suoi sottintesi inesplicabili per l’opinione pubblica. Resta la penosa impressione di una classe di ­rigente prigioniera delle sue rivalità e dei suoi miti sen ­za comunicazione con la so ­cietà civile ».

Il cittadino non capisce come funzionino i gruppi di potere che si combattono dietro la facciata ideologica dei partiti sia della maggio ­ranza sia dell’opposizione. Ormai si ha la sensazione che accanto e dentro i par ­titi ufficiali vi siano decine di sottopartiti. Perché que ­sta frantumazione interna? Prelude essa all’organizzazio ­ne di nuove forze politiche o è il segno di una crisi in ­guaribile? Se è vero che i partiti sono diventati estra ­nei alla società civile chi è allora che la governa e la in ­fluenza effettivamente? Quali sono le risposte che danno gli « addetti ai lavori », gli iscritti di base, i funzionari di partito, i deputati di pe ­riferia a queste domande del cittadino comune e a queste che le fanno da corollario: come funziona il rapporto tra apparato e iscritti? Cosa significa un congresso di par ­tito? Chi prende veramente le decisioni nei partiti? Co ­me si formano le correnti? Come si danno le cariche pubbliche?

Le autonomie distrutte

I partiti presentano alla società l’immagine di corpi separati, che amministrano segretamente il potere. De ­mocristiani, socialisti, comu ­nisti, repubblicani, liberali ci hanno confermato che questa immagine è vera: i canali dei partiti sono di ­ventati strumenti insufficien ­ti a mantenere un contatto reale con la società che pure politicamente rappresentano. Ciononostante sostengono che non si può farne a meno poiché non vi è ad essi altra alternativa. Occorre, dicono, ristabilire un rapporto tra questi canali e la collettività, trasformandoli. Abolire il « centralismo » è quello che ha chiesto, in una lettera aperta all’onorevole Piccoli, il segretario regionale della DC lombarda, Bassetti.

Gli uomini politici sono più spregiudicati di quanto si immagini. Non esitano a fare una descrizione cruda della situazione interna dei loro partiti. Uno degli espo ­nenti delle minoranze demo ­cristiane, Galloni, afferma che la crisi, nella DC e in tutti i partiti, nasce dal fat ­to che essi sono nati, ven ­ticinque anni fa, dai comi ­tati di liberazione nazionale e hanno voluto coprire tutto lo spazio di potere della so ­cietà civile intervenendo in ogni settore del tessuto so ­ciale dalle organizzazioni sin ­dacali agli enti locali, dalle scuole alle associazioni pro ­fessionali e di categoria che riflettono ormai solo gli orientamenti politici del centro.

« E’ stato distrutto â— egli dice â— tutto il sistema dell’autonomia locale. Il potere cade dall’alto in modo illu ­ministico. Ma ora si è avuto un risveglio nella società civile che non si sente più prota ­gonista né interpretata e rap ­presentata con questo sistema ».

Due strumenti

L’osservazione di Galloni è esatta. I partiti hanno celebrato la morte del dibattito politico sostituendola con la gestione del potere fine a se stessa. Gli stessi esponenti democristiani fanno esempi significativi. Le sezioni, che dovrebbero stabilire il contat ­to con la base, sono in realtà delle « sedi » che si aprono una o due volte alla settimana. Gli iscritti esistono solo sulla carta. Vengono convocati al massimo una volta all’anno. A tali assemblee partecipa appena il trenta per cento dei soci. Un direttivo di una decina di persone si riunisce una volta al mese, ed è questo piccolo gruppo che de ­cide a livello locale sulle cariche pubbliche: chi designare a sindaco o a presidente dell’ospedale. Non c’è più interesse al proselitismo di parti ­to appunto per evitare una concorrenza interna di potere. La stessa meccanica regola l’attività dei comitati provin ­ciali dove poche persone trat ­tano sulle nomine del presi ­dente del consiglio provin ­ciale o della Camera di com ­mercio. Il meccanismo è uguale al vertice per le cari ­che nazionali.

Questo non accade solo nei partiti di maggioranza ma an ­che in quelli di opposizione per ciò che riguarda gli enti locali, i sindacati, le coopera ­tive in cui hanno una fetta di potere.

I partiti non fanno più politica con una visione generale ma gestiscono solo il po ­tere in base a due strumenti: quello elettorale che serve a stabilire i reciproci rapporti di forza, dopo del quale iscrit ­ti e elettori sono messi fuori del gioco; e quello della di ­stribuzione degli incarichi pubblici « trattando » con i gruppi di pressione, le associazioni sindacali o economiche che li condizionano ormai dall’interno, tramite le correnti.

Proprio per questo e non per ragioni ideologiche è nata la « correntocrazia ». Le correnti riflettono i rapporti di forza interni del partito, prescindendo dalle esigenze della società. Ecco perché i giovani, i nuovi ceti di profes ­sionisti e di tecnici restano fuori dei partiti. Che interes ­se avrebbero a entrare in un meccanismo che funziona in questo modo? Ormai hanno capito questo processo.

La prova che le correnti so ­no soprattutto strumenti di gestione del potere è data dal ­la storia della loro prolifera ­zione. Nella democrazia cri ­stiana, dopo il congresso del 1954 che segnò il tramonto di De Gasperi e dei notabili, era ­no sostanzialmente quattro: sinistra, dorotei, fanfaniani, destra. Dopo il ’64 tutt’e quat ­tro aderirono alla formula di centro – sinistra. Paradossal ­mente, invece di rafforzare l’unità del partito, questa ade ­sione iniziò lo sgretolamento delle correnti che si è accele ­rato violentemente dopo l’ul ­timo congresso. Fra dorotei, morotei, fanfaniani, tavianei, scelbiani, andreottiani, varie sinistre di Base, Forze nuove, sindacati, movimenti giovanili eccetera, superiamo la diecina.

Il funzionamento delle cor ­renti è schematicamente sem ­plice. Chi giunge al vertice attraverso il « canale del par ­tito » crea la corrente per ot ­tenere nomine o incarichi sta ­tali, amministrativi ed econo ­mici. Tali incarichi non pos ­sono essere affidati con crite ­ri di competenza perché devono accontentare, in base alla logica del potere interno, le persone che hanno dato un maggior contributo a rafforzare questo o quel gruppo. Dopo di che il capocorrente si serve del potere statale o economico per soffocare la vita democratica alla base e comandare nella società civi ­le secondo una sola esigenza: quella di rafforzare il suo potere nel partito.

Rapporto feudale

Come osserva un altro esponente delle minoranze democristiane, Rosati, le cor ­renti sono così dei partiti nel partito che hanno stabilito un rapporto feudale che dal ver ­tice discende verso la peri ­feria e si sono ormai sovrap ­poste allo Stato.

Questo meccanismo non ubbidisce più quindi neppure alla logica degli interessi del partito. I professionisti della politica, in tutti i partiti, si sono trasformati in autoge ­stori del loro potere. L’unico momento in cui i partiti sem ­brano aprirsi alle esigenze della società è quello del con ­gresso in cui si ristabilisce un contatto verbale con la real ­tà esterna. Ma, finito il con ­gresso, le cose tornano come prima.

Le conseguenze di tale mec ­canismo si ripercuotono, ov ­viamente, su tutta la società, a cominciare dal Parlamento la cui attività è quasi sempre un atto di ratifica di decisio ­ni già prese non dai partiti ma nei partiti. Ma vi è anche un’altra conseguenza altret ­tanto importante: la gran parte del vero potere, quello economico, sfugge ormai ai partiti. Le correnti si divido ­no infatti soprattutto il pote ­re interno a questi corpi chiu ­si che sono i partiti. Per le decisioni economiche fonda ­mentali che riguardano tut ­ta la società devono invece trattare con i poteri economi ­ci, sindacali e di categoria che ormai si comportano, nei loro confronti, come sovrani rispetto a vassalli.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart