LETTERATURA: “Tripudio e fuga” di Ferdinando Grossetti. Enzo Albano editore16 Dicembre 2010 di Francesco Improta Mi sembra doverosa una premessa: in un mondo in cui la cultura è merce sempre più rara e svalutata, scrivere poesie è un atto di co raggio e di fede. Se a ciò si aggiunge che il poeta in questione, Ferdinando Grossetti, critico musicale ed ex docente del Conser vatorio di Napoli (come recita la quarta di copertina) da più di quarant’anni milita, con immutato interesse e impegno, in am bienti e circoli di avanguardia, il discorso si complica ulterior mente e si connota di una sua peculiare specificità che restringe necessariamente il campo dei suoi lettori. Ed è un vero peccato, perché Grossetti è poeta autentico, tanto rigoroso nei contenuti quanto duttile nella forma, dove la sperimentazione linguistica, grafica, cromatica e architettonica nulla concede all’approssima zione e alla convenzione. Il libro in questione, Tripudio e fuga, che riprende il titolo di uno dei componimenti della raccolta, è impreziosito da alcune splen dide tavole pittoriche di Marta Grossetti a cui si deve anche l’im magine della copertina. Pubblicato nel mese di maggio, viene do po Contro-Cantica (1987) e Sui rotoli del mondo (1998), usciti come si può notare a distanza di una decina di anni l’uno dal l’altro, a conferma dell’impegno e delle difficoltà oggettive con cui procede la ricerca linguistica e intellettuale dell’autore. Abituato a sperimentare da tempo diversi linguaggi – letterario, artistico, musicale – Grossetti sceglie lo spazio come campo di ricerca e questo spazio viene da lui aggredito, riempito di parole e di segni, grafici e cromatici, si pensi alle linee, ai brandelli di colore che delimitano, incorniciano e arricchiscono le sue pagine, creando mappe di senso e segnali di territori altri che il lettore potrà percorrere, seguendo le indicazioni dell’autore e assecon dando la propria sensibilità e la propria immaginazione. A favorire l’interpretazione o meglio le possibili interpretazioni dei suoi componimenti ci sono degli exerga che offrono più di un indizio, oltre a rivelare il ricco e variegato background dell’autore. In qualche caso la pagina è completamente bianca a disposizione del lettore che potrà riempirla come crede o meglio come sente, per ché la poesia ha bisogno del lettore, non può farne a meno, si realizza nel momento stesso in cui si affida a lui, alla sua storia, alla sua cultura. Poesia in fieri, quindi che talvolta nasce da un semplice segno colorato e si effonde fino a travalicare la pagina. Altre volte, invece, la scrittura sembra riempire di sé tutto lo spazio fino a tracimare, anche se rifiuta sempre un percorso line are e preferisce un andamento ondivago o sussultorio. Non a caso gli aspetti più salienti di questo libro di poesia, come si legge giustamente nella bella, approfondita ed esaustiva prefazione di Franz von Ehvelans, sono il movimento e il mutamento. Poesia, dunque, proteiforme che avanza, recede, devia cambiando conti nuamente tono e sembiante e mostrando al lettore stupito e in cantato che ci sono spazi altrove da esplorare attraverso le ga loppate della fantasia sentimentale o attraverso la speculazione filosofica. Al centro di queste complesse architetture, disordinate ma fastose, ci sono pur sempre le parole disposte non solo in senso orizzontale ma anche verticale e obliquo; parole spesso soggette ad abrasioni e quindi de-significate, che conservano, comunque, tutta la loro energheia capace di “trasformare il possibile in reale”; parole che danzano libere nello spazio, lasciando un’ombra del loro pas saggio, quasi venissero riflesse da un duplice vetro che le rad doppia e le sdoppia. Poesia polifonica, quella di Grossetti, che vive di intermittenze fono-cromatiche e di coppie ossimoriche: interezza/incompiutezza; pieno/vuoto; bianco/nero; movimento/ stasi; rumore/silenzio; fuga e ritorno; vicinanza/lontananza etc. etc. Poesia di denuncia, infine, che non si compromette con la cronaca ma lancia i suoi strali contro i grandi problemi dell’umanità: l’in significanza del vivere, la corruzione, l’impossibilità di ottenere giustizia, il Male, la mercificazione del corpo, dello spirito e del l’intelletto, accettata ormai con un certo compiacimento da un popolo succubo, privato della sua dignità oltre che dei suoi legittimi sogni. Grossetti evita giustamente d’impantanarsi nelle sabbie mobili, grevi e limacciose, della cronaca, pur così ricca di spunti e di fatti, ma non per questo elude l’attualità – con cui bisogna sempre fare i conti – perché l’arte, quella vera, è sempre attuale. E comunque ci sono dei versi di grande impatto e icastica forza che compongono un ritratto facilmente riconoscibile: La vestitura… il grugno… e qualche pagina dopo: riemerge…
è le míªme Gaffeur…
Nella parte conclusiva, senza nulla perdere in efficacia e forza d’urto, la poesia cede alla prosa (una prosa gonfia, ricca, sonora, decisamente barocca) e dopo un sogno di stupefacente bellezza, in cui il nostro manto psichico appare ancora una volta materiato di coppie opposizionali, il di scorso si fa prima politico e poi storico. Dalle ombre del passato, richiamati quasi in vita, emergono i fantasmi di ri voluzioni appena intraprese e subito abortite e represse nel sangue (Corradino di Svevia, Masaniello e i martiri della Repubblica Partenopea). Il libro si chiude, infine, con l’ef figie accigliata, pensosa e decisamente delusa di Karl Marx che ha assistito alla “progressiva, inarrestabile ptosi etico-ideologica della politica”. Letto 3652 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by antonio — 19 Aprile 2011 @ 18:38
http://www.ferdinandogrossetti.it