LIBRI IN USCITA: “La ballata della piccola piazza”, Transeuropa, 2009
28 Marzo 2009
La ballata della piccola piazza
di Elio Lanteri
E’ uscito il 25 marzo in tutte le librerie “La ballata della piccola piazza”, il più bel romanzo ligure degli ultimi anni.
In un piccolo paese dell’alta liguria sospeso tra cielo e mare vive una comunità di vecchi e di bambini: sono i giorni più duri della guerra in Italia, dall’8 settembre alla primavera del ’45, una metà degli uomini è dispersa in Russia, l’altra metà alla macchia nella Resistenza.  Nicó e Damìn sono cugini e aspettano, con gli altri, il ritorno dei padri e delle madri di cui non hanno più notizie da un tempo che sembra immemorabile. Forse sono rimasti orfani, e lo sanno. Ascoltano le storie che i vecchi del paese raccontano loro per ingannare l’attesa, sprofondati in un paesaggio da fiaba, legati mani e piedi al doppiofondo mitico di sogni e d’incubi sognati da generazioni, la ruota dei desideri e delle pulsioni più profonde.
Così il mondo dell’infanzia è anche l’infanzia del mondo. Portano le pecore al pascolo, i bimbi vecchi della comunità sospesa sui campi alti del cielo, e vedono i film di Ridolini proiettati sul lenzuolo in una lurida cantina. I giorni sembrano lunghi mesi, i mesi anni: è la stagione più intensa e commovente dell’esistenza, e verrà travolta da eventi capaci di segnare una vita in un modo che una vita non basta a decifrarli.
Citazioni
Nicó amava la valle, per lui non c’era altro mondo. Mi diceva a volte passandomi il braccio attorno: «È benedetta questa valle, nell’antichità ci ha cagato un santo di passaggio; guarda, grandi abeti lassù, nei boschi di Furcuin, castagni e pascoli sulle pendici di Prealba, dalle cime scendono torrenti d’acqua per irrigare gli orti, guardala bene, c’è tutto nella nostra valle. »
«Ma Omi e Dones si rifugiavano proprio qui sul poggio? » domandò Nicó.
«Proprio lì sul poggio, dove termina il sentiero e i pini hanno il muschio sui tronchi e se ci si affaccia dallo strapiombo si sente la voce dell’Ubagu che sussurra come in una conchiglia il mare. Dal suo fondo insondabile risalgono gli animali moribondi, si sdraiano sul poggio al sole e guardano con meraviglia per la prima e l’ultima volta il mare. »
Avevamo raggiunto il pianoro, le pecore sazie acceleravano il passo e si avviavano silenziose allo staggio.
L’ultimo sole le tingeva d’oro, lasciando nell’ombra il fondovalle.
«Giacco » chiesi, «batte ancora il cuore dell’Ubagu? »
«Batte, batte. »
Note sintetiche al volume
Pagine 146
Prezzo 12.90
Isbn 9788875800505
Collana Narratori delle riserve
Collocazione Narrativa
Scheda biografica autore Elio Lanteri Â
Prefazione di Marino Magliani
Ho conosciuto Elio Lanteri una decina di anni fa, durante un mio soggiorno invernale in Liguria. Elio fre Âquentava, e credo lo faccia ancora adesso, un caffè sul porto di Oneglia. Lo incontravo il mattino e dopo la co Âlazione uscivamo sul porto a passeggiare. Se il tempo era brutto stavamo a ridosso, sotto i portici, altrimenti cam Âminavamo al sole lungo i binari di Calata Cuneo.
Elio mi parlava dei miei racconti, di ciò che aveva let Âto di mio, cose che erano uscite per una piccola casa edi Âtrice di Imperia. E di Biamonti, della loro amicizia, dei loro viaggi in Provenza, ma anche di Seborga, di René Char, di Juan Rulfo, di Garcia Lorca. Mi parlava di mille autori, ogni volta uscendo con cose che non conoscevo. Succedeva che io gli menzionavo un francese o uno spa Âgnolo e lui allora si fermava un istante lungo i vecchi bi Ânari del porto e cominciava a citare. Entrambi con le fron Âti vaste usavamo buoni berretti di lana e forse la gente un po’ ci notava, un giovane e un signore anziano che pas Âseggiano a scatti e si fermano, ripartono e tornano a fer Âmarsi. Perché questo era l’avanzare di Elio su quel porto – e lo è tutt’ora – per gradi e citazioni.
Fin quando un giorno non gli chiesi se non gli era mai venuto in mente di scrivere qualcosa. Elio disse serio perbacco, certo che l’aveva fatto, ma non era importan Âte, aggiunse subito.
Gli chiesi di farmi leggere il suo lavoro, non voleva, non perdere tempo, mi diceva, pensiamo alle tue di tra Âme, piuttosto, il mio, disse, resta un esercizio.
Dovetti insistere, e alla fine ci riuscii: un giorno arrivò sul porto col manoscritto. In quei tempi era ancora viva mia madre e tornavo in Liguria anche tre o quattro volte l’anno, poi alla fine dell’estate ripartivo per l’Olanda. Quell’anno portai con me il suo manoscritto. Miracolo Âsamente in Olanda faceva ancora caldo e andavo ogni giorno alla spiaggia. Passavo i pomeriggi a leggere e a rileggere le pagine di Elio Lanteri, a segnare sui fogli delle cose a matita. Me ne innamorai subito, per dirla com’è, della Ballata della piccola piazza, perché mi sembrò fin da subito una storia nuova, una Liguria mai raccontata, una regione finalmente non olearia.
Da sempre chi ha narrato la Liguria si è confrontato con la necessità di guardare agli ulivi e al suo mare. Nel Âl’unico romanzo che ci ha lasciato Boine (Il peccato, 1914), raramente si trovano gli ulivi, ma questo perché raramente l’io narrante lascia la costa. Nei saggi sulla crisi degli uli Âvi e altrove, invece, Boine costruisce passo a passo la sua cattedrale degli ulivi.
Anche Calvino ci ha mostrato una zona ulivata, indi Âcandoci addirittura la linea che divide la Liguria e separa la severità della campagna dalla mondanità della riviera. Biamonti ci fa intuire il mare nella luce e ci regala la mineralità degli ulivi. E un po’ tutti, prima e dopo e attraver Âso questi nomi, ci hanno regalato ulivi e mare.
Nella Ballata gli ulivi non appaiono. Eppure le fami Âglie che popolano questo romanzo vivono soprattutto di ulivicoltura. Ci sono le giare piene d’olio e la capra le prende a cornate. Perché dunque nelle pagine di Lanteri che leggeremo non ci sono ulivi? Perché la Liguria che ci consegna Lanteri è fatta di soli sogni, assomiglia piutto Âsto a quel terreno fantastico su cui riesce a muoversi Juan Rulfo, è una Liguria che sale nei vapori dei torrenti e resta nell’aria.
Io su quella spiaggia del Nord non sapevo mica cosa stavo leggendo. Era un po’ come quando ci svegliamo e non sappiamo più cosa abbiamo sognato. Sappiamo che abbiamo fatto un bel sogno, o brutto, e sappiamo che non basta. Dov’eravamo, cosa abbiamo sentito, quanto siamo stati bene o male?
E così, rileggendo la Ballata – ché i sogni non si rie Âscono a risognare, ma i libri sì – ho capito che davanti a me avevo davvero la Liguria che avevo cercato nei libri, e nelle passeggiate buie dei fondovalle, nei dormiveglia, nelle notti che mi trovano ancora da qualche parte, in Liguria e altrove. Era la terra che non ero mai più riusci Âto a rivedere, allora ci misi le mani e la odorai. Erano le pagine visionarie che non avevano bisogno di mare né di ulivi o di luce, per essere il sogno, ma solo di parole e musica.
Mi chiedo da sempre se esiste la musica nei sogni. Ecco cos’è per me la Ballata. Una favola come solo un bambi Âno riesce a raccontare ed ascoltare, favola dura, di vita e di morte di una generazione di bambini che hanno gio Âcato durante una guerra. Favola piena di frutta d’estate e di paure, e di venti che d’inverno entrano nei giacconi.
Il periodo è quello della guerra civile, inizia esatta Âmente il 9 settembre, con una colonna di soldati che risa Âle dalla costa, diretta in Piemonte. Il luogo è la frontiera, vallate a ridosso di scogliere e falesie, posti che oggi sono attraversati dai passeur. Luogo di favole, si diceva, e di metafore, di montagne piene di scalinate che salgono ai campi alti nel cielo, e di alberi che assomigliano alla gran Âde nuvola, di torrenti e anguille e capre.
Un luogo dove troveremo i cinema muti e le vecchie signore ebree scappate dalla città . Le scimmie nelle gab Âbie di Voronoff.
E il mondo di Vincenzo Pardini e quello di Rigoni Stern. Troveremo la musica che troppe volte manca ai sogni. Â
IJmuiden, febbraio 2009
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