LIBRI IN USCITA: MERIDIANOZERO 10/2011
6 Maggio 2011
Care lettrici e cari lettori,
la nostra sorpresa per il vostro uovo di Pasqua e’ l’ultimissima uscita di aprile, appena sbarcata in libreria: l’irriverente “Missione in Alaska” di Mykle Hansen.
Un romanzo strampalato ed esilarante che, raccontando la storia di un cinico manager che si trova a tu per tu con un orso affamato che gli sta divorando un piede, sfocia nel satirico. Hansen, un maestro della “bizarro fiction” e’ uno degli autori preferiti da Christopher Moore, che ha definito “Missione in Alaska” come “il piu’ grande libro mai scritto da un uomo divorato da un orso; l’ultimo dei fottuti mohicani della masticazione ursina”. Abbiamo deciso di darvi un assaggio della caustica prosa di Hansen, offrendovi la lettura dell’attacco del romanzo.
Buona lettura e buona Pasqua,
La vostra redazione
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LE NOVITA’ IN LIBRERIA:
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Missione in Alaska di Mykle Hansen – Euro 13
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Marv e’ un manager egocentrico, sessista e superficiale: una persona veramente insopportabile. Marv nel bel mezzo di una battuta di caccia in Alaska si trova bloccato sotto il suo SUV, mentre un orso gli azzanna un piede. E cosi’ Marv rimane solo con i suoi adorati antidolorifici, pronto a riversare sul lettore la sua irritante visione del mondo…
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Piccoli delitti del cazzo di Jason Starr – Euro 14
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Tommy Russo vorrebbe fare l’attore, ma non ne ha la capacita’ e soprattutto la costanza dell’impegno: al palcoscenico preferisce le tribune degli ippodromi, dove lascia buona parte dei suoi soldi. Quando un suo conoscente gli offre la possibilita’ di acquistare in societa’ un cavallo da corsa, Tommy decide di fare qualunque cosa per racimolare la somma necessaria, finendo per essere risucchiato in vortice di menzogna e cinismo fino a varcare la soglia del delitto.
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Dia de los muertos di Kent Harrington – Euro 14
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Duro e disperato, Vincent Calhoun, agente della DEA, e’ l’eroe maledetto che accetta l’ultima scommessa. A Tijuana, terra di confine, sotto un sole torrido, ha gia’ perso molto: la fiducia, l’onesta’, e montagne di dollari alle corse dei cani. E’ diventato un senza legge, un coyote che trasporta illegalmente clandestini negli Stati Uniti. Ora e’ convinto di aver avuto la dritta giusta, di avere in tasca la scommessa vincente. Per la possibilita’ di ricostruirsi la vita con la donna dei suoi sogni. Ma forse si sbaglia.
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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In mezzo allo sconfinato nulla dell’Oklahoma, nella contea di Coyote Crossing, non puo’ succedere nulla di di pericoloso, o almeno cosi’ credeva il giovane aiuto sceriffo Toby Sawyer, prima di quella notte. I Jordan sono piombati in citta’, assetati di vendetta per l’omicidio del fratello Luke, ma il cadavere e’ scomparso e tutti sembrano avere troppe cose da nascondere per raccontare la verita’. Toby deve ritrovare il corpo prima dell’alba, e scoprira’ ben presto di non essere il solo a cercarlo…
L’INCIPIT
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Missione in Alaska di Mykle Hansen – Euro 13
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“Voi pensate di avere dei problemi? Be’, qui c’e’ un orso che mi sta mangiando! Oooh, mi dispiace, scusatemi tanto, no, no, avete ragione, parliamo dei vostri, di problemi. Mmm-hmm, ma non mi dite! Il capo vi tratta male? L’auto e’ da cambiare? E siete anche preoccupati per l’ambiente? Be’, sapete che c’e’? A me, il vostro ambiente ha appena mangiato un piede! Ci sto sanguinando, sul vostro ambiente!
Ed e’ una magra consolazione, considerando la paura e il dolore – che senza dubbio sentirei se non fossi cosi’ ben preparato per ogni avversita’ e non mi stessi imbottendo di pasticche portentose – una ben magra consolazione, dicevo, poter affermare a gran voce, senza tema di smentite, che i miei problemi sono in-fi-ni-ta-men-te piu’ seri dei vostri. Per cui, fatemi un favore: dei vostri guai evitate di parlarmene ora, okay?
Se voi foste reali, se foste qui, e foste persone appena decenti, sono certo che in questo momento stareste cercando soccorso. O forse, prima vi sareste arrampicati su un albero, per non farvi vedere dall’orso, ma non appena lui avesse finito di masticarmi e se ne fosse tornato a casa sua, sono certo che scendereste dal vostro comodo rifugio e verreste a controllare i miei parametri vitali per accertarvi che sto bene, o quanto meno che non sono ancora tecnicamente morto, e se mi trovaste non ancora tecnicamente morto correreste a cercare un Ranger, un’ambulanza, o un elicottero del Search & Rescue con un’autonomia sufficiente per arrivare fino a questa stupidissima e cosi’ trendy zona selvaggia dell’Alaska, con un’intera squadra Rescue per soccorrermi e un’intera squadra Search per stanare quel maledetto orso e riempire di piombo il suo lurido muso nero!
E in aggiunta, con un carro attrezzi per trainare la mia Range Rover dal concessionario a Anchorage, dove grazie alla costosa ma provvidenziale clausola Casco dell’assicurazione, potrebbe essere riparata, revisionata, ripulita e rifornita di un pieno di benzina giusto in tempo per la mia prodigiosa guarigione. E a quel punto noi due – io e il mio SUV – ci allontaneremmo al tramonto, sulla Alaska-Canadian Highway, col fermo proposito di non tornare mai piu’ a nord di Vancouver.
Eh si’, io lo amo, il mio SUV. E se lo vedeste vorreste sapere tutto: la tenuta in fuoristrada (fila liscio come il burro), quanto fa con un pieno (beve come pochi!) e quanto mi e’ costato (di norma, non sarebbero cazzi vostri, ma un sacco di soldi, credetemi). Be’, si’, io e il mio SUV abbiamo passato dei bei momenti insieme: abbiamo ascoltato la musica dell’iPod con il suo Surround System a cinque vie e amplificatore digitale di bassi, abbiamo zigzagato sulle autostrade grazie all’aderenza all’asfalto del suo Dynamic Traction Control, ci siamo scopati a sangue Marcia del Controllo Prodotti sui sedili posteriori reclinabili dotati di Shiatsutronic Smart Massage; ci siamo inoltrati sulle corsie ciclabili silenziosi come squali lungo il litorale, terrorizzando i ciclisti con l’urlo lacerante del nostro clacson e lasciandoli a terra a contorcersi in una nuvola di gas di scarico.
Questa pero’ e’ la prima volta, bloccato come sono sotto il semiasse posteriore sinistro – stavo cambiando uno pneumatico quando e’ comparso un orso, io mi sono rifugiato qui sotto ma il cric ha ceduto e la macchina mi e’ crollata addosso – la prima volta, dicevo, che i momenti li passo sotto il mio SUV; e quanto a qualita’, questi momenti lasciano molto a desiderare.
A quanto vedo da qui le prestigiose finiture del luxury package di opzioni della Range Rover non sembrano estendersi alla parte sottostante. Lasciatemelo dire, qui sotto di luxury non c’e’ proprio niente. Stupido io, che credevo che con venti dollari a Javier dell’autolavaggio lui e i suoi figli (illegittimi) avrebbero pulito e controllato tutto.
Invece qui sotto vedo bulloni e tubi e fili tutti incrostati di tundra fusa – e fin qui puo’ andar bene perche’ rientra nell’estetica fuoristrada a cui io e il mio SUV aspiriamo – ma anche ricoperti di una densa melma nera di sporcizia urbana, e il mix dei due sta imbrattando per bene la mia giacca sportiva di cammello nuova di zecca che e’ ormai irrimediabilmente rovinata. In piu’ – e questo potrebbe anche farmi incazzare, se non fossi un convinto seguace del Pensiero Positivo – in piu’ questo affare… il radiatore? il fibrillatore?… non ho la minima idea di che cosa sia, so solo che c’e’ qualcosa da cui sta gocciolando, o meglio sta colando della roba. In poche parole c’e’ una perdita. Il mio potente, virile e incredibilmente costoso SUV non ha neanche un anno e ha gia’bisogno del pannolone! Una macchina di questa classe non dovrebbe avere delle perdite cosi’.”
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LE RECENSIONI
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Missione in Alaska di Mykle Hansen – Euro 13
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www lankelot eu, 19.4.11
“Un giorno mi ringrazierai, Alaska. Guarda in che squallore vivi oggi, con le tue cabine marcite, le tue zanzare e il fango dappertutto. La natura tortura ogni giorno gli incolpevoli alaskani, che finora hanno sopportato in silenzio. Ma tu meriti di meglio, alaskano. Un giorno ti alzerai e andrai al lavoro in moderni, luminosi centri di telemarketing, e non nei tuoi squallidi e pericolosi battelli da pesca. Un giorno morirai in chiari, limpidi incidenti stradali e non in foreste sporche e buie come questa.”
Irriverente tragicommedia di Mykle Hansen, scrittore statunitense proveniente da Portland, Oregon, “Stanze nascoste” e’ un romanzo breve cattivo, strampalato e caustico: e’ la grottesca vicenda di Marv Pushkin, “Responsabile della Comunicazione Creativa, Condottiero Aziendale, Leader di Uomini, Conquistatore di Femmine, abbonato di Esquire”, un copy di talento che ha dimenticato di avere un’anima e di avere avuto sentimenti ed emozioni. Anestetizzato dal consumismo esasperato, dai comfort di ogni ordine e grado e dagli psicofarmaci, Marv e’ uno che considera i suoi simili come numeri, e tende a studiarli per le sue campagne di marketing, altrimenti si limita a servirsene, a umiliarli e a dominarli. Sottoposte fascinose in primis. Un bel giorno, Marv prende e organizza una caccia all’orso in Alaska, convinto – bonta’ sua – che l’evento sara’ un successo e che con quel viatico riuscira’ a fare del suo ufficio una vera squadra, compatta e determinata. Ma le cose vanno un po’ diversamente, come scopriamo gia’ nelle prime battute. Marv si sta sognando un’ambulanza. Marv sta vaneggiando incontri con la sua amante, un’impiegata ben sottomessa e altrettanto dotata. Marv e’ nei guai.
“Non siamo poi cosi’ diversi, io e te, Compare Orso. Tutti e due sappiamo comandare. Tutti e due prendiamo a calci gli avversari. E tutti e due abbiamo buon gusto. Tu stai mangiando me, per esempio, e anch’io mangerei te. Anzi, lo faro’ di sicuro. Non dimenticare che sono io quello che vincera’. Ma tu sei un degno avversario, Compare Orso. Io ti rendo omaggio. In un altro tempo e in un altro luogo sono certo che saremmo stati ottimi amici”.
Insomma, diciamo che c’e’ stato un incidente. Marv sta sotto il suo Suv. E’ un momentaccio, da tutti i punti di vista. E’ bloccato: cambiava una gomma, e’ arrivato un orso, lui s’e’ infilato sotto l’auto, e il cric, niente, e’ andato giu’, e il Suv sopra di lui: e l’orso aveva appetito, e ha cominciato a mangiare. A mangiargli i piedi.
E’ un bell’orso. Un orso nero, americano. Da adulto, pesa pure sui duecento chili. In Alaska e’ molto diffuso. E’ un solitario, ma grazie a Dio e’ onnivoro. E quando si ritrova di fronte uno dei pupazzi del marketing, yankee e col Suv, diventa piu’ onnivoro del solito. E diciamo che uno un po’ lo capisce. E questo non solo perche’ Marv e’ uno che non crede nell’intelligenza degli animali (“mi convince solo sempre di piu’ della stupidita’ degli uomini”), ma perche’, diciamo cosi’, e’ un istinto naturale diventare onnivori, in certi frangenti. Non serve essere orsi. Manco per niente.
Marv e’ uno che la vede cosi’: “La natura e’ una spina nel fianco dell’umanita’. Il tempo della natura e’ ormai passato, e io la odio, questa natura del cazzo. Laodiolaodiolaodio. Quanto torno a casa giuro che eliminero’ ogni traccia di natura dalla mia vita”.
Marv e’ uno convinto che la tecnologia sia cosi’ superiore alla natura che figurati: non c’e’ storia. Un panorama non e’ niente quando uno ha di fronte a se’ gli effetti speciali. E se uno ha nostalgia di flora e fauna ha certi canali tv, no? E se uno soffre i cambiamenti climatici basta avere un climatizzatore. Cose del genere. Marv e’ uno che ha il culto dell’ufficio. Uno che adora il suo condominio. Uno che con la natura ci vorrebbe giocare e stop, perche’ non esiste niente di diverso dal conto in banca, da una bella donna e via dicendo. Perche’? Perche’ la chimica ha saputo curarlo. In questo modo:
“Non ho piu’ paure, ne’ incertezze. Sono coraggioso e saggio e reattivo e astuto. Niente piu’ mi turba. Non c’e’ tempesta che riesca a increspare il liscio specchio d’acqua del mio umore. Oggi nella mia vita c’e’ una sola cosa di cui non potrei fare a meno, ed e’ la combinazione Performil/Septihone”.
“Missione in Alaska” e’ il romanzo della distruzione del microcosmo di un copy col Suv: e’ un libro ideale per scegliere da che parte stare, nell’impari lotta tra natura e tecnologia, e per ghignare delle miserie umane. Un piacevole e corrosivo diversivo, alternativo e diretto quanto basta.
Gianfranco Franchi
(recensioni Missione in Alaska)
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Notte di sangue a Coyote Crossing di Victor Gischler – Euro 14,00
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omardimonopoli blogspot com, 15.3.11
Quante volte di un libro abbiamo letto o sentito dire che “incolla il lettore”? Un fracco di volte, un milione almeno! Gli strilli sulle copertine di buona parte delle pubblicazioni dell’intero globo riportano questa frase spesso a caratteri fosforescenti, di frequente sottoscritta da questo o quel nome reboante, scrittori di grido che magari il libro in questione non l’hanno nemmeno lontanamente piluccato ma tant’e’, una marchetta non si nega a nessuno. Ebbene, anche se la formula e’ trita e ritrita, di “Notte di sangue a Coyote Crossing” non si puo’ davvero dire altro che, cazzo, “questo libro inchioda il lettore”, e non ci sono santi, o te lo trangugi di getto tutto per intero oppure niente, e’ meglio se lo lasci dove sta e torni a fare altro. Al titolare del blog e’ capitato di annusare le prime pagine del romanzo mentre era in piedi nel proprio studio e di rimanere la’ impietrito, anchilosato sul battente della porta, con la faccia immersa tra le pagine mentre il cadavere di un redneck dell’Oklahoma giaceva sul pianale di un pick-up e i suoi occhi sbarrati incrociavano quelli di Tobey Sawyer, il vicesceriffo del piu’ piccolo ufficio dello sceriffo dell’insignificante contea della zona, Coyote Crossing appunto. Poi quel cadavere scompare: trafugato, seppellito – o forse resuscitato -, e al giovane vicesceriffo non resta che mettersi a cercarlo per salvarsi il culo e preservare l’impiego. Se non fosse che in una notte si scatena una vera e propria piccola apocalisse: duelli a colpi d’ascia, un traffico di clandestini nel cuore dell’Oklahoma, sparatorie all’ultimo sangue, sceriffi psicotici, triangoli amorosi, inseguimenti mozzafiato e gli indemoniati fratelli Jordan che vogliono vendicare il bifolco morto e sognano di sminuzzare il vicesceriffo in un’ultima sfida che sa tanto di O.K. Corral. E quel dannato cadavere continua a non saltare fuori. Boom! Se incappate in questo nome: Victor Gischler state sicuri che ci sara’ da smascellarsi, e da tremare. Nativo della Lousiana come altri eccellenti storytellers che su questo blog sono di casa, Gischler e’ un autore poliedrico che sguazza tra i generi con entusiasmante nonchalance (non disdegnando di affondare la penna anche nei comics); un pazzo furioso capace di portare gli “X-Men” di nuovo in testa alle classifiche americane per la Marvel, oppure di sfornare ristampe su ristampe grazie a romanzoni apocalittici come Black City (da noi la scorsa stagione si e’ parecchio parlato del suo “Anche i poeti uccidono”); uno che assieme al mentore-amico-protettore Joe R. Lansdale si diverte a sconquassare qualsiasi canone o filone regalandoci storie zeppe di eventi e personaggi incredibili, con uno stile scoppiettante (perfettamente reso in italiano dall’abilita’ di Luca Conti, molto piu’ che un mero traduttore) e un ritmo che hanno in questo momento ben pochi rivali sul mercato. Qui siamo dalle parti del western rivisitato in chiave contemporanea, con i paeselli sperduti e le pallottole che fischiano tra un tramonto rosso e un’alba mozzafiato, e, diavolo, ci si ritrova a chiudere l’ultima pagina con uno strano sorrisetto sulle labbra. Avercene in Italia, di fuoriclasse cosi’…
Omar Di Monopoli
bookshighway blogspot com, 25.3.11
Nel nome della citta’, Coyote Crossing, c’e’ gia’ il grumo denso e pensoso che Victor Gischler nasconde nella frenesia degli effetti speciali della sua scrittura. Nel gergo del border il coyote e’ la guida, si fa per dire, che conduce gli immigrati dal Messico verso il Norte ed e’ attorno a un traffico di disperati che si sviluppa tutta la “Notte di sangue a Coyote Crossing” perche’ Victor Gischler e’ divertente, caotico e giocoso nel superare i confini tra western e noir, come nota Don Winslow, ma e’ anche attento a non sfuggire la realta’. Per cui nella “Notte di sangue a Coyote Crossing” oltre alla desolazione dell’immigrazione illegale, l’atmosfera e’ delineata da un paesaggio e’ “white trash”, un sottoproletariato con poche o nulle speranze, se non la fuga dalla smalltown dove tirano a campare, tra lavori di infima categoria (il massimo, sembra di capire, sarebbe spararsi due ore di strada al giorno per andare a fare l’operaio in un’industria di fertilizzanti) ed esistenze ai margini della legalita’. Se poi in un ambiente che e’ sempre sull’orlo della crisi di nervi si immettono la criminalita’ organizzata e gli sceriffi corrotti la miscela si accende da sola per autocombustione. A farne le spese e’ Toby, un loser da quattro soldi con un passato da chitarrista in mediocri rock’n’roll band (anche la musica che segue del resto non e’ il massimo: Weezer, Garbage, Blind Melon sono i nomi che s’incontrano strada facendo) e un presente di aspirante sceriffo, padre di famiglia e concubino di una minorenne, giusto per completare il quadro. Un impiastro che riesce a cavarsela, almeno dal punto di vista ideale, con una punta di inevitabile fatalismo, espresso cosi’: “C’e’ chi viene reso piu’ forte dalle avversita’, cosi’ come dalle delusioni e dalle sciagure, e c’e’ chi diventa piu’ stronzo. Sono i casi della vita e nessuno ne e’ immune, che sia una vecchia o una messicana infuriata o un aiuto sceriffo part-time. Fai girare la ruota, e prendi quello che arriva”. Victor Gischler scrive con il senso dei fumetti o piu’ in generale delle immagini in testa ed e’ un susseguirsi di colpi di scena senza un attimo di respiro perche’ Toby Sawyer dopo aver subito per gran parte della “Notte di sangue a Coyote Crossing” decide che e’ ora di restituire colpo su colpo. In realta’, un vero loser non sceglie mai e infatti la svolta arriva per inerzia se non proprio per stanchezza perche’ c’e’ un limite anche a fare da punching ball per una famiglia di bifolchi inferociti. La progressione e’ un tourbillon di inseguimenti, sparatorie e continui rovesci di fronte con Toby Sawyer protagonista assoluto e sempre nel centro del mirino. Tutto l’armamentario dei cliche’ delle storie d’azione, dall’assedio del suo trailer prima e della stazione di polizia ai fucili a pompa, e’ preso da Victor Gischler che poi lo ricicla, lo rimescola e lo frulla a una velocita’ anfetaminica. L’effetto e’ tale che, pur senza particolari ambizioni letterarie, si resta incollati dalla prima all’ultima pagina dove, come richiesto dallo stile, arriva un finale impeccabile.
Marco Denti
(recensioni Notte di sangue a Coyote Crossing)
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Dia de los muertos di Kent Harrington – euro 14
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thrillerpages blogspot com, 11.4.11
Calhoun, il protagonista di questo romanzo, di buono non ha niente! Ma non solo lui, in tutto il romanzo, non si trova un’anima buona!
Tijuana, raccontata e descritta come lo fa Kent Harrington e’ l’ambientazione perfetta di questa trama! Poi Tijuana e’ una citta’ che mi affascina molto e dove sono parzialmente ambientati i miei due romanzi preferiti, la seconda meta’ di “Non e’ un paese per vecchi” e alcuni passaggi de “Il potere del cane”.
Ed e’ anche per questo che mi e’ piaciuto molto!
Calhoum, Americano e agente della DEA corrotto, abita e lavora a Tijuana. E’ uno scommettitore incallito, ma quando la fortuna finisce inizia a farsi prestare soldi dagli strozzini del posto, in cambio di trasportare persone illegali oltre il confine Messicano. Trasporti che inizialmente riesce a portare a termine anche se malato e febbricitante, per aver contratto il virus de la Dengue, malattia che si trasmette con la puntura di zanzara che provoca dolorose emorragie interne portando quasi sempre alla morte. Ma il giorno del “Dia de los muertos” (il giorno dei morti) Calhoun incontra anche una sua ex fidanzata e con lei, stufo di quella vita, sogna di lasciarsi tutto alle spalle e fuggire con lei in un’altra citta’. Ma l’ennesimo prestito da uno strozzino molto pericoloso, puntato e perso su una corsa di cani truccata, lo porta a dover fare un trasporto di un personaggio molto pericoloso e ricercato a tappeto in tutta la citta’. Quest’ultima parte del libro e’ da cardiopalma, una successione di eventi continui, dove l’autore tira tutti i fili della trama.
Insomma un buon noir Americano, con una scrittura dura e molto scorrevole che consiglio a tutti gli amanti del genere.
Diego Thriller
(recensioni Dia de los muertos)
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Piccoli delitti del cazzo di Jason Starr – euro 14,00
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Ti senti un “loser” per antonomasia ? Hai la singolare tendenza a scommettere sempre sul cavallo sbagliato ? Sei capace di osservare, con un certo cinico distacco, la tua vita andare a rotoli e, un secondo prima che il baratro ti sprofondi, dire agli amici, arrogante: “Sto per fare il colpaccio!” ? Bene, allora “Piccoli omicidi del cazzo” fa proprio al caso tuo. Ti divertira’, diventando anche fonte di rilassamento: sei in simpatica compagnia! Tommy Russo sara’ lo specchio nel quale rimirarti, e ammirare la perdita di senso che pervade le nostre vite per quello che e’: ridicola epopea di una “road to nowhere”, popolata dalla marea enorme del sottomondo contemporaneo, che vaga ossessionata dalla patologia della mente sociale a quella propria. Un flipper insulso dove sei contemporaneamente pallina e giocatore, e la buca e’ sempre li’ che aspetta… Un noir grottesco, divertente, assurdamente reale, che conferma l’attuale supremazia della letteratura di genere. Veloce, senza pretese apparenti, ricco di episodi esilaranti. E solo dopo la fine una leggera inquietudine si insinua…
Wu Ming
(recensioni Piccoli delitti del cazzo)
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Il vangelo della scimmia di Christopher Wilson – euro 13
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www giudiziouniversale it, 15.4.11
Il vangelo della scimmia, parabola sulla bestialita’
Una scimmia ingioiellata sbarca su un’isola abitata solo da discendenti di galeotti: c’e’ chi la vuole far sposare alla figlia, chi la considera un vero intellettuale. Con Christopher Wilson che gioca al filosofo settecentesco, un nuovo romanzo su uomini e animali
Pero’, che cosa curiosa: ultimamente si moltiplicano i libri che hanno come protagonisti le scimmie. Romanzi eh, non saggi. Come se le ultime scoperte scientifiche in tema di sensibilita’ (e conseguenti diritti) degli animali ci stessero portando a pensare che e’ possibile elevare uno scimpanze’ a livello di personaggio letterario. Come quando rivalutiamo quel cugino di campagna che avevamo sempre considerato un po’ tonto, e scopriamo che se e’ cosi’ taciturno non e’ perche’ non ha niente da dire, ma perche’ ha capito prima di noi che nella maggior parte dei casi, forse, non vale la pena dirlo.
Qualche mese fa era uscito, e avevamo recensito, “Senza colpa” di Felice Cimatti. Che in apparenza con “Il vangelo della scimmia” di Christopher Wilson non ha molto a che spartire. Quello e’ un “noir etologico” ambientato in un centro dove con le scimmie si fanno crudeli esperimenti psicologici. Questo e’ una sorta di apologo para-illuminista, che a volergli trovare una collocazione storica non dovrebbe essere neanche considerato romanzo, tanto e’ volutamente fane’ per stile, ambientazione e intenti.
Su un’isola in mezzo all’oceano, abbandonata in un imprecisato Altrove geografico e temporale, vive una bizzarra comunita’ rigidamente organizzata in forma gerarchica. C’e’ il lord che, programmaticamente, ha lo stesso nome dell’isola; c’e’ il prete ossessionato dal sesso che predica purezza e castita’; c’e’ l’intellettuale, che possiede ben cinque volumi, e li ha anche letti tutti; c’e’ il ricco commerciante, talmente grasso che lo devono trasportare quattro uomini pure per andare da una stanza all’altra. C’e’ poi l’anonima folla della gente comune; e un gradino sotto tutti c’e’ la pazza, sporca stracciona e invisibile.
Arriva una scimmia, che gia’ di suo e’ un po’ umanizzata, perche’ viene da una nave in cui era una sorta di mascotte, vestita ingioiellata e coccolata. Solo che la comunita’ che vive dell’isola, si scopre a un certo punto, non e’ una comunita’ immaginaria, ma e’ una comunita’ emarginata: nel senso che gli abitanti sono i discendenti dei reclusi in una colonia penale. Questa brava gente, dunque, e’ un po’ come il gorilla della canzone di Brassens/De Andre’: non ha veduto mai una scimmia, potrebbe fare confusione.
E infatti pensano che sia un uomo, e fanno un casino del diavolo. Prima proiettano se stessi sulla povera bestia: l’intellettuale prende i suoi silenzi per profonda riflessione e disprezzo delle banalita’, e riesce a intavolarci delle discussioni filosofiche, diventandone una specie di portavoce. Il commerciante pensa subito di accasare la figlia con un personaggio di pari dignita’ e sostanza economica. L’unica che istintivamente riesce a costruirci una relazione un minimo sensata e’ la pazza, che interagisce con la scimmia a base di grooming e sesso. Ma poi tutti devono fare i conti con l’irriducibile diversita’ dell’ospite: grugnisce, non porta i pantaloni, ha peli dappertutto. Deducono che sia uno straniero dagli insoliti costumi, e quindi la scimmia diventa il Francese. Il che pero’ non la salvera’ dalle diverse brame di ognuno, ne’ dall’inevitabile tragica fine.
Per un attimo non consideriamo la trama ne’ lo stile (il calco del sarcasmo settecentesco sara’ stato arduo da scrivere – e da tradurre – ma rischia di esserlo ancor di piu’ da fruire: ormai noi lettori postmoderni siamo troppo cinici, gia’ dobbiamo sforzarci di sorridere quando leggiamo Voltaire o Swift, e li tolleriamo giusto perche’ sono veramente d’epoca). A pensarci bene, si diceva, un elemento di fondo in comune Il vangelo della scimmia e Senza colpa ce l’hanno: e’ quello di usare le scimmie come uno specchio, di parlare degli animali per parlare di noi umani. Che in ogni caso, indovinate un po’, non ne usciamo benissimo. Ed e’ inutile chiamarsi fuori pensando che vabbe’, quelli di Cimatti sono ricercatori pazzi e questi di Wilson pronipoti di galeotti. Siamo della stessa razza, bestie.
Dario De Marco
(recensioni Il vangelo della scimmia)
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Stanze nascoste di Derek Raymond – Euro 16,00
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stilos it, 19.4.11
Come si fa a scendere a patti col senso di colpa, quando un amico alcolizzato si suicida dopo che lo si e’ scacciato in malo modo dalla propria vita? Come puo’ uno scrittore che scrive libri pieni di violenza dire che “la violenza e’ il grande nemico”? E come fa lo stesso scrittore a esorcizzare la sensazione che con un semplice “giro di vite” lui stesso avrebbe potuto diventare un killer?
A queste e altre domande scomode risponde – con l’ironia corrosiva e il disincanto che gli sono propri – il grande maestro del noir Derek Raymond nella sua autobiografia “Stanze nascoste”. Ma chi si aspettasse da lui risposte rassicuranti, in grado di pacificare le inquietudini che si accompagnano alle domande piu’ scomode sul piano etico, restera’ di sicuro deluso. “Stanze nascoste” – il cui titolo italiano e’ una corruzione del bellissimo originale inglese, “Hidden Files”, che sarebbe stato forse meglio reso con Carte segrete – e’ una discesa nell’immaginario e nella vita concreta di un grande scrittore, meta’ memoir allo stato puro e meta’ riflessione sull’arte letteraria. Del resto lo stesso Raymond comincia cosi’ la sua introduzione: “In queste memorie ho parlato molto della scrittura”.
Derek Raymond e’ lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook, nato a Londra nel 1931 e morto nella stessa citta’, dopo una esistenza di viaggi e peregrinazioni, nel 1994. Figlio di un magnate dell’industria tessile, rifiuto’ gli agi della propria classe sociale per una vita in gran parte fatta di espedienti, tra cui il traffico di opere d’arte e il commercio di materiale pornografico (fini’ anche in un carcere spagnolo per aver parlato male del dittatore Francisco Franco in un bar). Amava gli esistenzialisti francesi, la musica di George Brassens e Juliette Greco, le Gauloises con il filtro, e guai a nominare in sua presenza Margaret Thatcher e Agatha Christie.
I suoi libri del “ciclo della Factory”, come viene convenzionalmente chiamata ogni stazione di polizia inglese, sono veri e propri spaccati su un’umanita’ disillusa e dolente che raccontano le indagini di una “Sezione Delitti Irrisolti” della Polizia Metropolitana. Si tratta di romanzi in cui il male, celato dal vivere quotidiano dietro le quinte della banalita’ e dell’ordinarieta’, colpisce senza tregua, senza mai stancarsi: e chi vuole porvi fine deve immedesimarsi in esso se vuole riuscire nel compito.
In Italia i libri di Raymond pubblicati da Meridiano Zero, a cominciare dal bellissimo “E mori’ a occhi aperti” (uscito in italiano nel 1998 e ristampato nel 2003). Nella cura e la passione con cui l’editore padovano si e’ dedicato alla diffusione dell’opera di Raymond si svelano le tracce di una convinzione autentica della grandezza letteraria di questo autore. Del resto il patro’n di Meridiano Zero, Marco Vicentini, ha scritto: “Le vittime diventano i veri protagonisti dei suoi romanzi, o almeno i coprotagonisti assieme al Sergente”, che sarebbe l’anonimo detective protagonista della serie della Factory. “Raymond racconta le loro passioni, i sogni che la morte ha interrotto, finche’ da corpi devastati dalla brutalita’ sanguinaria di un delitto tornano a essere individui, uomini e donne con una loro dignita’. Talvolta, come nel caso de Il mio nome era Dora Suarez, e’ nella morte che ricevono l’amore che non hanno mai conosciuto nella vita”.
Di recente, Meridiano Zero ha fatto uscire in libreria due libri di Derek Raymond ancora inediti nella nostra lingua, l’autobiografia di cui sopra e il romanzo Incubo di strada. Il primo libro e’ appassionante: un confronto serrato tra esistenza e narrazione – la prima vista nei suoi aspetti piu’ dolenti e problematici, la seconda intesa come mezzo per addentrarsi in essi – in contrapposizione a quell’autobiografismo dolciastro e assolutorio per cui la scrittura, e in particolar modo quella che fa riferimento a se’, consente di guarire dalle proprie pecche, dai propri disagi. Stando a Raymond, anzi, accresce gli uni e le altre: “A volte Agne’s”, scrive, “mi dice che sono un bravo scrittore ma un uomo da poco, ed e’ vero che per lunghi periodi non sento alcuna passione umana, se non sulla carta. Ho sempre avuto questo problema, che rischia di rovinare un legame di coppia. Cerco di condurre una vita normale e di interagire, ma spesso sono lontano anni luce: all’improvviso i miei gesti diventano meccanici, rispondo alle domande soprappensiero, mi rendo conto solo a meta’ di quello che sto facendo, smetto di prestare attenzione agli altri e non capisco cosa dicono. Questo perche’ qualcosa mi ha colpito e io cerco di svilupparlo associandolo a personaggi, situazioni, ambienti, dialoghi”.
La vita di Derek Raymond e’ quella di un uomo che all’agiatezza e alla tranquillita’ ha preferito scavare nella mente di assassini, ladri, poco di buono, criminali noti alla giustizia, per renderli protagonisti della sua opera letteraria, in cui risuonano gli echi di un veemente pessimismo esistenziale. Si prenda esempio cio’ che scrive del legame tra violenza e poverta’ a pag. 214: “Finche’ ci sara’ miseria ci sara’ violenza. I deboli non si limitano piu’ ad allinearsi in silenzio contro il muro; dopo che ce li abbiamo spinti, si girano a fissarci e ci accusano”.
A parte il fatto che e’ un incipit straordinario, un inizio di capitolo magistrale (il n. 29) Raymond ne approfitta per raccontare al lettore come l’abbia afflitto la lettura de “La specie umana” di Robert Antelme, prestatogli dalla quinta moglie Agne’s. “… Ero indignato ma non sorpreso che nei campi di concentramento in Germania nel 1944 fosse presente in piccolo ogni settore della societa’ – dalle SS (gli dei), passando per i Blockfuhrer e i Kapo’ (prigionieri che con ogni mezzo, compresi i favori sessuali, si erano accaparrati il potere e i privilegi della middle-class) fino all’orda di cadaveri viventi alla base della piramide, miserabili, malati, infestati dai pidocchi, troppo fieri, sofferenti o sfiniti per cercare il modo di sopravvivere nella Germania nazista, d’inverno e con razioni buone solo per morire di fame”. L’unica reazione possibile, per il lettore, e’ un fiotto d’angoscia. Angoscia che si accresce grazie alla possente complessione drammaturgica della prosa di Raymond, presente anche nella scrittura autobiografica: una continua sovrapposizione di piani narrativi, per cui la realta’ si intreccia alla fiction (come quando il commissario di Scotland Yard dice a Raymond che gli piacciono i suoi romanzi, e che “sarebbe riuscito a tirar fuori un buon poliziotto da lui”). La scrittura e’ cosi’ forte sul piano drammaturgico che alcuni capitoli sono veri e propri racconti e starebbero in piedi come tali (si pensi al n. 21, in cui Derek Raymond si esibisce in una propria personalissima versione del “racconto natalizio” caro agli scrittori inglesi a partire, naturalmente, da Charles Dickens). Ne’ si puo’ restare indifferenti alle conclusioni dell’autore sulla vita e la morte, spesso ferocemente deterministiche: “Dobbiamo morire, di solito per ragioni di Stato, ossia trite e banali”, “Non so perche’ le vite vadano in pezzi, perche’ le persone si separino, perche’ si distruggano; fa parte della mia indagine, a partire da me stesso. Le persone pero’ si incrociano, e quando succede, si legano con passione, incapaci pero’ di spiegare all’altro il loro passato, lasciando cosi’ un deserto di incomprensione”. E ancora, a proposito’ del sottobosco criminale: “Il mondo della strada e’ come il mondo della guerra; sarebbe tutto molto stupido se non fosse una situazione cosi’ pericolosa”.
Davide Malesi
(recensioni Stanze nascoste)
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Una donna di troppo di Carl Hiaasen – Euro 18,00
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www fasen eni it, 20.12.10
In una notte piovigginosa di una crociera per l’anniversario di matrimonio, Chaz, marito irrequieto e con parecchio da nascondere, afferra le belle caviglie della moglie e la fa volare nell’oceano. I motivi dell’agguato sono incomprensibili per Joey, la consorte che lotta nelle acque turbolente, ma hanno radici profonde in una storia di corruzione, di debolezze, di ambiguita’ e di violenza che inevitabilmente chiama vendetta.
Non contento di aver fatto volare la moglie nell’oceano, Chaz sparera’ anche all’amante, non prima di averla denigrata declassandola, in una conversazione, a “donna delle pulizie”.
Errore ancora piu’ grave di puntarle contro una pistola: nella vita di Chaz c’e’ sempre “una donna di troppo” e dato che la sua incontenibile (diciamo cosi’) energia lo spinge a considerare la condizione femminile soltanto nella cornice delle prestazioni sessuali ed erotiche (e anche qui siamo nel campo degli eufemismi) non sono insolite o fuori luogo altre voglie che mettono, piu’ del piacere, la vendetta in cima alle preoccupazioni quotidiane.
“Una donna di troppo” e’ una commedia degli equivoci guidata da un personaggio cosi’ viscido, imbranato, imbelle e improbabile nel suo incontinente priapismo da risultare persino simpatico, visto che alla fine gliene combinano di tutti i colori (la vendetta, qui, oltre ad essere gustata fredda, ha parecchie portate). A tratti esilarante, ma non privo di una sua specifica morale che va scoperta nelle ragioni (inquinanti) dell’intrigo.
Marco Denti
(recensioni Una donna di troppo)
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Angeli perduti del Mississippi di Fabrizio Poggi – Euro 15,00
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www ondarock it
Il blues dall’Alabama allo Zydeco, in rigoroso ordine alfabetico.
Pubblicato da Meridiano zero nella collana Mappe musicali, “Angeli perduti del Mississippi” dell’armonicista Fabrizio Poggi e’ molto piu’ di un semplice viatico alla cosiddetta musica del diavolo, ma e’ un vero e proprio viaggio ragionato nel ramificato universo del blues tra radici storico-geografiche (l’area del Delta), varianti regionali (Mississippi, Piedmont, Texas), suggestioni magiche (le pratiche hodoo), evoluzioni urbane (Chicago, Detroit, Memphis) e derivazioni europee (British Blues). Senza tralasciare le maggiori personalita’ (Robert Johnson, Muddy Waters, Sonny Boy Williamson I e II, Willie Dixon) di un genere musicale che in tre accordi e dodici battute ha saputo racchiudere tutte le sfumature del sentire umano.
Nella sua argomentazione per voci, Poggi fa piazza pulita di un bel po’ di equivoci e luoghi comuni che condizionano la percezione del blues come musica intrisa di una tristezza immedicabile e come genere irrimediabilmente monocorde: trattando le numerose declinazioni che la matrice ha ricevuto a seconda delle singole realta’ in cui ha attecchito, Angeli perduti del Mississippi rivela la straordinaria varieta’ di inflessioni e coloriture del genere. Si passa dalla viscerale ruvidezza del Delta (regione situata a nord dello stato del Mississippi e nella parte orientale dell’Arkansas, da non confondere con la foce del fiume) alle asprezze elettriche di Chicago e dalle ibridazioni jazz e swing di Kansas City (nonche’ del West Coast Blues di T-Bone Walker) alle sonorita’ morbide e rilassate dello Swamp Blues della Louisiana. Ce n’e’ per tutti i gusti, insomma.
Ma a rendere la cartografia musicale di Poggi un autentico gioiello e’ soprattutto l’attenzione rivolta ad aspetti meno trattati e assolutamente cruciali nella significazione e nella diffusione del filone: il carattere allegorico del double talk (o jive o signifying) nei testi dei bluesmen, l’importanza dei juke joints (gli spartani locali del sud degli States), delle prime trasmissioni radiofoniche dedicate al genere (la leggendaria King Biscuit Time), dei concerti itineranti (l’American Folk Blues Festival), dei raduni annuali (il Newport Folk Festival) e soprattutto la fioritura di etichette discografiche grandi e piccole (Chess, Bluebird, Trumpet) che hanno sdoganato un genere inizialmente destinato e circoscritto al pubblico afroamericano (a tal punto che i dischi di jazz e blues negli anni Venti e Trenta venivano definiti race records).
Stante l’equilibrata misura della trattazione (voci snelle, esposizione limpida e un dettagliato indice analitico), non mancano pero’ amplificazioni e accentuazioni personali: il lungo capitolo dedicato a Bob Dylan testimonia non solo il ruolo chiave svolto dal cantautore di Duluth nella rielaborazione della tradizione blues e spiritual ma anche la genuina ammirazione dell’autore; e la partecipazione con cui sono descritte le travagliate vicende dei piu’ grandi armonicisti (Sonny Boy Williamson I e II, Little Walker, Sonny Terry, Junior Wells) tradisce l’amore per lo strumento d’elezione di Poggi. L’unica pecca che si puo’ rimproverare a un libro prezioso quale “Angeli perduti del Mississippi” e’ un’eccessiva ritrosia ad approfondire le componenti squisitamente tecniche che differenziano i vari stili di blues ma, considerando che si tratta di una pubblicazione non specialistica, la decisione di non calcare troppo la mano e’ piu’ che comprensibile. Un libro da leggere tassativamente con You Tube a portata di mano per godersi i brani citati. Everybody understand the blues.
Corey
(recensioni Angeli perduti del Mississippi)
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