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MUSICA: I MAESTRI: Arnold Schoenberg. Solo chi è coraggioso è un artista

6 Giugno 2013

di Gioacchino Lanza Tomasi
[da “La fiera letteraria”, numero 43, giovedì, 26 ottobre 1967]

Le funzioni strutturali dell’armonia
di ARNOLD SCHOENBERG
Introduzione di Luigi Rognoni, tradu ­zione di Giacomo Manzoni
Il Saggiatore; pagine 258, lire 2500

Annunciata nella edizione italiana del Manuale di armonia (Milano, il Saggiatore, 1953, 2 voll.) è apparsa adesso nella stessa collana la versio ­ne italiana del secondo scritto peda ­gogico di Schoenberg: Funzioni strut ­turali dell’armonia, sempre nella tra ­duzione di Giacomo Manzoni e con un altro saggio introduttivo di Luigi Rognoni.

La Harmonielehre, in una seconda edizione accresciuta, era uscita a Vienna nel 1922, le Structural functions of Harmony videro la luce po ­stume a Londra nel 19í“4. Entrambe le opere hanno in comune una certa ametodicità rispetto alla esposizione tradizionale dei fenomeni armonici, cioè son trattazioni dell’armonia in cui l’analisi degli accordi o delle re ­lazioni tonali, che costituisce il prin ­cipale apporto della seconda opera ri ­spetto alla prima, non viene garantita da basi fisico-matematiche sedimen ­tate per via empirica, come nei trat ­tati da Zarlino a Rameau fino al Riemann e al Gevaert, trattati adoperati ai tempi della stesura della Harmonielehre e in uso ancor oggi.

Venticinque anni trascorsi fra le due opere non tolsero a Schoenberg la monolitica fiducia nella sua analisi storica dell’evoluzione musicale, di ­remmo anzi che se nel 1910-20 le ten ­denze contemporanee estranee al suo processo evolutivo vennero discusse con sufficienza (vedi nel Manuale di armonia la velata antipatia con cui vien minimizzata la priorità dell’im ­piego di accordi per quarte sovrap ­poste da parte di Debussy) negli An ­ni Quaranta i compositori estranei al ­la via mitteleuropea del « progres ­so » musicale, culminata appunto in Schoenberg e nella sua scuola, vengo ­no semplicemente ignorati, accomu ­nando in questo rifiuto alla discussio ­ne tanto Hindemith che Ravel o Strawinski. Alla base di tutto ciò co ­me di ogni evoluzionismo inteso in senso positivo, vi è un’ideologia del progresso che, serrando in un unico sistema una serie tanto eterogenea di eventi quanti ne presenta la produ ­zione musicale nel suo divenire sto ­rico, porta inevitabilmente a delle di ­scriminazioni verso quel che dal si ­stema si discosta.

In questo senso Schoenberg non è meno settario dei suoi avversari di ­chiarati, gli armonisti tradizionali per i quali la tonalità e la triade son qua ­lità fisiche naturali del suono, im ­plicite nella serie di armonici di una fondamentale, e non una convenzio ­ne transitoria nella storia della musi ­ca occidentale com’egli ribadisce a più riprese. Natura settaria di entrambi i punti di vista che dipende dalla estrazione di leggi e teorie armoniche da opere fra loro incompatibili, quali possono essere quelle del classicismo viennese rispetto agli sviluppi croma ­tici dei post-wagneriani.

E’ infatti innegabile che Mozart o Beethoven considerassero le triadi delle verità naturali ed è allora su ­perfluo convincere i morti che si trattava di una convenzione, come è superfluo convincere i vivi, i quali agli aspetti « naturali » dell’accordo hanno già rinunziato nella pratica, ch’essi son sulla giusta via in quan ­to le opere degli antichi posson teo ­ricamente esser considerate assimi ­labili alle loro.

Il carattere disorganico, che sal ­tuariamente appare in queste opere pedagogiche di Schoenberg, deriva proprio da questa incapacità dell’ar ­tista a mantenere l’impassibilità del ­l’analista, e i cui esempi più vistosi potrebbero essere indicati nel rifiu ­to della teoria delle triadi sul finire del Manuale d’armonia (costruito in ­vece integralmente su questo princi ­pio, come d’altronde si astrae obietti ­vamente nella musica dal sec. XVII fino alle soglie del nostro), per sosti ­tuirlo con una teoria delle quarte so ­vrapposte, la quale proprio non si ri ­scontra nella pratica dell’armonia clas ­sica, salvo apparizioni fugaci in si ­tuazioni melodiche di passaggio. Ma la spiegazione di questo ballon d’es ­sai è il desiderio « di giustificare tut ­ti i fenomeni armonici » che non si possono spiegare entro l’ambito di un sistema per terze. Che poi la prassi musicale fino alla scuola franco-rus ­sa non contemplasse affatto la co ­struzione per quarte non trattiene Schoenberg dall’ipotizzare una nuova organizzazione strutturale dell’armo ­nia dove potesse rientrare tanto la Verkläarte Nacht che una sinfonia di Mozart, anche se il solo risultato pra ­tico sarebbe quello di far indossare un vestito stretto a Mozart per darne uno largo allo Schoenberg predodeca ­fonico.

Il principale ampliamento delle Funzioni strutturali dell’armonia ri ­spetto al manuale e quello relativo al concetto di monotonalità, secondo cui le modulazioni non realizzano del ­le mutazioni tonali definitive, bensì relative alla tonalità di base. Schoen ­berg riprende a questo punto il prin ­cipio dell’affinità, più o meno stretta a seconda degli accordi comuni fra le tonalità in esame. Questo concetto di affinità non era nuovo e si presen ­tò in musica attraverso l’analisi del ­la forma sonata, giungendo a ipotiz ­zare tutta una nuova Affektenlehre sul significato psicologico della mo ­dulazione, che, in particolare nell’ope ­ra dei classici viennesi, è senz’altro obiettiva; ma Schoenberg è restio a stabilire un rapporto fra modulazio ­ne e risultato emotivo, meglio dire che è restio ad attribuire (in teoria più che in pratica) alle successioni modulanti un carattere di eccezionali ­tà, il che contrasterebbe con le sue mire, implicite nel rifiuto del divario fra consonanza e dissonanza, a una monotonalità armonicamente agno ­stica.

Ecco allora il suo concetto di regio ­ne « secondo il quale ogni disgressione dalla tonica viene considerata sem ­pre nell’ambito della tonalità in base a un rapporto che può esser diretto o indiretto, vicino o lontano. In al ­tre parole in un pezzo di musica esi ­ste solo una tonalità, e ogni sua par ­te che un tempo veniva considerata come tonalità diversa è soltanto una regione, un contrasto armonico nel- l’àmbito della tonalità stessa ».

Anche in questo caso la posizione dell’artista militante condiziona il teo ­rico, spingendolo a una battaglia con ­tro il comporre schematico o per mo ­duli artigianali, evidentemente estra ­neo al suo principio della ricerca con ­tinua. E’ questo il sintomo di una vi ­sione parziale della storia della mu ­sica qual viene prospettala da Schoen ­berg nelle analisi armoniche: la ne ­gazione di quelle categorie di perce ­zione comuni, per le quali ogni effet ­to aveva ormai un significato univer ­sale (come gli effetti prodotti dalle modulazioni « chiare » e « oscure »); ma proprio a conclusione delle Fun ­zioni strutturali dell’armonia il musi ­cista contraddice il teorico, portato a ridurre gli « effetti » a convenzioni valide soltanto entro un certo ambito cronologico. Così Schoenberg conclu ­de la sua opera raccomandando lo studio dell’effetto modulante per una corretta esecuzione delle musiche del passato: « Grandi direttori d’orchestra come Nikisch, Mahler, Strauss avver ­tivano bene la graduale alterazione del contesto che precede una modula ­zione dando luogo a un “cambiamen ­to di scena”, all’introduzione di un contrasto ». E aggiungiamo eh’è pur ­troppo quel che tanti specialisti di nuova musica, allevati nel principio della staticità della dissonanza e del ­l’indifferenza tonale, ;on incapaci di comprendere quando si trovano a in ­terpretare una composizione tonale.

A distanza di trent’anni dalla stesu ­ra delle Funzioni strutturali dell’ar ­monia si deve poi dire, premessa e ammirata la terrificante lucidità ana ­litica dell’autore sulla musica del pas ­sato, che roco resta di alcune previ ­sioni di Schoenberg sull’avvenire, esposte più apertamente nell’appendi ­ce a conclusione dell’opera: « Valu ­tazione apollinea di un’epoca dioni ­siaca ». Senza far nomi un passo qua ­le: « Molti compositori contemporanei aggiungono suoni dissonanti a melo ­die semplici sperando così di creare sonorità “moderne” … Altri compo ­sitori celano la tonalità dei loro temi con armonie che non hanno alcuna relazione coi temi stessi… » non do ­veva mancare di esser piuttosto allu ­sivo nella Los Angeles sul finire de ­gli Anni Quaranta, che ospitava uno Strawinski più apollineo che mai e uno Schoenberg dove il dionisiaco era al limite del leone in gabbia. Un pe ­riodo inoltre che vedeva nell’emigra ­zione tedesca in America anche Hindemith, professore alla Columbia Uni ­versity, al quale paion dirette le os ­servazioni sull’illogicità armonica di certi revivals della « Kapellmeistermusik di second’ordine ».

Cosciente della propria fede artisti ­ca Schoenberg riteneva che le sue opere e quelle della sua scuola aves ­sero offerto l’unico sistema logico di emancipazione della dissonanza, una emancipazione appunto da fede mo ­nolitica per cui stabilendo che « le dissonanze non son altro che conso ­nanze più lontane nella serie degli armonici » se ne garantiva « la com ­prensibilità… identica alla comprensi ­bilità delle consonanze ».

Forse è prematuro affermarlo ma si potrebbe cominciare a ritenere che la storia gli abbia dato torto. Cioè l’emancipazione della dissonanza non ha seguito la via mitteleuropea ma quella dei suoi antagonisti, i quali cominciarono l’evasione tonale sop ­primendo la sensibile; se da un lato l’esasperazione cromatica dei tedeschi doveva culminare nel metodo dode ­cafonico, dall’altro la distensione dia ­tonica dei francesi permise l’elisione delle tensioni risolutive insite nella dissonanza, l’affrancamento dai collegamenti prestabiliti, di cui la bitona ­lità e le scale difettive han costituito a suo tempo le soluzioni più frequenti.

In verità tutti i grandi musicisti del ‘900 hanno saputo emanciparsi dalla tonalità classica, ma è forse un risultato ancor più significativo Tesser riusciti a emanciparsi dal cromati ­smo ed è ciò che i grandi del passato prossimo: Strawinski, Hindemith, Ravel, certo Bartòk, han saputo pro ­porre ciascuno per la sua via.

Il successo, se possiamo dirlo, è un ritorno dell’artigianato in musica, dopo che esso era stato messo da par ­te da Wagner, le cui premesse ideolo ­giche, se hanno condizionato la paraboia di Schoenberg e della sua scuola, sembrano di minor attualità pres ­so le generazioni del dopoguerra. Contrariamente alle speranze di Schoenberg relative a un avvento del ­la composizione come continua ricer ­ca ( « solo chi è coraggioso è un ar ­tista ») anche i musicisti che lo han ­no a capostipite stanno dirottando ne ­gli ultimi tempi verso una ripresa della composizione artigianale svol ­ta per moduli e relativi effetti acusti ­ci, e si cominciano a vedere, in nuce, attraverso la concordanza del loro impiego, alcune riprese di una Affek ­tenlehre applicata al trattamento ar ­monico. Certe improvvise apparizioni dell’accordo perfetto (in artisti pro ­gressisti), quasi oasi di riferimento nel contesto di successioni di disso ­nanze emancipate (se ne incontrano nell’ultimo Petrassi, in Penderecki, in Donatoni) attribuiscono inne ­gabilmente alla consonanza quell’ef ­fetto psicologico che lo Schoenberg teorico si è sforzato di contestare.

Dal punto di vista strutturale in questi casi si può nuovamente parla ­re di dialettica di accordi, anche se allo stato embrionale di attrazione, opposizione, repulsione, il che potreb ­be significare il ritorno a una costru ­zione musicale gerarchica o prospet ­tica, in contrasto con la rinuncia a un’impalcatura armonica unificatrice nella musica seriale; quella rinuncia per cui il Frey individuò nella dode ­cafonia un regresso alla costruzione per momenti successivi dell’arte go ­tica, rispetto alla subordinazione pro ­spettica offerta dal principio unifica ­tore della tonalità, dove all’armonia è affidato il ruolo di struttura coor ­dinante.

Alla luce degli sviluppi più recen ­ti quest’abbandono della logica pro ­spettica in tutte le arti pare già ap ­partenga al passato (tanto in musi ­ca che nelle arti figurative) e le ope ­re teoriche che annunziavano l’av ­vento di una nuova era s’inseriscono, a pochi anni dalla loro pubblicazio ­ne, in una realtà storica che non è più quella di oggi.


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