MUSICA: I MAESTRI: Arnold Schoenberg. Solo chi è coraggioso è un artista6 Giugno 2013 di Gioacchino Lanza Tomasi Le funzioni strutturali dell’armonia Annunciata nella edizione italiana del Manuale di armonia (Milano, il Saggiatore, 1953, 2 voll.) è apparsa adesso nella stessa collana la versio ne italiana del secondo scritto peda gogico di Schoenberg: Funzioni strut turali dell’armonia, sempre nella tra duzione di Giacomo Manzoni e con un altro saggio introduttivo di Luigi Rognoni. La Harmonielehre, in una seconda edizione accresciuta, era uscita a Vienna nel 1922, le Structural functions of Harmony videro la luce po stume a Londra nel 19í“4. Entrambe le opere hanno in comune una certa ametodicità rispetto alla esposizione tradizionale dei fenomeni armonici, cioè son trattazioni dell’armonia in cui l’analisi degli accordi o delle re lazioni tonali, che costituisce il prin cipale apporto della seconda opera ri spetto alla prima, non viene garantita da basi fisico-matematiche sedimen tate per via empirica, come nei trat tati da Zarlino a Rameau fino al Riemann e al Gevaert, trattati adoperati ai tempi della stesura della Harmonielehre e in uso ancor oggi. Venticinque anni trascorsi fra le due opere non tolsero a Schoenberg la monolitica fiducia nella sua analisi storica dell’evoluzione musicale, di remmo anzi che se nel 1910-20 le ten denze contemporanee estranee al suo processo evolutivo vennero discusse con sufficienza (vedi nel Manuale di armonia la velata antipatia con cui vien minimizzata la priorità dell’im piego di accordi per quarte sovrap poste da parte di Debussy) negli An ni Quaranta i compositori estranei al la via mitteleuropea del « progres so » musicale, culminata appunto in Schoenberg e nella sua scuola, vengo no semplicemente ignorati, accomu nando in questo rifiuto alla discussio ne tanto Hindemith che Ravel o Strawinski. Alla base di tutto ciò co me di ogni evoluzionismo inteso in senso positivo, vi è un’ideologia del progresso che, serrando in un unico sistema una serie tanto eterogenea di eventi quanti ne presenta la produ zione musicale nel suo divenire sto rico, porta inevitabilmente a delle di scriminazioni verso quel che dal si stema si discosta. In questo senso Schoenberg non è meno settario dei suoi avversari di chiarati, gli armonisti tradizionali per i quali la tonalità e la triade son qua lità fisiche naturali del suono, im plicite nella serie di armonici di una fondamentale, e non una convenzio ne transitoria nella storia della musi ca occidentale com’egli ribadisce a più riprese. Natura settaria di entrambi i punti di vista che dipende dalla estrazione di leggi e teorie armoniche da opere fra loro incompatibili, quali possono essere quelle del classicismo viennese rispetto agli sviluppi croma tici dei post-wagneriani. E’ infatti innegabile che Mozart o Beethoven considerassero le triadi delle verità naturali ed è allora su perfluo convincere i morti che si trattava di una convenzione, come è superfluo convincere i vivi, i quali agli aspetti « naturali » dell’accordo hanno già rinunziato nella pratica, ch’essi son sulla giusta via in quan to le opere degli antichi posson teo ricamente esser considerate assimi labili alle loro. Il carattere disorganico, che sal tuariamente appare in queste opere pedagogiche di Schoenberg, deriva proprio da questa incapacità dell’ar tista a mantenere l’impassibilità del l’analista, e i cui esempi più vistosi potrebbero essere indicati nel rifiu to della teoria delle triadi sul finire del Manuale d’armonia (costruito in vece integralmente su questo princi pio, come d’altronde si astrae obietti vamente nella musica dal sec. XVII fino alle soglie del nostro), per sosti tuirlo con una teoria delle quarte so vrapposte, la quale proprio non si ri scontra nella pratica dell’armonia clas sica, salvo apparizioni fugaci in si tuazioni melodiche di passaggio. Ma la spiegazione di questo ballon d’es sai è il desiderio « di giustificare tut ti i fenomeni armonici » che non si possono spiegare entro l’ambito di un sistema per terze. Che poi la prassi musicale fino alla scuola franco-rus sa non contemplasse affatto la co struzione per quarte non trattiene Schoenberg dall’ipotizzare una nuova organizzazione strutturale dell’armo nia dove potesse rientrare tanto la Verkläarte Nacht che una sinfonia di Mozart, anche se il solo risultato pra tico sarebbe quello di far indossare un vestito stretto a Mozart per darne uno largo allo Schoenberg predodeca fonico. Il principale ampliamento delle Funzioni strutturali dell’armonia ri spetto al manuale e quello relativo al concetto di monotonalità, secondo cui le modulazioni non realizzano del le mutazioni tonali definitive, bensì relative alla tonalità di base. Schoen berg riprende a questo punto il prin cipio dell’affinità, più o meno stretta a seconda degli accordi comuni fra le tonalità in esame. Questo concetto di affinità non era nuovo e si presen tò in musica attraverso l’analisi del la forma sonata, giungendo a ipotiz zare tutta una nuova Affektenlehre sul significato psicologico della mo dulazione, che, in particolare nell’ope ra dei classici viennesi, è senz’altro obiettiva; ma Schoenberg è restio a stabilire un rapporto fra modulazio ne e risultato emotivo, meglio dire che è restio ad attribuire (in teoria più che in pratica) alle successioni modulanti un carattere di eccezionali tà, il che contrasterebbe con le sue mire, implicite nel rifiuto del divario fra consonanza e dissonanza, a una monotonalità armonicamente agno stica. Ecco allora il suo concetto di regio ne « secondo il quale ogni disgressione dalla tonica viene considerata sem pre nell’ambito della tonalità in base a un rapporto che può esser diretto o indiretto, vicino o lontano. In al tre parole in un pezzo di musica esi ste solo una tonalità, e ogni sua par te che un tempo veniva considerata come tonalità diversa è soltanto una regione, un contrasto armonico nel- l’àmbito della tonalità stessa ». Anche in questo caso la posizione dell’artista militante condiziona il teo rico, spingendolo a una battaglia con tro il comporre schematico o per mo duli artigianali, evidentemente estra neo al suo principio della ricerca con tinua. E’ questo il sintomo di una vi sione parziale della storia della mu sica qual viene prospettala da Schoen berg nelle analisi armoniche: la ne gazione di quelle categorie di perce zione comuni, per le quali ogni effet to aveva ormai un significato univer sale (come gli effetti prodotti dalle modulazioni « chiare » e « oscure »); ma proprio a conclusione delle Fun zioni strutturali dell’armonia il musi cista contraddice il teorico, portato a ridurre gli « effetti » a convenzioni valide soltanto entro un certo ambito cronologico. Così Schoenberg conclu de la sua opera raccomandando lo studio dell’effetto modulante per una corretta esecuzione delle musiche del passato: « Grandi direttori d’orchestra come Nikisch, Mahler, Strauss avver tivano bene la graduale alterazione del contesto che precede una modula zione dando luogo a un “cambiamen to di scena”, all’introduzione di un contrasto ». E aggiungiamo eh’è pur troppo quel che tanti specialisti di nuova musica, allevati nel principio della staticità della dissonanza e del l’indifferenza tonale, ;on incapaci di comprendere quando si trovano a in terpretare una composizione tonale. A distanza di trent’anni dalla stesu ra delle Funzioni strutturali dell’ar monia si deve poi dire, premessa e ammirata la terrificante lucidità ana litica dell’autore sulla musica del pas sato, che roco resta di alcune previ sioni di Schoenberg sull’avvenire, esposte più apertamente nell’appendi ce a conclusione dell’opera: « Valu tazione apollinea di un’epoca dioni siaca ». Senza far nomi un passo qua le: « Molti compositori contemporanei aggiungono suoni dissonanti a melo die semplici sperando così di creare sonorità “moderne” … Altri compo sitori celano la tonalità dei loro temi con armonie che non hanno alcuna relazione coi temi stessi… » non do veva mancare di esser piuttosto allu sivo nella Los Angeles sul finire de gli Anni Quaranta, che ospitava uno Strawinski più apollineo che mai e uno Schoenberg dove il dionisiaco era al limite del leone in gabbia. Un pe riodo inoltre che vedeva nell’emigra zione tedesca in America anche Hindemith, professore alla Columbia Uni versity, al quale paion dirette le os servazioni sull’illogicità armonica di certi revivals della « Kapellmeistermusik di second’ordine ». Cosciente della propria fede artisti ca Schoenberg riteneva che le sue opere e quelle della sua scuola aves sero offerto l’unico sistema logico di emancipazione della dissonanza, una emancipazione appunto da fede mo nolitica per cui stabilendo che « le dissonanze non son altro che conso nanze più lontane nella serie degli armonici » se ne garantiva « la com prensibilità… identica alla comprensi bilità delle consonanze ». Forse è prematuro affermarlo ma si potrebbe cominciare a ritenere che la storia gli abbia dato torto. Cioè l’emancipazione della dissonanza non ha seguito la via mitteleuropea ma quella dei suoi antagonisti, i quali cominciarono l’evasione tonale sop primendo la sensibile; se da un lato l’esasperazione cromatica dei tedeschi doveva culminare nel metodo dode cafonico, dall’altro la distensione dia tonica dei francesi permise l’elisione delle tensioni risolutive insite nella dissonanza, l’affrancamento dai collegamenti prestabiliti, di cui la bitona lità e le scale difettive han costituito a suo tempo le soluzioni più frequenti. In verità tutti i grandi musicisti del ‘900 hanno saputo emanciparsi dalla tonalità classica, ma è forse un risultato ancor più significativo Tesser riusciti a emanciparsi dal cromati smo ed è ciò che i grandi del passato prossimo: Strawinski, Hindemith, Ravel, certo Bartòk, han saputo pro porre ciascuno per la sua via. Il successo, se possiamo dirlo, è un ritorno dell’artigianato in musica, dopo che esso era stato messo da par te da Wagner, le cui premesse ideolo giche, se hanno condizionato la paraboia di Schoenberg e della sua scuola, sembrano di minor attualità pres so le generazioni del dopoguerra. Contrariamente alle speranze di Schoenberg relative a un avvento del la composizione come continua ricer ca ( « solo chi è coraggioso è un ar tista ») anche i musicisti che lo han no a capostipite stanno dirottando ne gli ultimi tempi verso una ripresa della composizione artigianale svol ta per moduli e relativi effetti acusti ci, e si cominciano a vedere, in nuce, attraverso la concordanza del loro impiego, alcune riprese di una Affek tenlehre applicata al trattamento ar monico. Certe improvvise apparizioni dell’accordo perfetto (in artisti pro gressisti), quasi oasi di riferimento nel contesto di successioni di disso nanze emancipate (se ne incontrano nell’ultimo Petrassi, in Penderecki, in Donatoni) attribuiscono inne gabilmente alla consonanza quell’ef fetto psicologico che lo Schoenberg teorico si è sforzato di contestare. Dal punto di vista strutturale in questi casi si può nuovamente parla re di dialettica di accordi, anche se allo stato embrionale di attrazione, opposizione, repulsione, il che potreb be significare il ritorno a una costru zione musicale gerarchica o prospet tica, in contrasto con la rinuncia a un’impalcatura armonica unificatrice nella musica seriale; quella rinuncia per cui il Frey individuò nella dode cafonia un regresso alla costruzione per momenti successivi dell’arte go tica, rispetto alla subordinazione pro spettica offerta dal principio unifica tore della tonalità, dove all’armonia è affidato il ruolo di struttura coor dinante. Alla luce degli sviluppi più recen ti quest’abbandono della logica pro spettica in tutte le arti pare già ap partenga al passato (tanto in musi ca che nelle arti figurative) e le ope re teoriche che annunziavano l’av vento di una nuova era s’inseriscono, a pochi anni dalla loro pubblicazio ne, in una realtà storica che non è più quella di oggi. Letto 5076 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||