MUSICA: I MAESTRI: Scarlatti. La sonata come spettacolo25 Giugno 2012 di Fedele d’Amico La fortuna postuma di Domenico Scarlatti ha preceduto quella di ogni altro compositore italiano del Sei e Settecento di parecchi decenni. E’ apparso ora un nuovo contribu to: Le sonate di Domenico Scarlatti di Giorgio Pestelli (pagg. 294, lire 4500), pubblicato dalla Facoltà di Let tere e Filosofia dell’Università di To rino, dove il Pestelli s’è laureato tre anni fa alla scuola di Massimo Mila, con una tesi appunto sull’argomento. L’autore dichiara nella presentazione di aver impostato il suo lavoro sul problema di proporre un nuovo ordi ne cronologico alle sonate di Scarlat ti: problema già affrontato da Kirk patrick ma in modo poco soddisfacen te, e comunque largamente confutato (soprattutto dal volume su Scarlatti di Hermann Keller, 1958, ma somma riamente già da Bogianckino). Ricordiamo brevemente la questio ne. La più antica fonte dell’opera cla vicembalistica di Domenico Scarlatti è la stampa di trenta sonate, curata da lui stesso nel 1738 col titolo Esercizi; il resto ci è noto principalmente da due codici manoscritti e non autogra fi, entrambi provenienti dalla Spagna dove Scarlatti visse dal 1729 al 1757, cioè fino alla morte, al servizio della corte (vi si era trasferito al seguito di Maria Barbara figlia del re di Porto gallo Giovanni V, presso la quale ave va passato a Lisbona i nove anni precedenti, e che andava sposa all’Infan- te di Spagna). Uno di questi codici si trova alla Marciana di Venezia, l’altro alla Palatina di Parma, e ognuno consta di quindici volumi, datati uno per uno: quelli veneziani a partire dal 1742, quelli parmensi dal 1752, tutt’e due fino al 1757. Ora Scarlatti, che al pari di Bach e Haendel era nato nel 1685, nel 1738 aveva cinquantatré an ni, e cinquantasette nel 1742, mentre come clavicembalista era celebre al meno dal 1709, data probabile della sua famosa gara con Haendel a Ro ma. E’ dunque istintivo pensare, con trariamente a Kirkpatrick, che sia gli Esercizi come i codici di Venezia e di Parma accolgano largamente sona te composte parecchio tempo addie tro. E’ quanto dire che sulle date di composizione, salvo il « terminus ad quem » e qualche altra sporadica pez za d’appoggio, noi possiamo soltanto azzardare congetture in base a criteri stilistici. E’ quanto fa il nostro giovane mu sicologo, andando avanti sulla strada imboccata soprattutto da Keller. Tut tavia sulla portata e l’attendibilità del l’impresa conviene intendersi. Iden tificare un dato indirizzo stilistico con un’epoca determinata, vale a dire con una fase cronologicamente determina ta nell’evoluzione d’un autore, dal punto di vista biografico soltanto un’ipotesi, che domani potrà essere contraddetta da un documento nuo vo; tuttavia l’individuazione stilistica che l’impegno di « datare » ha provo cato può conservare ugualmente il suo valore, e questo soprattutto im porta. Altrimenti detto, una volta col locate agl’inizi della carriera di Scar latti le sonate con basso numerato o quelle che si rifanno, per esempio, a stile e forme del concerto corelliano o vivaldiano, o a violinistiche mono die accompagnate, anche se un gior no si venisse a scoprire che Scarlatti si divertì invece a scriverne qualcu na nel 1757, questo non metterebbe minimamente in crisi la definizio ne stilistica ch’era dietro l’ipotetica datazione. Sarebbe ora molto complicato elen care qui gli apporti originali di que sto nuovo lavoro; ma non è poi tan to necessario, perché il suo pregio fondamentale â— non dico il solo â— consiste nell’aver ordinato e messo a reciproco confronto quanto s’era fino ra scoperto e pensato sull’argomento, secondo un punto di vista unitario e capace di avviare a delle sintesi: so prattutto in virtù della ferma tenden za a trarre dall’analisi filologica defi nizioni d’arte e di cultura, e viceversa a confortare l’impressione estetica di documenti stilistici e formali. In complesso il risultato più pre gnante del libro consiste forse nel- l’aver più che mai precisato â— sulla scorta soprattutto del saggio di Bogianckino â— la sostanziale estra neità di Scarlatti alla via maestra che doveva condurre la musica strumen tale alla forma-sonata classica (don de, come giustamente nota Pestelli stesso, la relativa freddezza nutrita verso di lui da Torrefranca, nella sua avventurosa indagine sui « primitivi della sonata moderna »). Molto bene Pestelli spiega e documenta come la « forma » scarlattiana non derivi da quel « lucidus ordo » puramente mu sicale che i futuri classici della so nata e della sinfonia avrebbero per seguito un giorno, come a suo modo aveva perseguito, ai tempi di Scar latti, un Bach; ma da una « vocazione teatrale » che regola l’andirivieni de gli estri e dei contrasti al modo d’uno « spettacolo ». Di qui la conferma del la natura radicalmente italiana di Scarlatti, in antitesi netta a un pro cesso storico che, per quanti apporti italiani potesse via via utilizzare, fu nel raggiungimento della sua entele chia essenzialmente germanico (sì che l’influsso di Scarlatti si esercitò all’infuori di qualunque filiazione for male; non diversamente da quello che un secolo dopo avrebbe esercitato Chopin, il solo compositore che in qualche modo sia assimilabile a lui). Curiosamente, questa conferma smentisce quel capitolo dell’introdu zione al nostro volume che s’intitola Il mito di Scarlatti nella cultura ita liana del 900 (già pubblicato tre anni fa, in uno dei quaderni della Rasse gna musicale), e che per non poca parte è una discreta presa in giro del « nazionalismo » di quella medesima « cultura », che ci è presentata come solidale ai dettami del Regime; quasi che la riscoperta della musica italia na preottocentesca fosse nata per or dine del duce, anzi che per imprescin dibili ragioni proprie. Scrive per esempio Pestelli, dopo aver riportato la dichiarazione di Colui, che la mu sica « nell’essenza sua intima » sia un fatto nazionale: « Va da sé che là do ve i caratteri nazionali non c’erano â— come nel caso di Domenico Scar latti, o se c’erano erano i caratteri d’un’altra nazione, quella spagnola â— si provvide con il riferimento alla concezione olimpica e serena dell’ar te mediterranea ». Invece, come s’è vi sto, l’italianità di Scarlatti risulta ap punto, e meglio che mai, da quanto segue nel libro; dove anche l’idea di Kirkpatrick che Scarlatti sia divenu to a un certo punto « un musicista spagnolo » è confutata benissimo, con la dimostrazione che gli spagnolismi sono soltanto « uno degli elementi che costituiscono lo spettacolo musicale della sonata di Scarlatti >, e tal ele mento inserito come « la voce d’un altro mondo ». Non altrimenti, dopo avere sorriso nell’introduzione degli stupori « metafisici » che Bontempelli trovava in Scarlatti, il nostro autore fa uso della stessa immagine, e rifa cendosi esplicitamente a Bontempelli, per definire certi aspetti delle ultime sonate. Contraddizioni delle quali non ci scandalizzeremo; al contrario, le pren deremo a testimonio d’un’onestà in tellettuale non inferiore alla compe tenza e alla sensibilità musicale che tutto il libro dimostra. E magari az zarderemo anche noi un’ipotesi crono logica: che quel capitolo sul « mito » sia stato scritto, come le sonate di Scarlatti con basso numerato, prima del resto; augurandoci che il basso numerato, in una prossima edizione, sia realizzato nello stile degli Eser cizi. Letto 3105 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||