Per farla finita il presidente deve parlare3 Settembre 2012 di Maurizio Belpietro Come il lettore sa, Libero è sempre stato del parere che le conversazioni delle alte cari che dello Stato, comprenden do tra queste non solo il pre sidente della Repubblica e quello del Consiglio ma anche i ministri che compongono il governo, dovessero godere dell’assoluta inviolabilità. E non per garantire l’impunità a lor signori, ma semplicemente perché, occupando alti incari chi, trattano materie riservate, prendendo nell’interesse ge nerale dell’Italia decisioni che spesso non hanno bisogno di pubblicità. In nessun altro Paese un capo di Stato mentre parla al telefono viene inter cettato legalmente da una Procura. E che ci sia noto, nes sun organo di stampa pubbli ca impunemente le chiacchie re via cornetta del capo di go verno con un suo interlocuto re. A memoria non ci pare sia accaduto ad Obama, ma nep pure ai suoi predecessori, Bu sh e Clinton, nonostante quest’ultimo fosse finito al centro di più di un’indagine giudiziaria. Stessa sorte è toccata a Sarkozy e Chi rac, entrambi nei guai con la magistratura. Si dirà: forse non frequentavano bricconi sotto posti ad indagine e dunque messi sotto ascolto dalla magi stratura come spesso accade in Italia. Non è così. A Tony Blair capitò di avere per amici o fi nanziatori anche personaggi discussi, ma a quanto ci risulta non una sua parola è finita in un fascicolo giudiziario e men che meno sulla prima pagina di un quotidiano. La premessa è d’obbligo per sgomberare il campo da qual siasi speculazione. Per anni ab biamo sostenuto che le intercettazioni sono utili per scova re i criminali ma non possono essere usate nella battaglia po litica. Soprattutto non devono essere impiegate contro le alte cariche dello Stato. Le quali, se indagate, devono rispondere delle accuse contro di loro, ma, nell’interesse del Paese e della sua immagine internazionale, a tempo debito, quando cioè non ricoprano più l’incarico, così come avviene in Francia o in Spagna. Il nostro parere a questo proposito non è cam biato, semmai, si è rafforzato. Ciò detto, non possiamo però fare a meno di notare che, do po anni in cui si è sostenuta la necessità di non intralciare il lavoro dei pm anche, o forse soprattutto, quando questi si occupano di politica, ora non si può dire alt, fermatevi, per ché rischiate di colpire il Qui rinale. Se fino a ieri si è detto e scritto che tutti sono uguali da vanti alla legge, presidenti del Consiglio, ministri, numeri uno dei servizi segreti, non c’è ragione oggi di sostenere che il capo dello Stato debba godere di un trattamento di privilegio. Quello che sta accadendo è il prodotto di una battaglia poli tica condotta senza esclusione di colpi. Per far fuori Berlusco ni e i suoi uomini si è sostenuto che le conversazioni private del capo del governo non devono godere di alcun trattamento speciale. Oggi lo stesso tratta mento è riservato a Napolita no. E più i suoi difensori (Scal fari, Ainis, Onida…) si affanna no a sostenere la diversità del presidente della Repubblica davanti alla legge, più risulta chiara la disparità di tratta mento, una disparità che non trova riscontro nella Costitu zione. Se un deputato o un senato re possono essere intercettati indirettamente, cioè mentre parlano con un indagato; se un deputato o un senatore posso no con questo escamotage fini re al centro di un’inchiesta giu diziaria e i loro colloqui posso no essere prodotti in giudizio; se questo principio, sancito dalla Corte costituzionale, è va lido anche per il presidente del Consiglio e i suoi colleghi di governo, nonostante le gua rentigie concesse a chi siede in Parlamento, beh non c’è moti vo alcuno di concedere al pre sidente della Repubblica un trattamento diverso. Se tutti possono essere intercettati, in dipendentemente dalle fac cende delicatissime di cui si occupano, il capo dello Stato non può godere di eccezioni. Ecco perché ci dispiace dis sentire da un amico e maestro come Giampaolo Pansa, il qua le vorrebbe tenere al riparo dalle grane l’uomo del Colle. Purtroppo nei pasticci l’inqui lino del Quirinale ci si è messo quando ha chiuso un occhio, anzi due, sulla violazione di qualsiasi riservatezza nei con fronti del presidente del Consi glio e dei suoi ministri. Napo litano ha lasciato che le inter cettazioni di Berlusconi e di al tri ministri finissero sui giornali anche quando erano di nessun interesse, neanche giudiziario, dunque adesso che tocca a lui non può dire «Non ci sto ». Dall’alto della sua posizione egli avrebbe dovuto interveni re, facendo sentire la propria voce, con un messaggio al Par lamento o al Csm, ma per quieto vivere o per antipatia nei confronti del Cavaliere ha preferito tacere. Ora è lui nel mirino e non serve invocare l’aiuto e la soli darietà delle forze politiche, perché l’intrigo attorno alle conversazioni che riguardano l’inchiesta sulla trattativa Sta to-mafia non si acquieterà fino a che le frasi di quelle telefona te intercettate dai pm di Paler mo non saranno integralmente rese note. Nonostante quanto si dica, il capo dello Stato non ha altra via se non quella di sciogliere il mistero. Egli sa che cosa ha detto all’ex vicepresi dente del Csm Nicola Manci no. Sa se al telefono ha insul tato i pm di Palermo, l’allora premier e il leader dell’Italia dei valori, oppure se ha parlato d’altro. Dunque, se non vuole rimanere vittima delle sabbie mobili del sospetto e della mal dicenza, deve parlare. Diversamente, le prossime settimane e i mesi a venire saranno segnati dai veleni di questa faccenda. Napolitano è vittima dei tentennamenti nei confronti delle vicende che ri guardarono Berlusconi, ma ora rischia di essere ancor più pe santemente vittima dei tenten namenti che riguardano lui stesso. Lo abbiamo già scritto: tiri fuori i contenuti delle tele fonate e sarà meglio per tutti. Soprattutto se il capo dello Sta to è intenzionato a restare in sella con piene funzioni fino all’ultimo giorno del suo inca rico. In tal caso, votando a marzo, toccherà a lui designare il nuovo capo del governo e non vorremmo che a qualcuno facesse comodo un presidente della Repubblica un po’ sotto tono, se non dimezzato. Come si vede, se il ricatto c’è, l’unico che lo può sventare è lo stesso presidente. Non tutti i presidenti sono intoccabili Apprendo che l’onorevole Giulia Bongiorno non è un avvocato soltanto di grido, ma anche di lamento. Secondo la presidente della commissione giustizia di Montecitorio, qualora si appurasse che Panorama si è inventato il contenuto delle telefonate Napolitano – Mancino, non sarebbe campata in aria l’ipotesi di un’inchiesta per offesa all’onore del capo dello Stato. Mi piacerebbe sapere come si faccia a scoprire se quello del settimanale mondadoriano è un falso, assodato che le intercettazioni sono state secretate. D’altronde, se non sono venute fuori finora, rimarranno sepolte per sempre per ordine della Corte costituzionale. Difatti, la sentenza della Consulta è scontata: eliminare, distruggere, sotterrare. In ogni caso staremo a vedere. Pur di condannare la diabolica rivista, ci sarà chi troverà una via penale da percorrere. L’esperienza, in questo accidentato campo, ci è maestra. Chi tocca i fili del telefono presidenziale muore. Oggi. Ma non è sempre stato così. Un tempo si poteva toccare ben altro, anche la poltrona; addirittura era lecito scuoterla e ribaltarla, scaraventando fuori dal Quirinale chi vi fosse assiso. Il primo defenestrato che mi torna alla mente è Antonio Segni, ministro dell’Agricoltura (la riforma agraria porta la sua firma) e due volte premier. Nel 1962 salì al Colle. Nel 1964 ebbe un colpetto, definito, non si sa da quale razza di medico, molto grave. Talmente grave da non impedirgli di vivere altri otto anni nel pieno delle facoltà. Non importa. Segni fu costretto a dimettersi con cinque anni di anticipo sulla scadenza del mandato. Il motivo del «licenziamento » non era certo la malattia, ma la questione Sifar (servizi segreti, un colpo di Stato che esisteva solo nella fantasia di qualche esaltato). Segni subì una doppia crudele ingiustizia: silurato con un pretesto «non è più in grado di ragionare » – e diffamato per uno scandalo che poi si rivelò una bufala. Ma allora nessuno pensò di aprire un’inchiesta per offesa all’onore del capo dello Stato. Vero, onorevole Bongiorno? Altra epoca, altri presidenti (democristiani e non comunisti). Non è mica finita. Vogliamo parlare di Giovanni Leone? L’opposizione negli anni Settanta gli gettò addosso le accuse più infamanti. Al linciaggio contribuì una giornalista alla moda, ovviamente di sinistra (quindi osannata, idolatrata): Camilla Cederna, guru dell’ Espresso, che su Leone e le sue presunte malefatte pubblicò un bestseller zeppo di balle, tant’è che l’autrice fu obbligata a risarcire la vittima, ma non perse la fama di star del firmamento rosso. Balle o non balle, il presidente venne invitato perentoriamente ad abbandonare il Quirinale. Lui, che era un galantuomo e un fine giurista. Occorre precisare che in seguito gli fu riconosciuta la patente di onesto. Molti anni dopo, però, quando pochi ormai ricordavano la descritta vigliaccata. Per concludere, Francesco Cossiga. Qui mi fa velo l’amicizia ma non esito lo stesso a dire che, in un’Italia governata da nani, lui era un gigante. Nel funesto periodo di Tangentopoli, egli ebbe il coraggio di «picconare », cioè di sbarazzarsi dell’ipocrisia (eccesso di buona educazione) e di raccontare la verità ai cittadini. Gli ex comunisti non gli perdonarono questa sua franchezza, e tentarono di cacciarlo: impeachment. Cossiga, disgustato, si dimise con grande dignità. Non mi risulta che Giorgio Napolitano (né la stampa che lo sostiene) abbia mosso un dito per difendere i suoi tre predecessori, di cui abbiamo rammentato le disavventure, i feroci attacchi che li distrussero. Non solo: se alcuni giornali osano sollecitarlo a riferire di quelle telefonate, subito si minacciano inchieste nella speranza di punirli. Ingroia corregge il tiro? “Sulle intercettazioni enfatizzazione mediatica” Dopo aver lanciato il sasso, rilasciando interviste e presenziando a trasmissioni televisive, adesso il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia ritrae la mano. Intercettazioni sulle quali, secondo Ingroia, “c’è stata una eccessiva enfatizzazione mediatica”. Per il pm, intervistato a Mattino Cinque, “si tratta di intercettazioni che non hanno tra l’altro alcuna rilevanza penale e sulle quali ci si sta esercitando sui possibili risvolti”. Dopo le polemiche sulla copertina del settimanale Panorama (Ricatto al presidente), la questione tiene ancora banco. Entrando nel merito, Ingroia ha poi spiegato che le intercettazioni indirette al Capo dello Stato “non sono state distrutte in quanto la legge non prevede una distruzione immediata: l’intercettazione non può essere arbitrariamente distrutta dal pubblico ministero, ma è necessario chiedere l’autorizzazione ad un giudice e, prima ancora, deve essere messa a disposizione delle difese degli indagati che la possono richiedere”. Letto 1162 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||