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Pd e Pdl tentati dal ritorno agli antichi riti

12 Febbraio 2012

Federico Geremicca
(da “La Stampa”, 12 gennaio 2012)

Mentre Mario Monti lavora lungo l’asse Roma-Bruxelles-Washington per convincere – a quanto pare con successo – capi di governo e mercati circa la rinnovata affidabilità italiana, i partiti politici sembrano aver deciso di metter finalmente mano alla riscrittura di alcune regole di sistema fondamentali per il futuro del Paese: a cominciare, in particolare, da una nuova legge elettorale. Si tratta di un lavoro complicato, naturalmente, difficile – per altro – da immaginare del tutto sganciato dall’impalcatura istituzionale che la nuova legge dovrebbe animare e però avviato (a quel che è dato capire) col piede sbagliato.

Il punto di partenza assunto è sacrosanto: restituire ai cittadini il potere di scegliere i propri eletti in Parlamento. Già il fatto, però, che questo obiettivo sia considerato raggiungibile solo col ritorno ad una legge elettorale proporzionale (è su questo che si lavora) è cosa discutibile; che il passaggio successivo – poi – debba consistere nell’abbandono dell’assetto bipolare del sistema politico, lo è ancor di più; ma quel che appare davvero sorprendente, è l’approdo cui la nuova legge dovrebbe portare.

Infatti, messa in agenda per permettere agli elettori di selezionare i propri eletti, essa potrebbe finire per negare ai cittadini il potere di una decisione perfino più importante: la scelta dell’uomo chiamato a governare il Paese. Il condizionale è d’obbligo, considerato che il lavoro è solo iniziato: ma proprio la circostanza che si sia ancora nel pieno dell’opera, permette di porre un paio di questioni che sarebbe sbagliato sottovalutare.

La prima riguarda il fatto che la traccia su cui si sta lavorando costituisce oggettivamente un atto di prepotenza nei confronti del milione e più di cittadini che nei mesi scorsi ha firmato per un referendum che si proponeva addirittura un rafforzamento del profilo maggioritario dell’attuale legge elettorale: occorre convincersi che continuare a ignorare le indicazioni che vengono dal Paese (in materia di acqua, di finanziamento pubblico ai partiti, di legge elettorale…) non solo è insopportabile, ma rischia di ridurre ancor di più la già scarsa fiducia di cui godono i partiti. La seconda questione – invece – è tutta in una domanda ed è, se possibile, ancor più rilevante: ma davvero si pensa ad un ritorno al passato tale da riproporre un sistema noto e abbandonato, una legge elettorale – cioè – per la quale votavi La Malfa e ti ritrovavi a Palazzo Chigi Craxi, e se sceglievi il Psdi potevi esser certo che il governo l’avrebbe guidato un democristiano?

Dopo quasi vent’anni – non certo idilliaci – durante i quali gli italiani si sono divisi intorno alla possibilità o meno di avere Berlusconi a Palazzo Chigi (Berlusconi: non un leader alleato o un altro esponente del Pdl), continuando intanto a scegliere il sindaco, il governatore o il presidente della Provincia che li avrebbe governati, un tale salto all’indietro appare non solo poco comprensibile, ma anche poco digeribile. Viene da chiedersi dove siano finiti i tanti paladini del bipolarismo. E sorprende che nessuna protesta – anzi! – si alzi dalle file del centrodestra, da anni sempre pronto al «o Berlusconi o elezioni » e a grida e lamenti su ribaltoni presunti e complotti in divenire.

Nessuna persona ragionevole e in buona fede, naturalmente, può negare quanto rabberciato, confuso e incompleto sia stato in questi anni il «bipolarismo all’italiana ». E tutti capiscono perché l’indicazione diretta del premier oggi appassioni assai meno il centrodestra, orfano di un Berlusconi che ripete di non volersi ricandidare. Ma sono motivi sufficienti per buttar via – come si è soliti dire – il bambino con l’acqua sporca? E il Pd dell’alternativa (e prima ancora della «vocazione maggioritaria ») non ha nulla da dire o da obiettare?

Il passaggio è delicato – molto delicato – visto che è in discussione l’assetto futuro del Paese. E sarebbe forse il caso di affrontarlo con qualche furbizia in meno e un po’ di lungimiranza in più. Per altro, tra i tanti problemi che i partiti politici hanno di fronte, ce n’è uno che sarebbe micidiale sottovalutare: il confronto tra il loro agire e l’agire del governo Monti. L’esecutivo ha dalla sua rapidità di decisione, sobrietà e un crescente prestigio internazionale; a questo sarebbe suicida contrapporre anche solo la sensazione che si intenda chiudere in fretta la parentesi, e non per andare avanti ma per tornare agli antichi riti. Se si è finalmente avviato il confronto sulla legge elettorale affermando che occorre ridare al cittadino la possibilità di scegliere il suo deputato, sarebbe grottesco concluderlo togliendogli il potere di scegliere chi lo governerà. Pochi capirebbero. E molti, magari, penserebbero «teniamoci i tecnici, che chi si fida di quei partiti là ».

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“Re Giorgio si vanta dei tagli ma la sua reggia è la più cara” di Laura Cesaretti. Qui.

“Cosa ci dice la rabbia dei greci” di Stefano Lepri. Qui.

“La distruzione di un popolo” di Mario Sechi. Qui.


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