PITTURA: I MAESTRI: Le grandi stagioni di De Chirico13 Febbraio 2012 di Franco Russoli A ottantadue anni, Giorgio De Chirico ha la prima vera mostra antologica della sua attività: dipinti, scultu re, opera grafica, e, conside rando quanto pubblicato nel catalogo, poesie, romanzo, scritti critici, memorie. Per la prima volta i diversi aspetti e momenti del suo lavoro sono raccolti insieme, attra verso esempi significativi, senza le distinzioni, le omis sioni, le scelte tendenziose e polemiche che, per volontà sua o di altri, hanno sinora caratterizzato le mostre pre cedenti. A Palazzo Reale di Milano non si vede soltanto il « primo » o soltanto « l’ul timo » De Chirico, non si dà una scelta secondo l’interpre tazione della « metafisica » offerta dai critici o secondo l’interpretazione che egli stes so violentemente sostiene in lotta con loro. Si propone il più obiettivamente possibile l’arco intero del suo percor so, nella certezza che è co munque il percorso di una delle più grandi personalità dell’arte moderna, e che è quindi necessario conoscerlo in ogni suo periodo e mani festazione. La sala in cui sono riuniti gli autoritratti, che apre e chiude la visita della mostra, è in tal senso emblematica: lo specchio delle ostinazioni e protervie, delle malinconie e sogni, delle ironie e nostal gie di un poeta che prende orgogliosamente e impietosa mente la propria immagine a oggetto di verifica di un giu dizio sulle umanistiche virtù e sulle fisiche servitù dell’ar tista. IL FIGLIO DELL’INGEGNERE De Chirico è nato a Volos, in Tessaglia, in una torrida giornata del luglio 1882. Suo padre era ingegnere in una ditta italiana che costruiva linee ferroviarie in Grecia: morì nel 1905. Fino ad allora i ragazzi De Chirico (Giorgio e il fratello minore Andrea, cioè il geniale musicista, scrit tore e pittore noto come Al berto Savinio) vissero tra Volos e Atene. I templi e le stazioni, le piccole locomotive fumanti e le statue abbando nate tra modesti amorfi edi fici, i personaggi, i costumi, gli oggetti di un decoro bor ghese ottocentesco, le distese della calcinante luce medi terranea che blocca nella so spensione inquietante del l’eterno e dell’infinito le ap parenze domestiche quotidia ne, furono il repertorio di oggetti e di sensazioni, la mi niera dell’infanzia cui sem pre ha attinto il sentimento e la poesia di De Chirico. In fondo, il vecchio « pictor optimus » che si paluda in pan ni rubensiani e che canta la natura e il mito nella scro sciante sinfonia di colori e forme emulsionati, rivela lo stesso atteggiamento di mera viglia e di appassionata com petizione verso la grande pit tura, che aveva il bambino impegnato a copiare, nei ric chi saloni borghesi della casa di Volos, le stampe delle riviste illustrate. Alla morte del padre, i gio vinetti partirono con la ma dre per Monaco, dove avreb bero perfezionato gli studi di musica e di pittura. Le piaz ze d’Italia intraviste nel viag gio, la Greciaclassica e la Firenzerinascimentale rico struite con allucinante eclet tismo storicistico nella città tedesca, confermarono la ri velazione del valore « metafi sico » della realtà quotidiana in De Chirico. Il tempio po teva prender l’aspetto e la funzione dì una stazione fer roviaria, e viceversa, e la sta tua del dio e dell’eroe mito logico era la stessa cosa del monumento all’ingegnere, al gentiluomo borghese. L’Olim po, era la casa dei genitori, Zeus era il Padre. Quanto fruttassero, su questo terre no, i semi della cultura tede sca, da Schopenauer a Weininger a Nietzsche, dai Na zareni a Boecklin e Klinger, è facile immaginare. De Chi rico incarnò la nostalgia cul turale dell’antico e del clas sico nelle strazianti immagi ni rivelatrici dì una attuale condizione umana di estra neità. L’ENIGMA DELL’ORA Dalle mura e gli archi della Germania avvelenata dalla nostalgia di Dioniso e di Apollo, a quelli della classi cità italica « a nuova vita re stituita » dal presuntuoso de coro umbertino, sino ai nuovi misteri di Parigi: nel 1911 la Ville Lumièreappare a De Chirico, ed è trasformata dal suo romanticismo ipocondria co in un fantomatico assem- blage di insegne di negozi, di giocattoli, di grandi orolo gi, di furgoni da trasloco, do po un periodo di evocazione ancora di piazze desolate, di portici in fuga attorno alla solitudine di statue e di fon tane. Gli oscuri simboli di una malinconia metafisica nascono dalla sconsolata con templazione di rue Campagne Première, o della vecchia sta zione Montparnasse. L’oraco lo greco ha indicato lo scoc care dì un’ora sul quadrante del tempo interiore. I filosofi, i matematici, i poeti, sono eroi di pietra, e maschere e manichini che indagano ì se greti dell’essere tracciando numeri e linee di oscuri teo remi sulla ardesia del sub conscio, che tentano enigma tiche equazioni tra il passa to e il presente. LE MUSE INQUIETANTI Assorto in queste magie, nel la costruzione di un palcoscenico prospettico sul quale in nalza scenografie di miraggi e nel quale muove le tragiche marionette di una sempre as surda « commedia umana », De Chirico non presta orec chio ai frastuoni dell’avan guardia. Frequenta indiffe rente e ironico i salotti del l’intellettualità, le mostre do ve si combattono le battaglie per un linguaggio moderno. Sa che parole e sintassi an tiche, immagini e forme tra dizionali possono comporsi in messaggi di significato prodi giosamente nuovo, di attuali tà terrificante. Ha gli occhi rivolti all’interno del volto dell’uomo: al dinamismo pla stico sostituisce la vita silen te delle cose folgorate nel l’immobilità dell’apparizione, al cubismo e al costruttivi smo le immagini emblemati che della vita dell’uomo-pit tore, le squadre, i righelli, le cornici, le sagome per le mo danature, i manichini. Ispi rato dalle sue Muse inquie tanti, crea, nell’olimpo meta fisico di Ferrara, chiuso ai fragori della guerra, quegli « dei ortopedici » che, irrisi da altri spiriti ansiosi di for me pure e di valori plastici, restano tra i più profondi e profetici simboli pittorici del nostro tempo. PICTOR CLASSICUS Il ritorno all’ordine che, nel primo do poguerra, fece tornare nelle Accademie e per i viottoli di campagna tanti attivisti del la distruzione dei Musei e della propaganda antinatura listica â— incendiari che in fine rivelarono la loro vera indole di pompieri â— non po teva minare la poesia di De Chirico. I suoi omaggi a Raf faello come a Dosso Dossi, a Poussin come a Courbet e Renoir, le sue passeggiate ar cheologiche per le ville roma ne e fiorentine, avevano co me guida lo stesso spirito am biguo e ironico, la stessa vi sionaria psicologia di nostal gia classica mitteleuropea, che erano state il fulcro del la sua fantasia « metafisica ». E certe figure che elefantizzavano il canone classico, cer te atmosfere cromatiche acer be, come di luce marmoriz zata, rivelano un atteggia mento mentale di continua demitizzazione dell’antico, che è paragonabile soltanto a quello contemporaneo di Pi casso. Fu ciò che non com presero i letterati surrealisti, da Breton ad Aragon, ma che non sfuggì all’acume di Cocteau né ai pittori surrealisti (Ernst, Tanuy, Magritte, Dali) che, tutti, si riconobbero debitori di De Chirico. EBD0MER0S Nel 1929 De Chirico pubblicò un romanzo, in lingua francese: Ebdomeros. Persi no gli inveleniti pontefici del Surrealismo ne riconobbero la genialità: eppure le stesse qualità poetiche, lo stesso mondo magico e stralunato, patetico e meditativo, che ammiravano nel libro, viveva nei quadri che essi condan navano. Fermi alle apparen ze letterarie dell’armamenta rio delle figurazioni della pri ma « metafisica », non ricono scevano, in queste immagini paradossali di scene e ogget ti di vita quotidiana (mobi lio di case borghesi, bagni pubblici domenicali, gruppi di bravi cittadini infagottati nel le loro vesti moderne), oppu re nella grottesca deforma zione da basso impero delle immagini auliche di gladia tori, di guerrieri, e dei fregi fidìaci di cavalli, la stessa vio lenza dissacratoria e « inquie tante » dei fantasmi metafi sici. E gli archeologi dalla te sta d’uovo che esponevano le loro viscere di templi e co lonne, le poltrone e gli ar madi abbandonati alla dispe rata irrisione del confronto con la celestiale armonia dei templi nella indifferente se renità dello stesso paesaggio, e tutti gli altri simboli della condizione dell’Eroe imprigio nato nella banalità, e del ba nale annidato in ogni mito, sono espressi in una pittura che ha la pacata morbidezza, la luminosa vibrazione di una superiore serenità contempla tiva. PICTOR OPTIMUS Forse fu proprio questa incomprensione che spinse De Chirico a sfi dare sino in fondo gli « in tellettuali », gli addetti ai la vori, a correre il rischio di affidare la sua visione « me tafisica » soltanto alla qualità del mezzo pittorico, senza ap poggio di strutture simboli che. Una pittura che plagia la bella pittura convenziona le, e i suoi temi oleografici, sino alla sublimità del grot tesco. E questo con grande esibizione di alterigia messia nica, di disprezzo per le più valide testimonianze dell’arte moderna. Una tragi-commedia giocata sino in fondo, e senza ammicchi, senza alcu na allusione che possa far so spettare che si tratta, ancora, di ironia metafisica. Se non fosse, ogni tanto, il balenio della vera pittura. MA JEUNESSE ANTIQUE Ma, negli ultimi tempi, Eb domeros è tornato sempre più spesso, nella circumnavigazio ne della sua camera pittori ca, a sognare le antiche vi sioni sui lidi della memoria. Rivivono gli dei e gli eroi manichini, le fantomatiche sagome nere delle sacre om bre, il sole e la luna allun gano i loro raggi sino nelle stanze borghesi dove nacque ro gli enigmi dell’infanzia. E tutto è materiato in un co lore tenero, opalescente, come di una evocazione commossa e trepida, che non muove al l’inquietudine, ma invita a seguire il grande, vecchio Maestro, nella sua poetica nostalgia. Letto 1993 volte. Nessun commentoNo comments yet. 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