Per Napolitano il problema è Palermo17 Luglio 2012 di Benny Calasanzio Borsellino “Alla determinazione di sollevare il confitto il Presidente Napolitano è pervenuto ritenendo ‘dovere del Presidente della Repubblica’, secondo l’insegnamento di Luigi Einaudi, ‘evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell’occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce’”. In questa losca ed equivoca vicenda, a dare più fastidio forse è proprio la considerazione che Napolitano e il suo clan hanno degli italiani. Ok, in parte hanno ragione, abbiamo dato prova di credere a tante balle, ma qui si esagera notevolmente. Delle frasi contenute nel comunicato stampa diffuso dal Quirinale, Conflitto Napolitano ne avrà capite al massimo un paio. Non gliene frega nulla, infatti, di preservare Costituzione e immunità per i posteri dai taliban palermitani; la prova è nel pezzo pubblicato oggi su Repubblica dall’ottimo Giuseppe Caporale, che evidentemente ha disobbedito all’ordine del confidente di Dio, Eugenio Scalfari, riportando una notizia che la dice lunga sulla buona fede di Giorgio. A quanto scrive Caporale, infatti, non è la prima volta che una Procura della Repubblica ascolta le telefonate dell’Intangibile. Lo aveva già fatto nel 2009 anche la Procura di Firenze, nell’inchiesta sul G8 alla Maddalena: “Le intercettazioni di Napolitano tuttora sono contenute in un cd rom che non è stato mai formalmente sbobinato, ma che è comunque a disposizione delle parti” scrive il giornalista. A chiamare l’indagato Bertolaso era stato proprio lui, il presidente della Repubblica, all’indomani del sisma d’Abruzzo. Napolitano chiedeva notizie sulle vittime e organizzava la sua visita in loco. Nonostante non fossero, evidentemente, rilevanti ai fini dell’inchiesta, ancora oggi quei nastri non sono stati distrutti. Dunque Napolitano era perfettamente a conoscenza, già dalle chiusura dell’indagine sul G8 alla Maddalena, che esistevano delle intercettazioni dove uno degli interlocutori era lui stesso. Questo è certo perché i nastri sono non in una cassaforte, ma già in possesso delle parti. Ma, in questo caso, il Presidentissimo non pensò minimamente di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta e chiedere la distruzione di nastri e procura, nonostante le condizioni fossero identiche: era stata intercettata un’utenza intestata a Bertolaso e, senza poterlo prevedere, la polizia giudiziaria si trovò ad ascoltare anche l’anziano comunista. Perché, dunque, l’emergenza democratica è scoppiata solo oggi, nei confronti degli “abusi” della Procura di Palermo? Forse perché con il fu capo della Protezione Civile il Nostrissimo parlava nobilmente di vittime, si preoccupava per la tragedia del sisma e prometteva al massaggiato Bertolaso di raggiungere quanto prima le popolazioni colpite? Forse perché invece con Mancino parlava di tutt’altro? Forse perché proprio così innocenti non sono quei discorsi scambiati tra i due vecchi amici? D’altronde lo stesso pm Di Matteo ha fatto presente che quelle conversazioni potrebbero essere utili per altre indagini o procedimenti, senza aggiungere altro. Dunque il problema non è l’intercettazione in sé, ma quella in te. Il problema è Palermo, il problema è, inequivocabilmente, quel che il Napolitano ha detto a Mancino. Un altro presidente, onde evitare ombre e dubbi, avrebbe detto: “Fatele ascoltare”. Napolitano, invece, è andato oltre: “Fatele sparire”. Ma solo quelle di Palermo. Spunta un’ altra registrazione con Bertolaso ROMAâ—Non è stata solo la Procura di Palermo a intercettare il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Furono i carabinieri del Ros di Firenze a registrare â— tra il 6 marzo e il 9 aprile del 2009 â— due conversazioni del presidente della Repubblica. La Procura di Firenze seguiva la pista dei “grandi eventi” ap paltati alla “cricca”, indagine che ha portato poi Bertolaso, Anemone, l’ex provveditore alle Opere pubbliche Angelo Bal ducci (e un’altra ventina di per sone coinvolte) a essere rinviati a giudizio per associazione a de linquere, corruzione, rivelazio ne del segreto d’ufficio, favoreg giamento, favoreggiamento della prostituzione e corruzione in atti giudiziari. Proprio in quel periodo (marzo 2009) le conversazioni tra Bertolaso e Anemone avvenivano di continuo, ed è in questi quaranta giorni di “ascol to” che i Ros scoprono i massag gi a sfondo sessuale (secondo l’accusa) avvenuti al Salarla Vil lage a favore di Bertolaso. Ma il 6 aprile avviene il terre moto e la cricca viene travolta dall’urgenza della Protezione Civile di intervenire all’Aquila. Bertolaso diventa il perno di tut te le operazioni, il terminale con il quale il mondo politico si rela ziona per intervenire su L’Aqui la. Ed è proprio Napolitano in quei giorni drammatici a chia mare Bertolaso per chiedere no tizie delle vittime e organizzare poi la sua doppia visita, tra cui quella ai funerali di Stato. Il 9 aprile 2009 poi, tre giorni dopo il sisma, la Procura chiude le inter cettazioni su Bertolaso. Lascian do lì congelate quelle conversa zioni con il capo dello Stato. Intervista a Gerardo D’Ambrosio La Procura di Palermo ha rispettato la legge e io al loro posto avrei fatto esattamente lo stesso. Parola di Gerar do D’Ambrosio, 71 anni, senatore del la Repubblica nel gruppo Pd. Fu pro prio l’allora Procuratore aggiunto di Milano il protagonista del caso invoca to come precedente dalle due parti in causa. A favore della distruzione delle telefonate dai giuristi di complemento del Colle. A favore della liceità dell’in tercettazione indiretta del Capo dello Stato, dal Procuratore aggiunto Anto nio Ingroia. E il verdetto di D’Ambro sio è netto: “Da ex magistrato dico che non esiste una norma che permetta di fare quello che chiede il Quirinale. Non solo. Da politico io sarei contrario a introdurla”. Senatore D’Ambrosio, lei è stato eletto con i Ds, lo stesso gruppo dal quale proviene il Capo dello Stato ma si occupò del caso nel quale fu intercettata nel 1993 la telefonata tra il presidente Scalfaro e il ban chiere Carlo Piantanida. Secondo alcuni politici e giuristi vicini al pre sidente quel precedente avrebbe imposto la distruzione delle telefo nate nel caso Mancino-Napolitano. Noi depositammo la telefonata perché non esiste una norma che permetta dí distruggere le telefonate senza nem meno sentire le parti. Questa norma non c’era allora e non c’è nemmeno adesso. Eppure il Quirinale ieri ha emanato un decreto per sostenere che le telefonate del Capo dello Stato, secondo la Costituzione che ne prevede l’immunità, devono essere distrutte tutte, anche quelle intercettate sul telefono di un altro soggetto che parla con il presidente. Se l’orientamento è questo dovrebbero fare una legge per stabilire che le conversazioni del presidente della repubblica non sono intercettatili né utilizzabili mai, anche se indirette. Lei oggi è un politico. Come vedrebbe una legge che introducesse il divieto di intercettazione anche indiretta delle conversazioni del Capo dello Stato? Voterei contro. Secondo me sarebbe eccessivo. L’immunità del presidente riguarda solo la sua non punibilità. La sua immunità da intercettazioni indirette mi sembrerebbe troppo. Anche allora però il ministro Flick diede ragione all’ex presidente Cossiga e ad altri che fecero interrogazioni contro la sua Procura di Milano sostenendo si trattasse di un illecito. Quell’interpretazione si basava sul fat to che il presidente della repubblica non è punibile. Ma non c’entra nulla. Il problema è che qualsiasi intercettazio ne telefonica, anche quella con il Capo dello Stato, può essere usata anche dal la difesa per difendere l’imputato e quindi si possono distruggere solo da vanti al gip, nel contraddittorio tra di fesa e accusa. Cosa avrebbe fatto al posto del Procuratore capo Francesco Mes sineo? Avrebbe distrutto tutto co me chiede il Colle? Anche io non farei nulla del genere senza un cambiamento delle norme. Secondo Eugenio Scalfari bisogne rebbe addirittura interrompere la registrazione appena compare la voce del Capo dello Stato La regola è un’altra e non si vede per ché non debba essere applicata a un’intercettazione indiretta del Capo dello Stato. La legge è uguale per tut ti. Perché allora il Presidente si ostina in questa interpretazione? Evidentemente ha tenuto conto del l’affermazione del ministro Giovanni Maria Flick, ma quella è un’interpre tazione di un politico, autorevole quanto si vuole, che non è vincolante sotto il profilo giuridico per il magistrato. m.l. Letto 1314 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||