Piccoli faraoni in nota spese + Caso Napolitano15 Settembre 2012 di Sergio Rizzo Negli altri Paesi funziona in questo modo: davanti a un fatto che mette in discussione la credibilità delle istituzioni se ne traggono le conseguenze. Quando lo scandalo delle note spese gonfiate ha scosso il prestigio del Parlamento britannico, lo speaker della House of Commons, Michael Martin, figura corrispondente al nostro presidente della Camera, si è dimesso. Nonostante nei suoi confronti non esistesse alcun addebito specifico, ha ugualmente ritenuto di assumersi la responsabilità oggettiva. Ha pagato per tutti. E nessuno l’ha trattenuto. In sedicesimi, la squallida vicenda che ha investito il consiglio regionale del Lazio, con la rivelazione che i faraonici fondi destinati ai gruppi politici venivano dirottati su conti personali o utilizzati per pagare cene a base di ostriche e champagne o book fotografici, ricorda quella storia. Quanto però a trarne le conseguenze, siamo ancora ben lontani. Dodici ore non sono bastate ai vertici del Popolo della libertà per indurre il loro capogruppo Franco Fiorito, indagato per peculato dopo la scoperta di 109 bonifici bancari fatti a se stesso dal conto del partito sul quale affluivano i soldi dei contribuenti, a sollevare dall’imbarazzo l’istituzione di cui fa ancora parte (e vedremo come si comporteranno gli altri partiti, compreso il Pd). Tanto basta per rafforzare la convinzione che non soltanto non verrà imitato l’esempio britannico, ma nemmeno quello tedesco. Il ministro della Difesa Karl-Theodor Zu Guttenberg, astro nascente del partito della cancelliera Angela Merkel, si è dimesso per aver copiato parte della tesi di dottorato. Il presidente della Repubblica federale tedesca, Christian Wulff, ha rimesso il mandato dopo le polemiche su un prestito di favore avuto da un suo amico banchiere. E anni prima il ministro dell’Economia del Land di Berlino, Gregor Gysi, aveva gettato la spugna insieme ad altri suoi colleghi del Bundestag per aver utilizzato per biglietti aerei personali i punti mille miglia accumulati con i voli istituzionali. Perché in Germania, e non solo, le conclusioni si traggono anche a livello individuale, e per molto meno rispetto a quello che è successo al consiglio regionale del Lazio. Da noi, invece, non si arrossisce neppure. Principio sconosciuto, a certi nostri politici, quello secondo il quale l’istituto delle dimissioni fa parte della democrazia, e la rafforza: chi sbaglia paga, è la regola universale, Italia esclusa. Sconosciuto soprattutto a chi interpreta la politica come un mestiere nel quale l’obiettivo principale è il denaro, da raggiungere con qualunque mezzo. Ce ne sono tanti, di personaggi così, purtroppo, nelle Regioni, nelle Province, perfino nei Comuni. Lontano dai riflettori, puntati sempre sui costi e i privilegi del Parlamento, sono proliferate piccole Caste locali. Spregiudicate e fameliche, hanno responsabilità gravi: quella di aver ridotto la politica, nel punto in cui dovrebbe essere più vicina ai cittadini e ai loro problemi concreti, alla gestione di interessi personali quando non di veri e propri comitati d’affari. Ma ancora più pesanti sono le colpe dei partiti, che hanno assecondato per pure convenienze elettorali la formazione di una classe politica locale spesso indecente, girandosi dall’altra parte per non vedere. Tanto la situazione è compromessa che servirebbe ora un repulisti radicale. Il fatto è che dovrebbero farlo gli stessi partiti. Non resta che augurarci buona fortuna. __________ Mi domando se Sergio Rizzo abbia scritto un articolo simile quando ci fu lo scandalo della casa di Montecarlo finita nella disponibilità del cognato di Gianfranco Fini. bdm L’Europa fa contento Zaia: dividere l’Italia si può Pare che l’Ue non la pensi come l’ufficio legale della regione Veneto secondo il quale a norma di Costituzione italiana la via del referendum consultivo per ottenere la secessione non è praticabile. In questi giorni di fervore autonomista nelle terre di San Marco il governatore Zaia non fa più mistero del fatto che «referendum o non referendum la spinta indipendentista tra i veneti si avverte chiara ». L’indipendenza insomma non è più un affare di pochi estremisti, ma una volontà forte e coesa di molti. Un tema di discussione politica che non attecchisce solo tra Venetisti o Serenissimi, ma coinvolge l’intera regione. Una volontà separatista che rinvigorisce e prospera ad ogni provvedimento centralista e tassaiolo del governo centrale abituato a mostrare i muscoli a Nord e le terga calate a Sud. Rimane da superare il problema giuridico-costituzionale e cioè la camicia di forza normativa che costringe obtorto collo il Veneto nella macroregione italiana. Tutele per il Sud – L’ordinamento dello stato italiano è stato studiato a tutela del meridione: non consente né la macroregione settentrionale né quella mitteleuropea, ma solo quella sicilian-campana con epicentro a Roma. Zaia ha scaldato il cuore dei veneti con la richiesta al Consiglio regionale di approfondire la tematica del referendum per raggiungere lo stato sovrano indipendente. La sinistra veneta ne ha chiesto immediatamente le dimissioni e questo è un’ulteriore conferma della bontà della strategia politica del governatore leghista. Scontata, però, è arrivata la bocciatura degli azzeccagarbugli di Palazzo Balbi incapaci di non essere proni a Roma. E non ne dubitavamo. I manuali di diritto pubblico su cui vengono eruditi i giuristi patrii sono a dir poco romanocentrici. E proprio mentre molti veneti accusavano la tegola della bocciatura del referendum, è arrivata una notizia ancor più ghiotta a firma niente meno che Barroso. Il Presidente della Commissione Ue, rispondendo a un’interrogazione dell’europarlamentare leghista Mara Bizzotto ha affermato che «nel caso ipotetico di una secessione in uno stato membro, si dovrà trovare e negoziare una soluzione avendo riguardo all’ordinamento giuridico internazionale ». Se Zaia può essere apostofrato dai soliti epiteti progressisti razzista, leghista e bla bla, cosa possono rispondere la sinistra e il Capo dello Stato alle affermazioni di Barroso che ammette la secessione? L’Ue ammette una via giuridica per la secessione, ma l’Italia no. Doppiopesismo – Il governo è europeista a intermittenza: ciò che non garba a lorsignori della Bocconi fan finta di non vederlo. Così la vicentina Bizzotto è diventata un eroe in tutti i media di Catalogna e Scozia, ma nella penisola tutto tace. Da quelle parti rendono onore alla nostra parlamentare che ha sollevato un tema quanto mai d’attualità in quelle regioni che da anni si affannano alla ricerca di una via democratica per staccarsi rispettivamente da Spagna e Gran Bretagna. Il comunicato di Barroso è stato breve, ma significativo: la secessione in Ue non è più un tabù né uno spauracchio. E così anche in Veneto si riaccende la fiamma della speranza non di un’indipendenza che, sebbene anelata da molti, non ha ancora trovato riscontro concreto di essere la volontà della maggioranza dei veneti, ma almeno la possibilità di un dialogo con lo stato centrale non più supino, ma paritario. Per l’Ue Veneto-Stato è possibile: Roma è avvertita. O il governo centrale allenta la morsa fiscale, la depredazione sistematica del Pil e dei risparmi veneti che ha condotto a decine di suicidi imprenditori locali oppure da oggi l’alternativa sta sulla carta intestata dell’Unione europea. Alla morte per italianità, meglio gli Stati uniti del Nord o la Serenissima repubblica: firmato Barroso! Trattativa, Caselli: “Magistrati zitti? No, questa stagione impone l’obbligo di parola “Altro che stare zitti. E’ una stagione che impone ai magistrati l’obbligo di parola”. Lo dice Gian Carlo Caselli, procuratore capo di Torino, in una intervista rilasciata al periodico Micromega. “La minaccia all’imparzialità delle toghe – per Caselli – deriva dalla partecipazione alla gestione del potere, non certamente dalla partecipazione al dibattito politico-culturale. Da sempre, e specialmente negli ultimi 25 anni, la politica o comunque una parte consistente della politica ha delegato alla magistratura l’intervento e, se possibile, la soluzione di problemi che la politica non sa come affrontare e risolvere. La storia del nostro Paese è costellata di deleghe. C’e’ stata la delega alle forze dell’ordine e alla magistratura per il terrorismo – spiega Caselli -, per le stragi cosiddette di destra, per la corruzione, per la sicurezza sui posti di lavoro, l’Ilva di Taranto è una clamorosa dimostrazione di quello che sto dicendo, per i problemi di fine vita e, infine, per quelli di mafia. In particolare sui rapporti tra mafia e politica, di cui le cosiddette trattative sono l’ultimo capitolo”. Caselli, già intervenuto di suo pugno sul Fatto Quotidiano per commentare sulle parole del presidente dell’Anm, Rocco Sabelli, rispetto alle critiche rivolte ai magistrati è chiaro: “Quando si supera il limite segnalato da una certa asticella, idealmente tracciato dallo stesso potere politico che delega, la magistratura deve mettere in conto di essere fatta oggetto di polemiche, attacchi, di un vero e proprio assalto alla giustizia”. Secondo Caselli “oggi si giudica in base alla convenienza, l’utilità e il vantaggio. Se tu magistrato fai una cosa che mi piace o che mi può venire utile, o può venire utile a qualcuno della mia cordata, allora ti lascio tranquillo o addirittura parlo bene di te. Ma se mi tocchi, se tocchi gli interessi della mia cordata, devi mettere in conto che entri nell’occhio del ciclone. Questo è devastante e spiega molte esasperazioni e strumentalizzazioni. Il magistrato deve essere valutato in base al rigore del suo lavoro, delle motivazioni che lo sostengono”. Rispetto alla trattativa Stato-mafia: “La ricerca da parte di tutti di un rasserenamento della situazione, che consenta scelte in un clima di ritrovata normalità, è un obiettivo sacrosanto. Fermo restando l’assoluto rispetto dovuto, e che personalmente ho, all’istituzione Capo dello Stato – conclude Caselli – credo che discutere sull’opportunità o meno del conflitto che il presidente Napolitano ha sollevato sia, in democrazia, ben possibile. Condivido, nel contempo, la preoccupazione di molti, secondo cui occorre fare di tutto affinché la situazione che si è determinata non venga utilizzata per cattive riforme, in particolare sul versante delle intercettazioni”. CASO NAPOLITANO. Ancora su Luciano Violante, qui. CASO NAPOLITANO. “Il conflito di attribuzione più rilevante di quanto appare”, qui. CASO NAPOLITANO. “Inchiesta su una Trattativa al di sotto di ogni sospetto”, qui. Mi pare che l’autore dell’articolo, Salvatore Merlo, si spenda solo per parlare male di chi indaga sulla trattativa Stato-mafia. Così, usando la mala lingua, non si va da nessuna parte. bdm Mi permetto di mettere sul Blog un articolo che non c’entra con la politica, ma ha a che fare con lo sport. Lo faccio perché l’autore traccia un bel ritratto di Steffi Graf, la grande tennista che anch’io ho ammirato. La nuova Graf: “Ho imparato a godermi la vita fino in fondo” SI DIVERTE, nel palleggiare con le due bambine finaliste del torneo delle future campionesse. “Percepisco la loro eccitazione, il loro entusiasmo. Mi ricordano i miei tempi. Mi riportano alle mie memories…” dice Steffi Graf e ringrazia il Longines future Ace, “il progetto cui pensavo quando ho smesso, mentre immaginavo la mia vita del dopo”. Dopo il tennis, ovvio. Nella testa di Stefanie (ora vuole che la si chiami così, Andre la chiama così) ci sono i bambini. Tanti. Tutti quelli che hanno bisogno. È una constatazione, un dato ricorrente della sua carriera, il filo che unisce la sua vita. Lei, la bambina che vince presto. Il primo figlio che arriva subito, conclusa la carriera da favola, immediatamente. E, infine, gli altri bambini, quelli cui si dedica filantropicamente. Quest’anno ha voluto tornare al Roland Garros, venticinque anni dopo. “Dio mio, una vita…”. Nel 1987 si batteva (e vinceva) per il titolo, ora può divertirsi su un campo periferico. È sempre uguale, l’ammirano tutti. Solo il tono muscolare (e potrebbe essere altrimenti?) è diminuito. La tecnica, la bellezza dei suoi colpi: intatta. “We miss you, Steffi” dice il cartello esposto dai fan che non hanno dimenticato quella bambina che stupì il mondo, cambiò i tempi e mise fine al mitico dualismo Evert-Navratilova. Era una bambina. La prima enfant prodige del tennis moderno. Un fenomeno di precocità che non ha avuto eguali, se è vero che a 17 anni poteva già vantare uno Slam. “Ho cominciato presto, mio padre insisteva, voleva che giocassi a tennis”. Anche dentro casa, nel salotto buono. “Accidenti se me lo ricordo: lui, papà pretendeva l’allenamento. E io dovevo stare attenta a non distruggere nulla, con le palline, altrimenti poi arrivava mamma che se la prendeva con me”. Ha vinto ventidue Slam (grazie anche a quei palleggi), ma ricorda tutto della sua adolescenza, dei suoi inizi. “Tu sei italiano… Il mio primo torneo satellite l’ho giocato a Bari. E poi in quell’altra città, come si chiama… Lecce, ecco”. Potrebbe, dovrebbe, ricordarsi ben altri momenti della sua carriera, eppure pronuncia, lo si avverte chiaramente, quelle due città con una punta di nostalgia: i sogni, le aspettative restano per sempre. Vorrebbe, ma non l’ammetterebbe neppure sotto tortura, riavere un pizzico di quell’adolescenza che il tennis in fondo le ha un po’ sottratto, nonostante “mi abbia dato così tanto. È stato un viaggio incredibile e meraviglioso”. Ci mancherebbe altro: Mrs. Graf è la signora del Golden Slam, quattro Slam più le Olimpiadi (Seul) nello stesso anno. “Questo record è solo e soltanto tuo”. Lo ha sottolineato a Newport anche suo marito, un certo Andre Agassi, nel discorso introduttivo della cerimonia della Hall of Fame, cui la sua signora era stata ammessa. In quel giorno, probabilmente, Steffi oggi Stefanie, ha rivisto gli highlights della sua vita, gli alti e i bassi, i giorni belli e quelli bui. “Non ero brava nel parlare, in fondo ero solo una bambina. Sono sempre stata riservata, cercavo di starmene per conto mio”. Li ha sempre scansati, i riflettori. “Arte e musica sono stati il mio antidoto alle pressioni esterne”. Ed il campo da tennis, dove si è sempre trovata a suo agio, il vero rifugio anche nei momenti di turbolenza, vedi la crisi coniugale dei genitori o l’accoltellamento di Monica Seles. Le bambine la guardano ammirate. Riverenti, sebbene non sappiano chi sia. Non erano neppure nate. Ma gliene hanno parlato i loro genitori, con devozione e rispetto. “Cosa posso dire a queste bambine? Sono così alte, per i loro dodici anni… non so, siamo generazioni diverse. Dovrei parlare un po’ con loro, non ne conosco i pensieri”. Mai una risposta sopra le righe, ma è sempre stata politically correct. Agassi, un giorno, disse per scherzo: “Stefanie mi ha fatto conoscere la perfezione e la Mercedes”. No, in realtà un consiglio arriva, per queste future ragazzine terribili del tennis: “Si godano la vita. Perché arriveranno i momenti brutti, oltre quelli di gioia, e l’equilibrio per sopravvivere è il segreto”. Lei lo sa. Tante volte i veri problemi sono dentro casa, non vengono dagli avversari ma, magari, da una crisi coniugale familiare. Giorni nei quali ha pensato di mollare tutto: “Sì, anche la Germania, tutto. Ma, alla fine, il tennis era la mia vita, ed ho tenuto duro”. Ma non vuole rivangare, lei che è stata precoce anche nell’andarsene. Nel 1999, ormai ex enfant prodige, sbalordì il mondo: nessuno conosceva le sue inquietudini, nessuno ne aveva avuto la percezione: “Accadde dopo Wimbledon. Una sensazione stranissima. Per la prima volta avvertii di aver perso la gioia di giocare a tennis. Non l’avevo mai provata prima”. Trasse immediatamente le conclusioni: “Ritiro, senza nessun rimpianto”. Bambina precoce, anche nel trovare la exit strategy: l’amore, proprio a Parigi. Quell’anno il vincitore maschile fu Andre Agassi, galeotta la festa finale. La bambina ritrovò la famiglia, una nuova famiglia, la famiglia che cercava. Con Andre, Jaden Gil (2001) e Jaz Elle (2003). Quella bambina con la racchetta di legno oggi è circondata da bambini, il comune denominatore della sua vita. Si occupa dell’educazione dei suoi, e si batte per tanti altri più sfortunati con la sua fondazione. La parola che ama Stefanie è una sola: protezione. Come confermò, quel giorno alla Hall of Fame, Agassi: “Mi sento protetto, sembra sempre che tu sia un passo avanti nella vita”. Il Kid di Las Vegas fece una leggera pausa, prese un bel respiro e continuò: “Io non solo ho bisogno di stare con te, io vorrei assomigliarti di più. Avere valori così alti e vivere, seguirli con così tanta coerenza e onore. Proprio qui, davanti ai tuoi figli e al mio cuore, non hai rivali. Signore e signori, vi presento la persona più grande che io abbia mai conosciuto”. L’applauso fu immenso, Steffi pianse e diventò Stefanie. Che oggi, tutti incondizionatamente, ammiriamo. Letto 4891 volte. | ![]() | ||||||||||
Commento by mrbean — 21 Settembre 2012 @ 11:16
Una riflessione che scaturisce da un’intervista del procuratore di Torino Caselli a Micromega: “Noi zitti? Assolutamente No, questa stagione impone l’obbligo della parola”. Beato Giancarlo Caselli che si può permettere di parlare senza censure. Indymedia purtroppo non si può più concedere questo lusso. Alcuni insigni rappresentanti di questa “Giustizia” gli hanno tappato la bocca. Dal momento che alcuni articoli infastidivano una certa lobby le toghe giuste hanno concesso l’oscuramento del portale indymedia.Però riteniamo molto sensati i concetti espressi da Giancarlo e raccogliamo molto volentieri la Sua esortazione. Sempre che i principi di libertà di parola ed eguaglianza valgano per tutti e non solo per i magistrati. Altro che fare silenzio. Questa stagione c’impone l’obbligo della parola. (Bravo Caselli)
http://piemonte.puscii.nl/article/16044