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PITTURA: I MAESTRI: Degas: Stile-verità

27 Gennaio 2011

di Franco Russoli
[Classici dell’arte, Rizzoli, 1970]

Degas affermava che bisogna “stregare la verità”: un principio che non deve essere certamente interpre ­tato in chiave esoterica, mistica o simbolistica. Piut ­tosto nella chiave parnassiana che ne dette Paul Valéry, nel senso cioè di raggiungere la verità nello stile e lo stile nella verità. L’atto di stregoneria poetica consiste ­rà dunque soltanto nella metamorfosi del dato occa ­sionale in motivo unico e assoluto: nel far divenire eterno il presente, traducendo la sua immagine in for ­ma, portandola dalla dimensione esistenziale del tem ­po a quella estetica dello spazio.

“La poesia è ciò che vi è di più reale, ciò che è completamente vero soltanto in un altro mondo”, ave ­va scritto Baudelaire nei suoi appunti polemici sul ‘realismo’ di Champfleury. Ma l’ironia del poeta non aveva risparmiato neanche la feroce passione per il bello inteso come astratta elaborazione di forme, come culto di cànoni e ritmi di una convenzione classica, mitizzata come assoluta perfezione dai seguaci dell’École Payenne. Un moderno concetto romantico del ­l’espressione del vero attuale, come dell’autonomia dell’arte e dei suoi valori specifici, non poteva aderire ad alcuna posizione che comportasse passività, né ver ­so intenzioni e schemi moralistici, scientifici, politici, di oggettività cronachistica o di finalità dimostrativa, né verso formule canoniche di purismo classicheggiante. La Verità’ del fenomeno in atto doveva totalmente trasfondersi nella Verità’ di una pura struttura lingui ­stica, di stile. Ogni elemento dello spettacolo naturale e mondano, come ogni valore esistenziale, doveva tra ­sferirsi â— al pari di ogni idea e invenzione di armo ­nia è metrica â— nell’opera d’arte per la via delle ‘cor ­rispondenze’, e non per quella della trascrizione mime ­tica o della riduzione e astrazione in sigle formalisti-che. Disperante fatica, vizio ossessivo, l’arte doveva es ­sere la costruzione di un mondo che, affondando le proprie radici nell’esistenza e nella realtà sensibile, ne partisse poi per un cammino parallelo e distinto: un riflesso artatamente ricomposto su metri e valori differenti, un ‘trucco’ che giocasse sugli effetti di un rap ­porto di dipendenza, per affermare l’individualità e l’autonomia dell’invenzione poetica. La coscienza cri ­tica formulava allora, verso la metà del secolo scorso, con drammatica limpidezza, i termini di base, di ogni poetica moderna, i momenti essenziali di ogni suo di ­lemma: il rapporto fra la regola e l’emozione, fra la forma e la realtà. L’eredità del pensiero classicista (il valore autonomo delle forme, la catarsi del vero nel ­l’armonia di un sistema canonico) si fondeva a quella delle esigenze rivelate dal primo romanticismo (la poe ­sia come realtà, l’immaginazione come verità), ma or ­mai si aveva chiara la prospettiva di una nuova sintesi. L’arte doveva cioè dare espressione e immagine alla ineluttabile interdipendenza tra gli aspetti fenomenici del vero attuale e l’invenzione delle strutture stilistiche. Sembrava che non fossero più possibili evasioni e giu ­stificazioni tendenziose e unilaterali: né verso il cielo della bellezza ellenica o della proporzionata razionali ­tà umanistica, né entro il flusso delle sensazioni e im ­pressioni naturalistiche, né nell’empireo o nell’inferno delle illuminations e dei sogni, né nella illusoria ogget ­tività di un rendiconto o nell’impegno di una testimonianza a tesi. La storia ci dice che, da allora, simili prese di posizione da parte degli artisti hanno invece continuato ad esistere, e come hanno fruttificato: ma con l’ansiosa e sin rabbiosa coscienza di essere velleita ­rie o istintive ‘scelte’ di partenza per poter comunque agire, per poter tentare di giungere, da quell’area limi ­tata di trampolino ideologico o temperamentale, allo spazio assoluto di una verità poetica integrale, che nel ­l’occasionale esprimesse l’eterno.

Degas si impose chiaramente, e assai presto, di ri ­spettare le esigenze e le regole dell’arte per l’arte, non come fuga e rifiuto delle vitali compromissioni con la realtà e con la condizione umana, ma come garanzia di una ricerca e di un apporto alla conoscenza ed espres ­sione della verità, compiuti senza equivoche confusioni di termini, con gli strumenti specifici e attraverso i valori autonomi del linguaggio artistico. La condi ­zione operativa e il risultato finale di ogni attività este ­tica, ovunque e sempre, erano così da lui affrontati allo scoperto, e posti, con lucida determinazione, come punto di partenza, come ‘poetica’ del proprio lavoro espressivo. Dopo il tempo delle appassionate battaglie tra apparentemente opposti ideali artistici, e prima del fatale ricorso a tante e tanto diverse impostazioni di poetiche tendenziose e radicali (dopo le querelles di classicismo e romanticismo, di Parnasse e di realismo, prima dello sgorgo disperato o dogmatico nei rivoli del neo-impressionismo scientifico, del simbolismo, del vi ­talismo o misticismo affidati alla suggestione evocativa delle forme astratte), Degas fondò la propria opera sulla coscienza del proprio specifico compito di artista: comunicare il messaggio delle cose attraverso nessun altro filtro se non la struttura delle loro forme. Così fa ­cendo egli attuava il principio dell’arte come vita, per ­ché soltanto nella ricerca di valori stilistici autonomi nello spettacolo naturale, e nell’eliminazione dall’opera d’arte di ogni relazione sovrastrutturale con altri signi ­ficati e dimensioni dell’essere, soltanto nel rifiuto di ogni sudditanza ideologica, sentimentale o tecnica, egli avrebbe assolto il proprio ruolo nella vita. Per questo egli fece di se stesso, con strenua decisione, il ‘notaio’ impassibile ad ogni sollecitazione estranea al suo desti ­no, come riconobbe ammirato Van Gogh. Fu il notaio che redasse gli atti poetici del proprio tempo, stretti rigorosamente alle norme del codice artistico. E un at ­to notarile di tal genere è fedele alla regola universale, non alla lettera della convenzione. Degas era fedele al vero come lo era ai termini tradizionali del linguaggio pittorico e plastico: cioè per vincerli, e trasformarli e vanificarli dall’interno, onde restituirli, apparenze e forme, a significati e valori nuovi.

L’opera di Degas è quindi sotto il segno della ri ­cerca, dell’intelligenza, della volontà. È la stessa, con ­temporanea, ossessione nell’osservare la realtà in ogni suo elemento, e nel darne immagine, come nell’inven-tare ed elaborare i segni e le forme dello ‘stile’, che as ­silla e regola ogni suo atto d’artista. Un atteggiamen ­to morale che, tenendo conto della mascheratura sde ­gnosa e insofferente con cui tenta di nascondere il ri ­serbo e l’ansia, è rivelato dalle famose dichiarazioni di Degas: “Aucun art n’est aussi peu spentané que le mien. Ce que je fais est le résultat de la réflexion et de l’étude des grands maîtres: de l’inspiration, la spontaneité, le tempérament, je ne sais rien”. Oppure: “La peinture est un art de convention … L’Art c’est le faux !… Un artiste ne l’est qu’à ses heures, par un effort de volenté”. E Valéry giustamente notava che “un’o ­pera era per Degas il risultato di una quantità inde ­finita di studi, e, in seguito, di una serie di operazioni”. Il vero accettato dunque nell’integrità degli aspetti con cui appariva all’esperienza quotidiana dell’artista, nel giro del suo ambiente di vita, delle sue frequentazioni, abitudini e preferenze di uomo ricco, colto, inserito nell’alta società borghese e aristocratica: ritratti di famiglia e di amici, il teatro, la danza, i campi di corsa, i caffè, e le modelle utilizzate come puri animali in libertà, materiale di osservazione e di studio. Un reper ­torio indifferenziato, dal punto di vista dell’intenziona ­lità di scelta simbolica e del contenuto letterario e di ­mostrativo: nient’altro che la vita quale appariva a Degas, e quale egli voleva restituire intatta nell’ ‘altra’ dimensione della struttura artistica. Al momento del ‘riflesso’ quanto più possibile fedele della realtà in im ­magine, si sovrapponeva il momento della ‘operazio ­ne’ di metamorfosi stilistica, tesa non a enucleare certi determinati significati da quelle apparenze del vero, né a farne meri supporti di armonie formali, ma a bloccarne la misteriosa essenza vitale, la presenza in sé.

Spettatore che con imparzialità assiste al gioco del ­la vita, e che ne ricrea le mosse sulla scacchiera strut ­turale dello stile, Degas non ha, verso tale spettacolo – in cui pure è coinvolto come uomo â—, alcuna inten ­zione celebrativa o contestatrice, quando agisce come artista. In ciò, più che per i caratteri specifici del lin ­guaggio, si apparenta agli impressionisti: evita ogni evocazione, ogni partecipazione che non sia di ordine stilistico, rifiuta ogni asservimento dell’arte a fini ad essa estranei. Quindi Degas accetta in blocco, come mondo poetico, il suo mondo borghese, con tutte le sue regole di vita e i suoi valori convenzionali di siste ­ma sociale. Come Monet o Renoir, guarda e traduce gli aspetti della realtà, senza piegarli a tesi ed a pro ­grammi. Il suo temperamento (nonostante tutti i suoi sforzi per vincerlo) e la sua formazione culturale gli fanno preferire lo spettacolo della società umana a quello della natura; e, parallelamente, la sua educa ­zione stilistica â— non dimentichiamo il suo alunnato presso il lionese Lamothe, seguace dell’accademico ingresismo di Flandrin – rafforza la sua propensione a soluzioni stilistiche poggianti più su intelaiature gra ­fiche e composizioni di zone cromatiche, che non sul ­l’atmosferica fusione di valori tonali o timbrici. Accer ­tate queste differenze sostanziali, resta che Degas po ­teva sentirsi partecipe e protagonista della ‘secessione’ impressionista per motivi di scelta ideologica, e non di tendenza linguistica.

Degas è un ‘occhio’ in cui si specchia la realtà sen ­sibile, ma il riflesso che di essa restituisce è un’imma ­gine bloccata nelle ‘dimensioni’ inventate secondo le regole di una spazialità non naturalistica, anzi strenua ­mente intellettuale. La sua opera, pittura o scultura che sia, sembra riprodurre analiticamente, fotografi ­camente, un momento di vita vissuta, ed è invece una costruzione basata su norme e valori ‘altri’ da quelli dell’impressione ottica. Nell’apparente immediatez ­za della disposizione occasionale, colta sul vivo, si cela una ‘serie di operazioni’ di slittamento, collocazione, rapporto tra le varie parti, che sfociano in un risul ­tato di sconvolgente folgorazione del moto vitale, in un momento di illumination cristallizzata. Una ‘scac ­chiera al di là dello specchio’: questo è il peculiare carattere dell’immaginazione bodeleriana di Degas. Se ha scelto come tema la realtà presente, la ‘modernità’, ed ha abbandonato presto la figurazione ricostruttiva di maniera degli eventi storici e mitici, lo ha fatto per ­ché l’impegno e la scommessa di vincere nel gioco e nel trucco dell’arte la resistenza del Vero’ erano così più assoluti e drammatici, senza alibi e senza scappa ­toie. Era una scelta non di origine temperamentale, né di ordine contenutistico o polemico, ma di motivazio ­ne specialistica, da artista: una sfida al rischio di ca ­dere nel trompe-l’oeil, nella scena di genere, o, sull’op ­posto versante, nell’esibizione di pura qualità e mae ­stria formale. Ricordiamoci il giudizio severo che nel 1882 dette di Manet, che pur tanto ammirava: ” Manet bíªte et fin, carte à jouer, sans impression, trompe-l’oeil espagnol, peintre …”. La pittura-pittura, come la pittura letteraria, non giunge all’assoluto dell’arte.

Degas sceglie dunque l’accettazione del motivo oc ­casionale, del dato fenomenico presente, perché esso non ha altra ragione di interesse se non il suo stesso ‘essere’: non perché suggerisce emozioni, evocazioni, reazioni. È un racconto senza trama e senza tesi. L’og ­getto e l’avvenimento sono ‘miti’ e ‘simboli’ di se stes ­si, hanno nella loro presenza gli elementi della loro bellezza ed eternità. E, colti e isolati nella loro prima ­ria, nuda apparizione, ma entro lo spazio dell’intuizio ­ne artistica e nella metrica delle regole formali, ecco giungono all’acme dell’energia vitale. L’ossessione ana ­litica e l’armonia della composizione – la cattura fulminea della tranche de vie che si rivela poi quale punto d’arrivo di una meditata sintesi strutturale – non sono originate da idee veristiche né da intenzioni di incapsulare la realtà nell’involucro di forme e ritmi di perfezione canonica. Sono i modi per mettere a fuo ­co l’attimo privilegiato in cui il divenire esistenziale (un gesto, un’espressione, uno stato d’animo) si arresta agli occhi del poeta per trasformarsi in momento este ­tico.

Se ripensiamo alle scene storiche e mitologiche, da ­gli Esercizi di giovani spartani sino alle Sventure della città di Orléans, vediamo in esse non soltanto il tri ­buto pagato alle convenzioni iconografiche del pu ­rismo classicista o del romanticismo trobadorico, ma precise testimonianze di intenzioni e intuizioni nuove. Il ritmo compositivo è disarticolato, frammentario: le scene non si armonizzano in uno spazio conchiuso, le azioni non sono legate tra loro da rapporti di pura metrica formale né si definiscono in unità narrativa. ma si giustappongono come momenti bloccati nella continuità di fatti e luoghi naturali, che iniziano e proseguono al di là dei confini temporali dell’episodi’ e dei limiti spaziali della superficie dipinta. In questi quadri è una tensione drammatica e contraddittoria. data dalla ricerca di fondere la forma conchiusa in sen ­so classico (il volume, il profilo, il colore di una imma ­gine collegati e cristallizzati in un’armonia razionale con il fluire continuo di una realtà viva, calata nel suo divenire esistenziale. Sarà l’aspirazione e il tormento di sempre per Degas, che volle tenersi sotto gli occhi quei quadri di soggetto letterario e storico anche quando aveva abbandonato quella tematica per il ‘soggetti moderno’. Perché il cambiamento di contenuto illu ­strativo, l’abbandono della composizione aulica per quella di ‘vita moderna’ o di spontaneo gesto quotidia ­no, non spostava i termini del problema: e una riunii -ne di mercanti di cotone nella modesta stanza del mer ­cato di New Orléans sarà il Trionfo di Omero del de ­votissimo ammiratore di Ingres, che ricerca nel vivo le auree norme di una struttura armonica, non pura ­mente ottica.

Degas voleva trasporre lo spettacolo della vita, dal gesto ‘animale’ all’ambiente e al comportamento so ­ciale contemporaneo (la ‘commedia umana’ di Balzac, dei Goncourt, di Zola), nella teca classica di uno stile obiettivo e cristallino, per il quale ci soccorrono i nomi di Mérimée, di Gautier, e l’eroico tormento di Flaubert, di Baudelaire. Anche la trasformazione del lin ­guaggio tecnico che egli opera negli ultimi decenni, dalla incisività limpida del segno e dalla zonatura de! colore, al flusso avvolgente e piumoso delle masse im ­pastate nello spazio luminoso, ma articolate sempre in moti essenziali, sintetici, è coerente con quella fon ­damentale ricerca. Degas cambia tecnica (si pensi ai pastelli, ai monotipi, alle sculture) perché lo strumento sia corrispondente alle sue diminuite capacità di vista, portando però agli stessi risultati di impostazione stilistica. È la stessa folgorazione dell’attimo nell’eter ­nità del ritmo formale, che egli ci da in quelle masse colorate fluide, morbide, ma improvvisamente accese di timbri acuti, di articolazioni grafiche e di colori scat ­tanti, che collocano le figure in una dimensione fanta ­stica, che le rendono assolute e immutabili. Come il mondo di Fidia che conservi la sua misura olimpica nella sfocatura di un flash. E Renoir ricordava un di ­segno di nudo di Degas, un carboncino, come “un frammento del Partenone “. Certamente non per una ripresa di modulo classicheggiante (egli che, in ma ­niera tanto diversa, aveva fornito la sua interpretazione moderna di Ingres), ma per la rigorosa e limpida costruzione armonica che riporta alla bellezza pura delle forme quanto di più istantaneo, di più casuale e improvviso appare nello spettacolo naturale.

Interrompere la durata esistenziale della scena per estrarne i momenti di più intensa sintesi formale, e scardinare l’ordine canonico di una bellezza puramen ­te ritmica e classica per insanguare e innervare le forme di energia umana e di tensioni patetiche: questi sono forse i termini opposti entro i quali si svolse la ge ­niale e drammatica ricerca ‘moderna’ di Degas. Visti in questa luce, acquistano tutto il loro valore rivoluzio ­nario i suoi ininterrotti studi dall’antico, le sue copie, il suo ossessivo scandaglio dello stile dei Maestri, inteso a scoprire in essi il percorso che li portò a fondere la natura e la realtà del loro tempo con l’assoluto di una forma armonica. Visti in questa luce, si comprendono i continui studi dal vero, le indagini sui costumi, sulle fisionomie, sulle psicologie, sulla mimica e gli atteggia ­menti e i gesti spontanei, bloccati nel loro accadere come fotogrammi del movimento. E si vedrà allora che la vera eredità di Degas non è nelle formule stilistiche e nelle preferenze iconografiche di Mary Cassat, di Zandomeneghi, di Forain, e neppur tanto in Toulouse-Lautrec o in Gauguin e in Picasso, ma nell’ansia e nel ­l’ossessione ben attuali di altri artisti del nostro tempo: da Munch a Vuillard, da Sickert a Bacon, sino a Giacometti. E son di Giacometti le parole che forse non sarebbero dispiaciute a Degas: “Son proprio i parti ­colari che fanno l’insieme … che fanno la bellezza di una forma”.


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Bart