PITTURA: I MAESTRI: Gericault e la sua leggenda16 Agosto 2016 di Jacques Thuillier Baudelaire non ha celebrato Gericault tra i “fari” della pittura. Ed è bene che così sia stato, poiché il giusto approc Âcio a Gericault non consiste certo nel salutarlo al primo in Âcontro con il titolo di maestro. Colui che doveva lasciare una traccia così profonda nell’arte francese scompare nel gennaio 1824 prima di aver compiuto trentatré anni, più giovane di Raffaello e di Watteau, morti a trentasette. C’è da aggiungere che Gericault, contrariamente a questi ultimi, cominciò a dipin Âgere soltanto dopo la fine degli studi, e che trascorse l’ultimo anno di vita quasi del tutto immobilizzato a letto: la sua car Âriera si svolse quindi, compreso il periodo dell’apprendistato, nell’ambito di una quindicina d’anni. Bisogna aver ben chiaro questo fatto, di cui deve tener conto sia la ricerca erudita, sia il giudizio critico, e che impe Âdisce di usare per Gericault la stessa unità di misura che per artisti come David e Delacroix. Gericault è un giovane pittore alla ricerca â— ardente, drammatica â— di se stesso: sopraggiunge la morte e confisca tutto il lavoro compiuto, prima ancora che la strada sia scoperta, finito il procedere tentoni e le esperien Âze. “Si può dire di lui che ha impiegato la maggior parte del tempo a studiare”, notava Batissier, il suo primo biografo. Ge Âricault visse abbastanza per dar prova del suo genio e anche per ottenerne il riconoscimento: ma la realizzazione, tanto de Âsiderata, presentita forse, non poté mai raggiungerla. E per quanto orgoglioso egli sia stato dei primi successi e degli am Âmiratori conquistati, e per quanta fiducia abbia mostrato nelle proprie doti, Gericault morente lo seppe e lo disse: “Se avessi fatto anche soltanto cinque quadri! ma non ho fatto niente, assolutamente niente”. In rapporto alle ambizioni, la stessa Zattera della Medusa gli parve allora “una vignetta”: da ciò, il senso tragico della sua vita di pittore. Se un aspetto di Ge Âricault lo collega al romanticismo, è proprio questo: una ten Âsione appassionata che non raggiunge lo scopo, un’opera che tutta quanta esprime la lotta del creatore contro la propria arte e contro il tempo, e che non fu mai la tranquilla pratica di un linguaggio. Se ne può concludere che quello che ci rimane è soltanto un artista mutilo, o piuttosto, l’abbozzo di un grande artista. Che cosa sarebbe stato Gericault a quarant’anni, al momento dei successi di Belarcene, Delacroix e Decamps, e a sessanta, di fronte all’ascesa di Courbet, e come avrebbe guardato Ge Âricault, invecchiando, la Colazione sull’erba di Manet, l’Olim Âpia, o addirittura le prime mostre impressioniste ? Come sareb Âbero i dipinti di Gericault commissionati da Luigi Filippo per la Galerie des Batailles di Versailles, o le opere esposte nei Salons del Secondo Impero? Pura speculazione mentale, di per sé falsa, e pericolosa qualora se ne traggano delle ipotesi fittizie; utile invece per ricondurre il giudizio a una sana re Âlatività . Per contrapposto, bisogna anche considerare che Gericault ha molto beneficiato del prestigio di cui si circondano i giovani morti. Non c’è un “Monsieur Gericault”, come c’è stato invece un “Monsieur Ingres”, che faccia dimenticare la foga e le auda Âcie dell’adolescente: il suo destino troppo breve ha affascinato, attirando, dalla Restaurazione ai giorni nostri, omaggi quali non hanno ricevuto le creazioni più perseveranti e le opere di più ampio respiro. Le sue ricerche hanno assunto il valore di suc Âcessi. Ne conseguono altri pericoli, che riguardano questa volta il catalogo. Non si deve dimenticare che ben di rado l’elenco delle creazioni di un artista risulta facile a determinarsi, e co Âmunque l’opera globale non è fatta della giustapposizione mec Âcanica dei singoli elementi. Bisogna tener conto di due fattori, che entrano in gioco modificandone profondamente l’aspetto: il tempo, strumento di oblio e distruzione, e la celebrità , il cui effetto è inverso, ma ugualmente ambiguo. Alla morte di Gericault, la devozione ostinata di un fe Âdele, Dedreux-Dorcy, e l’intelligenza di un grande conserva Âtore, il conte di Forbin, consentirono l’ingresso al Louvre del capolavoro di Gericault, la Zattera della Medusa. Bastò questa tela immensa, che colpiva tutti i visitatori, a preservare la me Âmoria del pittore; e gli amatori non tardarono a contendersi i dipinti, i disegni, a prezzi sempre più alti. Ma Gericault ope Ârava al centro di un gruppo di amici e allievi che non rag Âgiunsero mai la fama, malgrado un sicuro talento: nasceva quindi la facile tentazione di far scivolare, fra tele illustri e ben note, qualche pezzo, qualche schizzo molto vicino ai modi dell’artista. Non c’era liber veritatis che servisse da riscontro, né famiglia che vigilasse gelosamente sull’esattezza delle attribuzio Âni. Ci sarebbe da credere che Gericault fosse l’unico pittore del tempo che dipingeva studi di negri o cavalieri intenti alla doma di focosi cavalli. A fronte, non ci resta quasi niente di Thomas, il rivale vincitore del Prix de Rome, o di Forestier, coe Âtaneo dai gusti a lui simili, o di Lehoux, di Jamar, intimi de Âgli ultimi anni. Ricordiamo che Pierre Rosenberg ha indicato, or non è molto, in un dipinto esposto sotto il nome di Geri Âcault, lo schizzo di una grande composizione storica di Tabar conservata nel museo di Rouen. Già Clément si preoccupava di queste confusioni, quando intraprese il famoso catalogo dell’opera di Gericault, edito nel 1867. Un catalogo destinato a diventare la Bibbia, e che in realtà merita ammirazione: è di quelli in grado di rassicurare lo storico dell’arte circa l’utilità del suo lavoro. I documenti rinvenuti in seguito e gli studi più recenti hanno convalidato le sue affermazioni, provando che il meticoloso impegno del biografo, l’umile e fastidiosa messa a punto del catalogo, han Âno talora la meglio sulle speculazioni più geniali e possono giungere a una sorta di verità . A conti fatti, nulla è da cam Âbiare nell’immagine di massima di Gericault che Clément ha tramandato ai posteri più di un secolo fa. Tuttavia, la prima edizione apparve circa quarant’anni dopo la morte del pittore, e Clément, per quanto scrupoloso sia stato, dovette compiere opera di storico e, in quanto tale, fallibile: molti dipinti do Âvettero sfuggirgli e poté in buona fede accogliere intrusi la cui identità sembrava irreprensibile. In seguito, tale elenco è stato completato, e il catalogo si è gonfiato in misura inquietante. È oggi chiaramente in atto il processo inverso, come appunto si rileva dagli apparati critici (qui di seguito) giustamente se Âveri, dovuti a Philippe Grunchec. Del resto, destano forse meno timore per il nostro artista i dipinti falsi (talvolta di qualche pregio) che non quelli de Âboli. La celebrità , non solo stimola attribuzioni errate, ma pre Âserva opere secondarie o minori cui l’artista stesso non dava alcuna importanza, e il cui destino normale sarebbe stato di scomparire o di cadere nell’anonimato. Possediamo, religiosa Âmente conservate, un gran numero di quisquilie che sono certamente uscite dalla mano di Gericault, ma che lo stesso Gericault dovette considerare trascurabili. Alexandre Dumas racconta che verso gli ultimi tempi della vita del pittore, andò a fargli visita con il colonnello Bro, e lo trovò a letto. In di Âsordine, per terra, giaceva uno studio che Dumas calpestò inav Âvertitamente e che Bro raccolse facendone grandi lodi. Il pit Âtore gli disse che era soltanto uno schizzo buttato giù guardando il figlio del portiere, e glielo regalò come cosa di nessun va Âlore. La storia non sembra inventata e si pensa dovesse trattar Âsi di una delle teste di bambini o adolescenti dell’ultimo pe Âriodo: opere di fattura mediocre, alla ricerca dell’effetto con un compiacimento sgradevole, e che non accrescono la gloria del pittore. Poiché non vuoi dire onorare Gericault, né dar prova di molto senso critico, accordare troppa attenzione a quei volti ambigui, dagli occhi dilatati in un’enfasi di pessima lega; e non gli rende giustizia lodare in lui l’autore dei ritratti Dedreux, condotti con pennellate fiacche, o di brutti studi di vo Âlatili, o di mere copie di leoni tratte da Rubens. Il Trombet Âtiere a cavallo, che tutto concorda nel designare come auten Âtico, è insopportabilmente scorretto; e non si può considerare senza disagio il ritratto della piccola Louise Vernet, bizzarro prodotto di un Michelangelo che si è perduto nel reparto delle bambole. Questi ‘errori’, che generalmente hanno finito con lo scomparire dal catalogo dei pittori antichi, occupano troppo spazio in quello di Gericault. Certo, allo storico non è con Âsentito trascurare nulla, poiché anche la più piccola pennel Âlata può aiutarlo nel suo difficile lavoro di ricostruzione: tutti quei dipinti meritano quindi la sua attenzione più minuziosa, e dobbiamo molto rallegrarci che si siano conservati fino a noi. Ma il giudizio deve essere elaborato al livello più alto della sua produzione, evitando il grave errore di valutare un artista come Gericault sulla base di qualche groppa di cavallo, di ri Âtratti superficiali o di copie dai maestri. Diciamolo chiara Âmente: la vera dimensione del suo genio la si coglie al Louvre. L‘Ufficiale dei cavalleggeri della Guardia, la Corsa dei barberi, la Zattera della Medusa con i suoi due schizzi, imprese meditate sulle quali il pittore volle giocare il futuro della sua arte e tentare la sorte presso il pubblico: sono questi i punti di riferimento degni; questo è Gericault. Ed esistono abbastanza opere, se non della stessa levatura almeno della medesima qualità , per dar corpo a un grande pittore. *   *   * La vita dell’artista richiede senz’altro un’analoga revisione. Breve carriera di un genio, svolta nell’incombere della fretta, senza dubbio: non bisogna comunque tradurla in dramma o divinizzazione. Certe vernici troppo lucide conferiscono splen Âdore ai ritratti, ma poi li oscurano, sfigurandoli; e per Gericault sembra ormai giunto il momento di ripulire un po’ questi strati successivi, divenuti opachi. ” Dissipatore, enfant prodige e figlio! prodigo che non ha voluto insediarsi nell’ingannevole sicurezza del tempo, Ge Âricault esercita su di noi uno strano fascino eroico, con, biso Âgna pur dirlo, qualche cosa in più: dalle tenebre della sua ossessione, dal dialogo incessante con il pericolo, dalla fretta di arrivare alle porte della morte, scaturisce infine e di contro la luce della stella che svela il mistero dell’incarnazione”. Que Âsto ritratto risale a trent’anni fa, a un periodo cioè in cui i modelli necessari erano Rimbaud, Van Gogh e Modigliani, ma non crediamo che il suo patetismo sia passato di moda. Gericault è ancora considerato il primo pittore maledetto, l’adolescente segnato dal sigillo del genio, cresciuto in mezzo a borghesi ottusi, in rotta con loro, ma presto precipitato dal destino verso una morte segretamente desiderata. Ora, uno sguardo attento non scorge nulla di tutto ciò. Théodore Gericault, bisogna ammetterlo, si presenta a tutta prima come un enfant gâté: viziato dagli dei, dalla famiglia, da tutti quanti lo circondano. Bello, alto, snello, piacevole in compagnia, capace di sedurre al primo approccio uomini e donne, e consapevole di tale seduzione, di cui sembra abusare senza troppi scrupoli. Perde molto presto la madre (la cui mancanza costituisce senz’altro una delle chiavi profonde del suo carattere) : da parte sua, dispone di una apprezzabile for Âtuna. La nonna, la buona e venerabile M.me Caruel, gli con Âcede ogni indulgenza, e suo padre, uomo eccellente, fa tutto quello che egli desidera. Gericault ne approfitta per abban Âdonare gli studi a diciassette anni, al termine della classe di retorica, per darsi alla vita del dandy, tenere una scu Âderia con alcuni cavalli, frequentare il mondo, che ama, mal Âgrado residui di timidezza. Figlio di buona famiglia, assapora tutti i vantaggi di tale condizione. È incredibile che egli ap Âprofitti di tali vantaggi anche per dedicarsi alla pittura, e non da dilettante, ma con una passione che ha la meglio su tutto il resto. Quando prepara la Zattera della Medusa, lo si vede, per evitare tentazioni che potrebbero distrarlo dal la Âvoro, farsi rasare i bei capelli biondi, di cui amava prendersi cura avvolgendoli nei bigodini e arricciandoli prima di andare al ballo. Gesto eroico, senza dubbio; ma poi ci si ricorda che il giovane Granet, figlio di un povero muratore di Aix, aveva dovuto fare ben altri sacrifici per diventare pittore. Un imbrat Âtatele come Charlet non la smette mai di trattare Gericault come un figlio di borghese dalle tasche piene che egli vuole ridurre al livello più basso: e non è certo il lato migliore di Gharlet che si esprime in quelle sortite, rallegrate da pesante vino volgare e da scherzi crudeli in cui amava coinvolgere Gericault. Ma il giovane rifiutò sempre certi modi di parlare e di comportarsi. Michelet racconta che egli conservava i con Âsueti riguardi anche nei confronti delle ragazze di basso rango che gli capitava di frequentare. Rimase sempre pieno di te Ânerezza e di deferenza verso suo padre; e sarà bene guardarsi dalla facile interpretazione opposta, che ha indotto a leggere un’allusione più o meno oscura, in una delle poche lettere conservate, intesa come ironia del genio generato da una sorta di Pécuchet. Gericault vive in perfetto accordo con l’ambiente cui appartiene, e che gli consente una jeunesse dorée. La me Âdesima tenacia che la sua famiglia normanna aveva dedicato agli affari, egli la trasferisce semplicemente nella propria arte. Si vuole almeno che la passione segni la sua giovinezza con le tempeste e la disperazione cari al tempo di Chateau Âbriand. Di fatto, ciò sembra più vicino alla verità . Abbiamo letto che Gericault seduceva: “Alto, severo, con occhi di una bellezza singolare, sognatori, dolci e profondi, da orientale”: ecco come lo vedevano le donne. Sembra che abbia sperimen Âtato volentieri lo sguardo incantatore, il sorriso che gli atti Ârava subito le simpatie, la voce avvincente che amava eser Âcitare al canto. I contemporanei attestano che egli strinse una relazione sentimentale il cui carattere illegittimo lo faceva soffrire crudelmente, e la cui violenza e i cui tormenti segreti avrebbero minato il suo coraggio, e per finire la sua stessa salute: e non hanno mentito. La chiave del romanzo sembra averla trovata Michel Le Pesant. Gericault sarebbe diven Âtato l’amante della zia, Alexandrine-Modeste, giovane sposa di un marito troppo vecchio. È una storia di tutti i tempi, e si ritrova con varianti considerevoli dalla commedia dell’arte alla Nouvelle Héloïse, che allora ossessionava tutti. Il problema è la scelta della variante da adottare, e il giusto tono dell’avven Âtura. Lo si può vedere come un mediocre adulterio borghese, prosaicamente sistemato dal consiglio di famiglia e in presenza lei notaio il giorno in cui nasce il frutto del peccato; e si può anche pensare che il cuore di un grande adolescente contiene sempre abbastanza violenza e sete di assoluto per darsi intera Âgente a un primo affetto, e che Gericault visse dunque uno di quei grandi amori fatti di angoscia, di estasi e di rimorsi, quali se ne trovano in Balzac e Stendhal. Bisogna ammettere tuttavia che a quei tempi la maggior parte delle sofferenze si riversavano sulla donna, alla fine del romanzo disonorata e abbandonata. E così accadde probabilmente: Alexandrine de Saint-Martin sembra essersi rassegnata, rifugiandosi, presto o tardi, in una stretta devozione; Gericault dovette sforzarsi di dmenticare, e col passar del tempo sembra esserci riuscito (si trovano qua e là , anche in suoi scritti, rassicuranti allusioni a relazioni mondane ed effimere conquiste). A guardare ben a fondo le testimonianze dei contemporanei, si può pensare che i biografi anche più recenti abbiano un po’ drammatizzato, e che in realtà l’amore abbia occupato nella vita del giovane un posto più limitato che non l’arte. Quanto meno, la sua arte non da a vedere tale ossessione. Pittura sensuale, sicuramente; ma Gericault non va collocato accanto a Rubens, Boucher e Renoir, e i temi amorosi sembrano avere attratto poco la sua attenzione: sarebbe piuttosto da lamentare che la donna abbia fatto nella sua opera apparizioni così discrete e quasi marginali. Si tratta forse di pudore giovanile? o è piuttosto l’esempio di David, e lo sforzo di re Âspingere le grazie, ancor troppo vicine, del Settecento? Si deve ammettere comunque che Gericault si è mostrato, per tale aspetto, docile allievo delle lezioni virili del neoclassicismo. Qualcuno potrà dire che, in luogo degli Ero e Leandro. Angelica e Medoro, Paolo e Francesca, Gericault ci ha la Âsciato testimonianze più dirette e suggestive della sua foga giovanile. Si è molto insistito sull’erotismo di Gericault: trop Âpo, a nostra opinione, anche se è vero che ce ne rimangono disegni piuttosto vivi, e soprattutto le due famose sculture. E non si loderà mai abbastanza il museo di Rouen per aver coraggiosamente acquistato, qualche anno fa, il pezzo più im Âportante dei due, Satiro e ninfa, quando ancora era questione delicata l’esporre un’opera siffatta in una sala aperta ai bam Âbini delle scuole. Ma per stupirsi bisogna non aver mai sfo Âgliato gli studi di un artista, oppure avere l’ingenuità di sti Âmare gli artisti del passato più riservati di quelli attuali. Al contrario, si riscontra in quell’epoca un’audacia maggiore che in qualsiasi altra, e l’erotismo affiora persine nelle opere più ufficiali. Non solo Füssli, per cui costituisce la principale fonte di ispirazione; ma anche uno scultore freddo e severo quale Sergel ha lasciato qualche disegno al cui confronto le audacie di Gericault sembrano esercizi accademici; e quando Turner morì, si scoprirono fra le sue carte, a centinaia, paesaggi se Âgreti che provavano come questo amante della natura non tro Âvava godimento soltanto nell’aria aperta (Ruskin, che pure non era un pudico a oltranza, decise di bruciare quelle “tur Âpitudini”). Nulla di tutto ciò nel francese: a ben considerare, ci si dovrebbe piuttosto stupire che un giovane pittore, la cui produzione è conservata quasi interamente, e che non risulta impedito da alcuno scrupolo religioso, non abbia lasciato un maggior numero di fogli liberi. Soprattutto, niente sta a indi Âcare l’ossessione o la perversità , o tantomeno l’assillo del pec Âcato o il fascino del frutto proibito. Dai Cavalli barberi ai di Âsegni più arditi si legge il medesimo, sano e tranquillo, elogio dei corpi e dell’esaltazione fisica. Un’altra parte della sua opera si pretende che infirmi tale equilibrio: teste tagliate, membra dilaniate e corrotte dalla putrefazione sembrano mettere l’ispirazione di Gericault in con Ânessione con strane inquietudini. “Attraverso la coscienza acutissima della morte universale”, scrive un critico, “lo si sente come impaziente della sua verde putredine”. Opinione piuttosto azzardata. Se Gericault sembra essere passato, in certi momenti, per quelle che si chiamerebbero oggi crisi depressive, tuttavia la sua arte non cede mai al fascino della morte o della follia. Ancora una volta, ci si sofferma un po’ troppo su qualche studio conservato per un caso fortunato, senza pensare che da secoli i pittori erano i frequentatori degli obitori, e si pre Âparavano con spettacoli sinistri a dipingere i martiri dei san Âti. L’importante è che in questi studi non si scopre nessuna compiacenza morbosa; all’opposto, quei soggetti lugubri sono trasformati in solidi brani pittorici. Un semplice tacchino spen Ânato o un pezzo di carne, in Goya, sembrano ben altrimenti inquietanti che non le teste di condannati uscite dal pennello di Gericault. Verso la fine della vita, dipinge una serie di pazzi; ma anche qui, nessuno smarrimento e, al posto della complicità o dell’orrore, una freddezza da clinico che respinge ogni debolezza. Confrontandolo di nuovo con Goya, si metta la Monomane dell’invidia o del gioco accanto ai ritratti della famiglia reale di Spagna e si avrà la misura del realismo so Âlido e senza secondi fini del normanno. Dopo aver scorso le opere di Gericault, e soprattutto aver guardato uno dopo l’altro i molteplici disegni, l’immagine che poco a poco si configura come sintesi dell’opera dell’arti Âsta e si impone come motivo centrale, è il confronto fra uomo e cavallo: l’uomo nudo, giovane e bello, in pieno sforzo, che doma la bestia in pieno sforzo. Un’immagine che rinvia, at Âtraverso i cavalli di Marly, ai cavalieri del Partenone. * * * Tale immagine può passare per il simbolo del neoclassici Âsmo, di cui in effetti il Cavallo trattenuto da schiavi del mu Âseo di Rouen offre un’eccellente illustrazione. Ma la Zattera della Medusa, non è forse un tema affatto moderno, cui si ri Âchiamerà il movimento romantico? E le litografie, non intro Âducono direttamente al realismo? Gericault sembra preso quin Âdi fra tre movimenti, e la sua breve carriera contesa fra le grandi tendenze del secolo. A seconda delle preferenze di ogni epoca e di ogni autore, viene posto l’accento su una parte del Âl’opera, respingendo il resto alla stregua di brancolanti ten Âtativi. Ambiguità che senza dubbio ha giovato alla gloria di Ge Âricault. Secondo Delacroix e i suoi amici, la foga dell’Ufficiale dei cavalleggeri e della Zattera della Medusa faceva scom Âparire tutto il resto; e il giornale che annunciava la morte del pittore usava il termine di “giovane romantico”, lodando in lui “il Dante della pittura”. Nel corso di un centinaio d’an Âni la parola “accademia” fece insorgere gli spiriti migliori: ma i nudi eroici di Gericault potevano passare come semplice concessione di un giovane artista desideroso di concorrere al Prix de Rome, deplorevole intermezzo fra il Corazziere ferito e il Derby di Epsom. Oggi che il neoclassicismo torna di moda, si delinea il processo inverso. D’altra parte, al seguito di Courbet, che vedeva nella Fornace da gesso la prima manifestazione del naturalismo, molti critici hanno pensato che le litografie designa Âvano la vocazione definitiva di Gericault, la formula cui si indi Ârizzava la sua arte: ma le si può intendere a buon diritto come il risultato di una momentanea influenza inglese, incapace di far tacere il profondo lirismo insito nella natura del pittore, che i grandi progetti della Tratta dei negri o delle Porte del Âl’inquisizione, dopo una deviazione tutto sommato abbastanza breve e certo proficua, avrebbero riportato alla luce. Dove cercare la verità di Gericault? La risposta non può essere semplice: o piuttosto, bisogna evitare una risposta semplicistica. Troppo spesso lo storico dell’arte si compiace di isolare, nella trama complessa dei fatti, alcuni grandi arabeschi che gli sembrano sufficienti a spiegare ogni cosa. Neoclassicismo, Romanticismo, Realismo: ha finito con il dotare queste parole, che designano correnti e affinità , del rigore istituzionale proprio dei partiti politici o delle religioni. Non ci si cura di chiarire il momento creativo: il problema essenziale consiste nel determinare a quale corrente appartenga. Ma il pittore davanti al cavalletto, anche pen Âsando al suo pubblico, non decide se adottare questa o quella categoria stilistica; e a quel tempo meno ancora che oggi. La situazione della pittura a Parigi all’inizio dell’Ottocento è infinitamente complessa: gli avvenimenti politici e i cambiamenti brutali nella società e nella cultura, i contatti molteplici, gli immensi tesori del Musée Napoléon avevano portato a uno di quei grandi momenti di sincretismo quali se ne verificano pe-riodicamente nella pittura francese. Era possibile il coesistere di opposte tendenze, talvolta nel medesimo pittore e a breve distanza di tempo: non si può citare Guérin e trascurare Granet o Boilly; non si possono sintetizzare Gros e Girodet in una formula, e ancor meno in una parola astratta. Così è di Gericault. Non è il “romantico” che per cercare di ottenere il Prix de Rome si esercita suo malgrado a dise Âgnare eroi nudi e a illustrare leggende greche: la lezione di David lo ha segnato profondamente. Professa “un grande en Âtusiasmo per Rubens e Rembrandt”, ma non smette di tornare all’antico, di copiare le statue e i sarcofagi. Non si può tra Âlasciare l’aneddoto riferito da Monfort: ” Una volta, quando stava già molto male, entrando nella sua camera, che aveva la porta ai piedi del letto, lo trovai con un foglio in mano, intento a guardarlo. ‘Tenete, Monfort, guardatelo’, disse, tendendomi il foglio ai piedi del letto. Lo presi, lo guardai a mia volta: era un disegno a matita raffigurante una donna di aspetto vaghissimo. ‘È Ingres’, riprese; e mentre volgevo gli occhi verso di lui per comunicargli il piacere che suscitava in me quel bel disegno, aggiunse: ‘È come Raffaello’ “, il che suonava nella sua bocca come un elogio incondizionato. Un altro gior Âno, che loda La Giustizia e la Vendetta che perseguono il Crimine di Prudh’on, lo stesso Monfort gli fa osservare “che nel giovane morto i contorni non erano fissati, sembravano per Âduti nel fondo”, e gli domanda se gli piace questa facilità . “Oh no, affatto”, replica Gericault, e aggiunge: “Per me, se potessi tracciare i contorni con il filo di ferro, lo farei”. De Âlacroix non avrebbe mai pronunciato una frase simile. Certo, anche Gericault usa a volte un disegno molto libero, ma ha sempre cura di cogliere e chiudere la forma, senza mai cedere alle scappatoie che offrono il chiaroscuro o il barbaglio super Âficiale dei colori. Gli impasti, la materia solida e saporosa, che si contrappongono al fare liscio dei seguaci di David di stretta obbedienza, non vengono in lui â— come in un Decamps o un Diaz â— a sostituire i rigori del disegno: al contrario, sono uno strumento per impadronirsi dell’oggetto, di cui Gericault vuole il rilievo e la materia insieme. Non è senza ragione che Bernard Dorivai lo classificava “vicino a Fouquet e a Poussin, fra i grandi creatori della forma scultoria”. Lo stesso riguardo ai temi. Si mostra attento all’attualità e sceglie argomenti moderni, ma presto l’abbigliamento si sem Âplifica, riappare il nudo, e ogni sforzo di documentazione rea Âlistica si risolve nell’immagine universale. La Corsa dei bar Âberi comincia come cronaca, e finisce per collocarsi nella stretta ordinanza del bassorilievo antico; e basterebbe cambiare ben poco per fare della Zattera della Medusa, quale appare nella redazione finale (le spalline del capitano e i bicorni sono spariti già allo stadio dei bozzetti), un tema di storia greca o romana. Ancor più significativo il caso dell’Affare Fualdès, per il quale Gericault, mancando di documenti diretti, è ridot Âto alla propria immaginazione: spontaneamente e senza scrupo Âlo ricorre al nudo eroico e dello scenario atemporale, il turpe fatto è raffigurato di getto come un episodio dell’Iliade. Non si può non dar peso a questo processo creativo, che risponde a un preciso ordine di pensieri: per Gericault, la bellezza si inscrive, non nello spettacolo moderno e nel colore locale, non nel pittoresco della Storia, che sia medievale o antica, ma nel mero gioco delle forme umane; e la meditazione plastica tende sempre a isolare, dall’osservazione particolare, l’elemento astrat Âto e il significato generale. Qualche cosa tuttavia distingue Gericault dalla maggior parte dei pittori che hanno lavorato nello studio di David: e più che il gusto della modernità , è quello del movimento. La bellezza non è mai cercata nella forma piatta e nel colore esangue, e neppure nell’astratto arabesco in cui un pittore co Âme Ingres può realizzare la sua ricerca di purezza, ma nello slancio che anima i volumi. La Zattera della Medusa, si è eletto, finisce col perdere, nel passaggio dal disegno allo schiz Âzo, ogni connotazione che ne indichi l’inserimento storico: ma Contemporaneamente si stringe e consolida il grande groviglio tragico dei personaggi, innalzati dalla diagonale maggiore in una irresistibile tensione. Puro paradosso: dalla zattera piatta sul mare si leva il più possente grappolo umano che pittore abbia eretto dopo Michelangelo, Rubens e Le Brun. Il bisogno di animare le forme lo porta a introdurre nei paesaggi, spogli fino all’astrazione, bagliori fugaci presi dal linguaggio chiaroscurale. In altri casi, giunge a una scrit Âtura ellittica, e il fondo dell’Ufficiale dei cavalleggerì, i sol Âdati del Tiro d’artiglieria rivelano la tentazione di affi Âdare all’agilità del pennello l’immediatezza della rappresenta Âzione. Una testimonianza degna di fede mostra Gericault alla finestra di un albergo di Sèvres, improvvisamente attratto dallo spettacolo di una diligenza lanciata al trotto veloce sulla sa Âlita, e che non si da tregua finché non riesce a fissarne ‘/effetto, a costo di correre dal droghiere per comperare i co Âlori mancanti, e di impadronirsi della prima superficie libera, un sovraporta che lo costringe a lavorare per due ore in piedi su una sedia. Questa premura tradisce non il pittore di ge Ânere preoccupato di cogliere un episodio pittoresco, né l’ap Âpassionato di cavalli contento di vedere un bell’attacco in pie Âno sforzo, ma l’artista che ha appena intravisto l’espressione clastica di un problema essenziale. “Cercò di dipingere le mo Âre che girano in fretta, con i raggi confusi che si ravvicinano per la rapidità del movimento e non presentano più che un susseguirsi di lucidi guizzi”. Sarebbe interessante ritrovare quel dipinto, contemporaneo agli studi per la Zattera della Medusa, e perduto fino dall’Ottocento. Gericault era forse giunto a dis Âsolvere le apparenze, come farà un giorno Manet? Resta co Âmunque che il troppo famoso Derby a Epsom, su cui sono state scritte molte sciocchezze, ritrova forme precise, realizzate in ma Âniera nitida e levigata; ma i cavalli appaiono sospesi in uno scorrere immobile, come fuori dal tempo. Bella esercitazione all’inglese, anch’essa senza domani, che indica a suo modo un fallimento: poiché è impossibile mettere insieme velocità e forma pura, come bene avevano capito i teorici neoclassici, che volevano bandire il movimento distruttore della linea. Ma come avrebbe potuto Gericault prendere tale decisione? Appunto, non la prese. Corse incontro alle difficoltà come il cavaliere all’ostacolo, senza temere i tentativi falliti o le so Âluzioni contradittorie. Lo storico si irrita per le sue ricerche disordinate che sfuggono a ogni classifica e si da premura di affermare che il pittore, se fosse vissuto più a lungo, sarebbe diventato romantico ortodosso o perfetto realista. Ma lo storico ha il torto di credere alle proprie categorie più che all’artista, soprattutto quando si tratti di un Gericault, che, mirabilmente, guarda tutto, prende a piene mani, ma non segue che la sua propria esigenza. Giovane benestante che ha sempre goduto di indipendenza materiale, trova ugualmente naturale l’indipen Âdenza nell’arte; e si crea lui stesso nella pittura gli ostacoli che la vita non gli ha frapposto. Per capire Gericault bisogna capovolgere il problema, dimenticare classificazioni e sistemi, e calarsi nel profondo di questa costante ricerca, ritrovare l’ar Âdimento e lo slancio generoso che animavano quel normanno solido e senza modestia, portandolo di getto alle esperienze più ardue. “L’uomo che sente la vocazione non esita di fronte agli ostacoli, perché sente di poterli superare; costituiscono addi Ârittura per lui uno strumento in più; la febbre che possono accendere nella sua anima non è affatto perduta; anzi, diventa spesso la causa delle produzioni più stupefacenti”. Parole che potrebbero suonare banali se non si trattasse di una delle rare riflessioni scritte dallo stesso Gericault, e se l’insistenza del te Âsto non indicasse un’esperienza personale nascosta sotto il luogo comune. L’arte di Gericault è in questo rifiuto delle soluzioni già fatte, nel continuo confronto con la pittura, che lo porta a rimettere in causa tutto e cercare sempre nuove espressioni, a trovare nelle difficoltà l’alimento del suo entusiasmo. Ne na Âsce una creazione appassionata, imperfetta ma senza conces Âsioni, di cui forniva egli stesso la chiave ripetendo: “Tutto ciò che si oppone al cammino dominante del genio lo irrita, e gli procura quella febbre di esaltazione che travolge e domina ogni cosa, e produce capolavori”.
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