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PITTURA: I MAESTRI: Lorrain: Il paesaggio come ideale classico

4 Giugno 2012

di   Marcel Röthlisberger
[Classici dell’arte, Rizzoli, 1975]

Famoso in ogni tempo, Claudio Lorenese â— “Claude Gellée dit le lorrain” come egli stesso si firmava, Claude Gellée come di lui si parla in Francia, Claude o Claude Lorrain come a lui ci si riferisce in Inghilterra â— non è mai stato così ben cono ­sciuto, così ampiamente studiato e rappresentato in varie espo ­sizioni come al giorno d’oggi. Tuttavia, sebbene la sua fama di pittore tra i più eminenti non sia mai impallidita, il prestigio della sua arte è mutato attraverso i tempi e a seconda dei luoghi.

Claudio è figlio di un secolo in cui la pittura di paesaggio giunge, in ogni scuola pittorica, al più alto grado di sviluppo e. a una nuova autonomia. Nella sua creazione artistica, due punti focali restano costanti: l’interpretazione della natura e della luce. Intorno al 1600 si notano a Roma i primi studi di paesaggio nelle creazioni sottilmente poetiche dell’Elsheimer, nelle opere del fiammingo Paolo Brii e ancora nelle eroiche e idealizzate composizioni del Carracci. Salvator Rosa doveva giungere più tardi a un primo tentativo d’interpretazione ro ­mantica della natura. In terra olandese la produzione pitto ­rica offriva una variata e nutrita scelta di paesaggi: vi erano gli specialisti della descrizione realistica accanto ai paesisti ita ­lianizzanti con le loro vedute immaginarie e si giungeva sino alle personalizzate interpretazioni visionarie di Seghers e di Rembrandt. Nelle Fiandre, ancora pittori realisti e Rubens con le sue ampie distese di paese, animate e panoramiche. Inoltre altri nomi appartenenti alla prima metà del secolo evocano diversi aspetti che il paesaggismo viene ad assumere: Albani, Mola, Dughet, Callot, van Goyen, Ruisdael, Cuyp, Teniers. Occorre anche dire che la pittura di paesaggio era tenuta in poco conto nella gerarchia accademica delle arti. Claudio Lo ­renese, a differenza del Poussin, non è neppure menzionato dal Félibien e dal Bellori, anche se la sua pittura era oltremodo apprezzata sia dagli artisti come dai committenti. Considerato in questa prospettiva, il linguaggio classico di Claudio Lorenese ispirerà molte generazioni e determinerà la visione del paesag ­gio italiano sino ai giorni nostri.

Quale significato attribuire al concetto di paesaggio classi ­co? Mentre per quanto riguarda la tematica della figura uma ­na e dell’architettura si conoscevano modelli risalenti all’epoca classica, non si ravvisano esempi di paesaggio tramandatici da ­gli antichi, eccezion fatta per quell’unico che Claudio e Pous ­sin diligentemente copiarono. Si deve volgere l’attenzione alla letteratura, in particolare alla poesia bucolica, che sin dai tem ­pi di Teocrito ci aveva data una variata fioritura di opere, per comprendere la fonte d’ispirazione del paesaggio. Se Giorgione e Tiziano mostrarono la via da seguire, solo Claudio seppe rendere chiaro dal punto di vista figurativo quanto era stato precedentemente cantato nell’ambito della poesia. Il pae ­saggio classico era pertanto frutto d’una ideale attitudine del ­l’artista, qualcosa che riguardava il suo temperamento e la sua inclinazione portandolo a ricreare il mondo delle Egloghe e Georgiche virgiliane come quello della poesia di Ovidio. Così il paesaggio animato da antiche architetture diveniva il palco ­scenico ideale per la narrazione di temi mitologici e di storie antiche. Lo studio della natura nella Campagna Romana, in ­torno alle colline Tiburtine, nel Lazio pittoresco, ossia nell’in ­tera regione già celebrata dai poeti latini e teatro della storia romana, diventava incentivo stesso alla fantasia creativa. Tutta ­via il paesaggio classico non costituiva per Claudio una specie di formula già pronta da applicare alla natura, come sarà il caso più tardi dei seguaci van Bloemen o Locatelli. Al con ­trario il Lorenese sia pure prendendo l’avvio dai classicisti pre ­cursori bolognesi fu essenzialmente il grande interprete innova ­tore della natura; egli si mosse per così dire in terra incognita, guidato solamente da quel processo di interiore maturità che sempre fu presente nello svolgimento della sua arte.

Vista attraverso le immagini di un libro, la sua opera sug ­gerisce a un primo colpo d’occhio l’impressione di una grande uniformità, sensazione accresciuta in questo caso dalla ridu ­zione a un’unica misura delle riproduzioni fotografiche. All’ap ­parenza essa è priva di spettacolari variazioni, di uno sviluppo carico d’eventi, di caratteri che colpiscano particolarmente l’occhio o facciano appello alle emozioni. Ma se il lettore di questo libro ricerca qualcosa che sia più profondo di un’impres ­sione rimasta in superficie, a uno sguardo più attento non tarderà ad avvedersi come la poetica di Claudio, pur nella limitazione al paesaggio che egli stesso volle imporsi si svolga entro una notevole gamma di possibilità. Varietà nella scelta dei temi e coerenza ideale nel loro svolgimento caratterizzano l’intera sua opera; ma in questa sorprendente continuità, in ­numerevoli sono i mutamenti e se si guarda ai disegni, è facile notare una creatività senza paralleli. Per quanto lo svolgimen ­to dell’arte non possa mai essere considerato come un mec ­canismo prevedibile, nell’opera di Claudio esso può essere se ­guito nel suo sviluppo di anno in anno e forma, visto a ritroso, un percorso apparentemente logico sebbene ogni opera sia stata condizionata da diversi fattori esteriori, non ultimo il continuo variare dei committenti. Comprendere l’arte di Claudio Lore ­nese richiede tempo, genuino interesse, desiderio di penetrare nel suo mondo poetico, di familiarizzarsi con infinite sotti ­gliezze, di percepire e rispondere ad armonie ben determinate che caratterizzano ogni sua opera.

Basati su un’osservazione diretta della natura, i dipinti di Claudio sono ideati ed elaborati su formule desunte dalla tra ­dizione. La natura viene quindi sottoposta a una scelta e rivelata tramite schemi pittorici in cui le singole forme sono rappresentate con abbreviazioni prestabilite. Quanto detto non vuole affatto diminuire i meriti dell’artista, la stilizzazione in ­fatti è implicita a ogni creazione artistica ed esiste anche in esempi di paesaggio realistico, si pensi a van Goyen o agli im ­pressionisti. Ma poiché la critica d’arte ha anche troppo spesso stabilito una immediata eguaglianza tra i dipinti di paesaggio di Claudio e il paesaggio in sé, gioverà sottolineare l’importan ­za della composizione nella sua arte. Principi fondamentali ne sono l’attenta e quasi sempre simmetrica impaginazione del ­l’immagine, rappresentata per mezzo di una piattaforma in primo piano avente funzione di ideale palcoscenico per i per ­sonaggi, la quale è fiancheggiata da alberi o edifici e com ­pletata con motivi che servono da richiamo alla base della composizione. Accentuata importanza è data al paesaggio di fondo, all’illusoria profondità creata dalla sapiente distribu ­zione delle masse e dalla graduazione della luce. La comples ­sità spaziale aumenta in relazione alle dimensioni dei dipinti. L’equilibrio è raggiunto nel gioco dei contrasti, mentre la strut ­tura dell’opera viene elaborata tramite proporzioni geometriche. Le composizioni di Claudio sono di una mirabile intelligenza, s’impadroniscono del nostro spirito, la loro struttura può es ­sere analizzata a fondo: fatto questo estremamente importante in quanto crea un reale avvicinamento all’opera d’arte, ren ­dendoci consapevoli delle innumerevoli raffinatezze in essa contenute. Legata in maniera inscindibile a questo aspetto razionale è la qualità poetica inerente alla scelta dei motivi, dei valori tonali e pittorici, dei mezzi tecnici dell’esecuzione.

Per la prima volta in questo volume una notevole parte della sua opera è riprodotta a colori; la presentazione è cro ­nologica per il catalogo e, come norma generale, anche per le tavole a colori, fatta qualche eccezione dovuta a ragioni d’or ­dine tecnico. E ancora per la prima volta è qui pubblicata una scelta delle opere di maggiore importanza, tale da riflettere tuttavia il ritmo della sua attività attraverso cinquanta o ses ­santa anni di lavoro. Claudio produsse in media da sei a sette dipinti per anno fino intorno al 1650, più tardi da due a tre senza contare il gruppo di quaranta incisioni e oltre un mi ­gliaio di disegni. Non ebbe aiuti e non si è a conoscenza di suoi viaggi se non nei dintorni di Roma. La sua opera è giunta sino a noi in condizioni di straordinaria completezza, come non si potrebbe dire dell’opera di Poussin: dei duecento di ­pinti, di cui egli stesso fa menzione dopo il 1635, solamente trentacinque oggi risultano persi.

Quanto all’evoluzione artistica del Lorenese, che si cercherà ora di esporre in un breve sommario, poco o nulla ci è noto del primo periodo di attività sino al termine della terza decade di età. È comunque accertato che, venuto a contatto ancora adolescente con Agostino Tassi, prima nel modesto ruolo di domestico indi di allievo, Claudio dovette ricevere da questo maestro un decisivo impulso allo sviluppo della propria per ­sonalità. Due anni di soggiorno napoletano spesi sotto la guida del poco noto Goffredi Wals gli valsero la familiarità e la comprensione dei raffinati modi della tradizione elsheimeriana. Al contrario, ritornato per il soggiorno di un anno nel 1625 aNancy al seguito di Claude Deruet pittore di corte, questo contatto non sembrò influenzarlo particolarmente, se non per qualche traccia che gli rimase nella concezione del paesaggio e delle manierate figure classiche. A Roma Claudio entrò in contatto con diverse tendenze e artisti, in particolare con i bamboccianti, Filippo Napoletano, Sandrart, Brii, Callot, Swanevelt, Breenbergh. Sulle orme del Tassi, la cui impetuosa per ­sonalità non è ancora sufficientemente definita, Claudio di ­pinse qualche ciclo di affreschi di carattere decorativo â— una tecnica che presto doveva abbandonare – dei quali solo uno è rimasto. Seguendo il gusto del maestro, i suoi paesaggi gio ­vanili sono animati e piacevoli, ricchi nel dettaglio, di genere pastorale. In essi compaiono personaggi del mondo rurale, ani ­mali, mulini, ponti, archi e frammenti di architettura in rovina, ceppi d’albero, tronchi avvinghiati dall’edera, barche, riflessi nell’acqua. In un primo periodo solamente, le figure sono state talvolta aggiunte da uno specialista, segnatamente Fran ­cesco Lauri (1610-35 e.). Le tele di più grandi dimensioni sono eseguite a tocchi rapidi, le opere di piccole proporzioni su rame rivelano un carattere più intimo e una esecuzione di me ­ravigliosa raffinatezza. In un piccolo nu ­mero di dipinti sono rappresentate località determinabili, per cui si può pensare a opere commissionate da stranieri come ricordo del loro soggiorno romano. In altri le rovine o più raramente le architetture moderne prendono risalto fantasio ­samente collocate in un paesaggio immaginario. Tra i più mae ­stosi dipinti di grande formato databili negli anni ’30 erano Cefalo e Procri (ora perduto, n. 33), il Ratto di Europa, e la Marina oggi a Colonia.

Sin dagli inizi i porti immaginali che evocano gli splen ­dori di Ostia antica furono una delle specialità di Claudio, già famoso per la sua maestria nella prospettiva. Mentre se ­guiamo l’evolversi della rappresentazione dei diversi porti, non possiamo che constatare un notevole e sempre crescente pro ­gresso in termini di monumentalità, culminante nell’Imbarco della regina di Saba. Basati sulla tradizione rinascimentale della composizione spaziale, i complessi scenari portuali sono, ancor più dei paesaggi, palcoscenici teatrali in cui peraltro lo stile classico degli edifici si differenzia dai modi correnti dell’architettura romana barocca.

Così, nello spazio di pochi anni, Claudio Lorenese divenne il più celebrato paesaggista, l’artista onorato dalle commissioni di pontefici e sovrani quali Urbano VIII e Filippo IV re di Spagna. Le opere eseguite per quest’ultimo sono tra quelle di dimensioni maggiori fino a quel momento e la loro concezione monumentale sempre più solenne sintetizza il raggiungimento di una prima maturità dell’artista. Nel quinto decennio s’incamminò gradualmente verso uno stile più sereno e più nobile sotto l’influsso del Domenichino e im ­plicitamente di Annibale Carracci, del cui stile classico diveniva in quel momento ricettivo. Le scene e vedute fantastiche, i tramonti colorati d’oro, le figure di ascendenza bamboccesca, i panorami costieri, i motivi pittoreschi lasciano gradualmente luogo a più meditati paesaggi; i temi genericamente pastorali vengono reinterpretati sul diretto metro ovidiano, i panorami rannicchiati entro le curve cornici di fogliame sono sostituiti da una disposizione più ortogonale. In linea generale l’am ­piezza e la complessità dell’impostazione scenica aumentano, il paesaggio allude sempre maggiormente alla circostante cam ­pagna romana, e il significato dei dipinti trae nuovo vigore dai temi mitologici e biblici. In questa fase i cui punti culminanti sono raggiunti nel Mulino e nel suo pendant, il Tempio di Delfi, il maturo classicismo di Claudio si avvicina all’esuberante vitalità di Pietro da Cortona, il cui influsso troviamo nella ricchezza e nella maturità stilistica dei disegni di figure del Lorenese. In tal modo, non condizionato dall’eredità dell’arte francese, come fu Nicolas Poussin, Claudio può considerarsi membro della scuola romana.

L’espressione più monumentale della sua creazione artistica è raggiunta nelle otto opere di più largo formato dipinte soprat ­tutto dopo il 1650. Di eroica grandezza, ognuna di esse è un unicum, eseguito su di un soggetto specifico per un particolare committente. Il dipinto con Ester, del quale rimane solo un frammento risparmiatoci da un incendio, era, secondo il giudizio formulato in proposito dall’artista stesso, il suo capo ­lavoro. Durante gli ultimi venticinque anni della sua lunga esi ­stenza la grande maniera continua nelle austere scene del Vecchio Testamento eseguite nel settimo decennio, mentre i temi mitolo ­gici assumono una nuova purezza e assolutezza. Negli anni che seguono, l’Eneide diviene la fonte prediletta che da origine ad una dozzina di opere serene, vigorose ed originali con alti colli e abissi profondi, solenni e misteriose rappresenta ­zioni di un mondo che da lungo tempo era scomparso: Nemi, Pallanteo, Delfi, Cartagine, e il Parnaso.

L’evoluzione cui abbiamo accennato dai temi bucolici a quelli classici, eroici e antichi, offre solamente un tracciato di base alla comprensione dell’arte di Claudio. Il suo mondo pittorico è strettamente connesso con l’osservazione e l’idea ­lizzazione della natura, con l’interpretazione della luce, del ­l’atmosfera e dello spazio, con la misura delle proporzioni e dei contrasti tenuti in armonioso bilancio. I suoi scenari sono immaginali, soggetti alle sue leggi della composizione, ma la continuità del rapporto fra spazio e luce da forma concreta alla verità della natura a un livello simbolico. Mentre os ­serviamo i personaggi che, entro lo spazio del primo piano, recitano la loro storia spesso indicando la lontananza, il nostro occhio è portato attraverso varie vie e diversi passaggi proprio a quel piano più distante che diventa così il vero punto focale della composizione. La suggestiva illusione della profondità e l’atmosfera evocativa che emana dall’opera di Claudio sono sempre state interpretate come fondamento della sua arte. Loro principale mezzo d’espressione è l’uso della luce e del colore come elemento capace di dare unità a ogni opera. Evi ­tando l’effetto sensazionale di chiari di luna, arcobaleni o tempeste usati da altri pittori di paesaggio del suo tempo, per primo ha concentrato l’interesse sul più spettacolare effetto di luce esistente in natura: il sole. Nella maggior parte dei casi collocando l’astro in posizione bassa, Claudio utilizza ac ­cortamente le possibilità suggerite dalla luce mattinale e ve ­spertina. Il sole basso può penetrare con forza drammatica attraverso il fogliame o gli alberi delle navi, mostrarsi all’an ­golo di un edificio, apparire come sospeso all’orizzonte riflet ­tendosi nell’acqua e colorando il ciclo in prossimità, o ancora restare celato dietro alberi e nubi, mentre i suoi raggi possono ap ­parire improvvisamente attraverso il paesaggio. Da temi il cui svolgimento richiede un’ora specifica del giorno come da molte altre indicazioni si comprende come la luce proveniente da sinistra significhi per Claudio la mattina e suggerisca toni fred ­di per il paesaggio e il cielo: il primo sarà di un fresco colore verde, quest’ultimo azzurro con l’orizzonte variante dal bianco al giallo. La luce proveniente da destra rappresenta invece la sera e consente toni caldi con uso più abbondante di tinte brune nel paesaggio e, a volte, cicli trascoloranti da un rosa infiammato all’arancio. Quasi tutti i famosi tramonti dai cieli infuocati appartengono agli anni giovanili di Claudio, ma il fondamentale contrasto tra sera e mattino cui sovente l’artista ricorre nei pendants, persiste attraverso tutta la sua vita. Que ­sta norma costante, basata sulla naturale inclinazione per il movimento che va da sinistra a destra, non si riferisce alla convenzionalità tradizionale delle ore del giorno, dei mesi, delle stagioni. Al contrario ogni opera crea per mezzo di sottili gra ­duazioni di luce e di colore una persuasiva particolare atmo ­sfera, non una realistica descrizione della natura dunque, ma una visione ideale desunta dall’osservazione naturalistica.

Come si è già accennato, le composizioni di Claudio sono condizionate dalle dimensioni, dal soggetto, dal pendant e, fatto di non minor rilievo, dal committente. Fattori questi che anche a proposito di altri artisti attraverso i secoli, è sempre utile tenere presente per tutto quanto ciò sottintende e signi ­fica. La relazione tra composizione e dimensione dei dipinti non appare in maniera chiara nelle riproduzioni. Per la maggior parte delle opere egli si è avvalso di uno dei tre formati che solitamente usa. Più largo è il dipinto, più complessa è l’im-paginazione scenica e più esteso lo spazio. Un’opera di grandi proporzioni come il dipinto Altieri conterrà un vasto angolo di visuale, un primo piano oltremodo profondo, due templi in successione, un grande albero isolato al quale fanno seguito altri con funzione di incorniciatura e uno studio dello sfondo che si svolge in più piani. Un’opera di misure più ridotte, come ad esempio il n. 24, è veduta più da vicino, i dettagli dello sfondo e le figure occupano uno spazio maggiore, il primo piano è direttamente seguito da un semplice spazio da una parte e da un castello che chiude la vista dal ­l’altra. Pur non costituendo una regola matematica, questa norma governa tuttavia ogni composizione, per cui molto si può imparare intorno all’arte della mise en scène di Claudio confrontando opere di diverse dimensioni.

Non meno rivelatore è lo studio dei disegni eseguiti in preparazione dei dipinti. Agli inizi della sua attività non sono numerosi, ma l’esistenza, in qualche caso, di quattro fogli pre ­paratorii per un solo dipinto ci fa pensare che la maggior parte dei primi disegni sia andata perduta. Con il tempo, ogni tela di una certa importanza diviene un’impresa di sempre maggior impegno e il numero dei disegni preliminari giunge sino a otto per dipinto, a detrimento questo degli studi presi da natura. Per la maggior parte sono fogli meticolosamente elaborati, che mostrano un attento studio della composizione. La disposizione generale degli elementi si mantiene spesso inalterata dal primo abbozzo al dipinto, ma la perfezione è raggiunta attraverso vari stadi di sperimentazione. Certi disegni presentano un’apposita quadrellatura che regola l’esattezza delle proporzioni. Nel di ­pinto stesso, Claudio calcolerà ogni linea importante, i limiti delle forme, le intersezioni e le posizioni delle figure secondo proporzioni geometriche elementari, soprattutto mediante la sezione aurea ma anche suddividendo l’altezza e la larghezza in terzi e quarti.

Nei dipinti la figura umana è sempre presente, dapprima di tipo pastorale o, nelle scene portuali, di genere bamboccesco, più tardi per la maggior parte dei casi classica o religiosa. I commenti più volte formulati circa l’incompetenza di Claudio nel dipinto di figura, per quanto comprensibili dal punto di vista poussinesco, non tengono conto della particolare bellezza e della sempre crescente importanza delle figure classiche, di cui questo volume mostra alcuni validi esempi. I pittori pre ­sentati in primo piano in molte opere giovanili figurano quali interpreti simbolici della bellezza, della natura. La dimensione del paesaggio di Claudio è espressa in chiave umana; strade ed edifici ci parlano di una pacifica semplice esistenza; il significato del paesaggio si rivela sempre tramite le figure. Esiste un’in ­trinseca corrispondenza entro il soggetto letterario da un lato, la scelta delle forme e la maniera con cui sono rese dall’altro. Questa relazione proviene ovviamente dal vecchio concetto di decorum, cioè dall’adattamento fra i vari aspetti di forma e contenuto e viene rigorosamente applicata da Claudio, come qualche accenno potrà dimostrarci. La danza di un satiro tra le ninfe si ambienta entro motivi decorativi come un tempio in rovina e i suoi frammenti, un albero sovra ­stante, un pino che incornicia la scena, un ponte arcuato, mentre il combattimento di san Giorgio richiede un solido scenario boschivo, le masse alte degli alberi, un tronco spezzato all’estrema destra. Come regola le scene d’ispirazione ovidiana sono interpretate con un tono relativamente leggero, mentre il Vecchio Testamento suggerisce a Claudio il più austero mondo figurativo. Dal paesaggio che ricrea un episodio del Tasso emerge un poetico contenuto pastorale; il Castello di Psiche evoca il sapore fiabesco dei racconti d’Apuleio. I dipinti tardi di spunto virgiliano sono narrazioni di carattere epico con larghe ondulate masse spaziali. La inconsueta storia di Perseo e l’origine del corallo è ornata del ­l’altrettanto insolito motivo di un arco di roccia.

Con la maturità gli alberi diventano per Claudio il mezzo più espressivo della sua concezione artistica. Ogni narrazione si avvale di uno specifico tipo di albero, il cui contorno si conforma al carattere del soggetto senza che tuttavia si possa parlare di simbolismo del mondo vegetale o di minuziosa de ­scrizione botanica. Solitarie querce maestose poste in partico ­lare risalto alludono a tre eroi del Vecchio Testamento: David, Ester, Mosè con l’arboscello ardente. Conifere dalle nobili forme sono legate a temi classici, particolarmente ovidiani, quali il pa ­store Apulo, lo sbarco di Enea ed Egeria. Rozzi salici selvatici appaiono in temi che implicano dispute, atti di forza, controversie: Labano che discute con Giacobbe, Arianna a Nasso; e così via. Come la varietà nella scelta degli alberi è connessa con i soggetti, il movimento dei tronchi e del fogliame esprime, riflettendole, le azioni dei personaggi. Un bell’albero svettante che viene attraver ­sato da un secondo accompagna la scena di Apollo con Mercurio che ruba il gregge, due alberi contorti testimoniano il dolore di Agar, un albero frondoso circondato da tronchi inclinati e spez ­zati sta a significare che la felicità di Enone e Paride era condan ­nata. Ogni dipinto da luogo a simili osservazioni. La gamma cro ­matica adoperata per le figure segue un significato general ­mente valido: tutto quanto si riferisce alla natura divina o implica un concetto di serenità è reso con la gamma dell’az ­zurro, la potenza dell’amore con il rosso, la magnificenza con il giallo, la sottomissione con il viola, la speranza e la condi ­zione servile con il verde, e così di seguito. Le figure secon ­darie sono rese con toni sommessi. Nell’Imbarco di sant’Orsola di fronte a una veduta esatta del castello di Civitavecchia, la figura della santa è vestita di giallo, il gran sacerdote nel dipinto del Vitello d’Oro sarà violetto, Galatea nei toni del bianco. Essendo opera dell’uomo, gli edifici hanno minore affinità con i temi; tuttavia si notano facciate a bugnato ru ­stico connesse solamente con i temi gravi di Ester e di Agar, costruzioni ornate fanno la loro apparizione in soggetti di carattere classico, templi in rovina nelle composizio ­ni pastorali. In Enea che visita Delo gli edifici sono ideati con lo stesso carattere sereno di cui è impregnato l’epi ­sodio, mentre nel comparabile scenario di Didone ed Enea presentano un aspetto diverso in accordo con il significato più drammatico sottinteso nella vicenda.

L’accordo tra le figure, il tipo di paesaggio, il linguaggio degli alberi, l’architettura e i valori coloristici fanno delle ope ­re di Claudio altrettanti paysages moralisés intuitivi. Ad ecce ­zione di talune opere giovanili, le figure, lungi dall’essere ab ­bellimenti facilmente sostituibili, sono elemento d’importanza vitale alla comprensione del paesaggio, del quale risultano quasi esserne l’umana personificazione. È evidente che questa indi ­vidualizzata concezione artistica implica uno scambio creativo entro l’artista e il committente illuminato â— problema che si comprende maggiormente approfondendo lo studio delle opere. Al pari dei più grandi pittori della sua epoca, Claudio lavo ­rava solo su commissione. Le dimensioni e il soggetto del di ­pinto venivano determinati in accordo con l’acquirente per il quale il tema dell’opera poteva avere un significato personale. Più che per la maggior parte degli altri artisti, ci è rimasta per Claudio una fonte diretta di informazioni riguardo i com ­mittenti nel Liber Veritatis, uno splendido volume di disegni ora al British Museum, nel quale il Lorenese copiò circa due ­cento dei suoi dipinti dal 1635 sino alla fine della sua vita, quasi sempre facendo menzione del cliente o del luogo cui erano destinati. Dal 1635 al 1650 egli eseguì una cinquantina di opere dirette a Parigi, città che mai visitò, in parte com ­missionate tramite agenti; altrettante rimasero a Roma. Col passare degli anni Claudio conquistò la clientela più interna ­zionale e, diversamente da Poussin, fornì dipinti quasi esclu ­sivamente alla nobiltà. Ad ogni nuova elezione pontificia si veniva a formare tra i membri della famiglia papale e i car ­dinali una cerchia rinnovata di committenti, che sostituiva la precedente emulandone il mecenatismo con rapida competi ­zione. Urbano Vili ordinò che gli fossero dipinte due delle località da lui predilette e una scena pastorale che presen ­tasse punti di contatto con i suoi scritti poetici. Gli eremiti, i santi e i temi religiosi apprestati per il re di Spagna fanno parte di un vasto programma decorativo progettato per gli eremitaggi nel parco del Buen Retiro a Madrid. Per il cardi ­nale de’ Medici, generale della flotta toscana, Claudio dipinse un porto di mare con la villa Medici. L’appassionato umanista, poi cardinale Massimi, scelse argomenti classici, il vescovo di Montpellier volle il sermone sul monte Tabor e la storia di Ester. Altro tema che direttamente riflette la disposizione d’ani ­mo del committente è lo stoico Davide eseguito per Agostino, nipote di papa Chigi.

Più ancora per l’epoca tarda, la comprensione delle opere può essere approfondita dalla conoscenza delle vicende perso ­nali di importanti committenti come il vescovo van Halmaele e il principe Colonna. Partendo da questa premessa, il sog ­getto del primo dipinto Altieri ci appare come una puntuale trasposizione in termini classici della situazione del commit ­tente: un padre cauto nel negoziare un ambizioso matrimonio per il proprio figlio. E ancora, nel Battesimo dell’eunuco la metafora biblica bene si adatta alla posizione del cardinale Spada il quale terminava proprio allora la sua missione evan ­gelizzante, svolta durante la nunziatura in Piemonte. Passando in rassegna gli illustri personaggi che furono in contatto con il Lorenese, ci si avvede come le opere di maggior importanza fossero loro esclusivo appannaggio e che solo in un secondo tempo l’artista si sia indotto a riadattare in proporzioni minori e semplificate per altri clienti talune composizioni di maggiore successo.

Un altro principio dell’arte di Claudio che non può essere studiato a fondo nelle tavole a colori della presente pubblica ­zione si riferisce ai pendants. Circa la metà dell’intera sua produzione, com ­prese tutte le opere importanti, era realizzata in coppia: ideati insieme i pendants sono della stessa misura, hanno eguali pro ­porzioni interne e medesima altezza d’orizzonte, composizioni e atmosfera contrastanti, luce proveniente da lati opposti, temi di natura simile e significativi punti di contatto. Ciascun di ­pinto rimane un’entità in sé ma presenterà un piano legger-mente asimmetrico nella composizione, guadagnando importan ­za solamente nella complementare unità della coppia. In pratica tale unità va elaborata, con grande varietà da caso a caso. Un frequente esempio di pendants giovanili è quello in cui una scena di porto e un paesaggio si corrispondono in ogni detta ­glio. Più tardi le affinità si arricchiscono maggiormente dal punto di vista poetico e diventano più sottili sia nei riguardi della composizione come nella resa atmosferica. Sino al 1660 le scene mattutine e serali si alternano con grande regolarità; più tardi predominano le visioni mattinali. I temi tragici ed eroici come il Parnaso richiedono l’atmosfera pura di un sereno e fresco mattino, scene piacevoli e felici come il giudizio di Paride o la visita di Bacco consentono una rappresentazione ambientata in un colorato tramonto. Gli eroi del Vecchio Testamento e la presenza di Cristo suggeriscono quasi sempre la mattina. Se la maggior parte dei porti giovanili sono rappresentati al tramonto, quelli della maturità con scene d’imbarco sono descritti nella luce del mattino.

Le tavole a colori con particolari dei dipinti mostrano molto meglio delle parole gli elementi su cui si fonda il valore e la qualità dell’opera di Claudio e cioè la bellezza dell’esecuzione, la compattezza della pennellata sino al dettaglio, la ricca so ­stanza cromatica. Nonostante il notevole livello di rifinitura, si può sempre avvertire il tratto del pennello. Claudio era un infaticabile artigiano alla ricerca del più alto grado di perfe ­zione, a tal punto che il suo amico Sandrart ebbe a dire che a volte il lavoro di due settimane risultava a stento visibile. Ed è proprio per questo che i problemi di attribuzione, posti più tardi dall’esistenza di innumerevoli imitatori, possono essere risolti per la maggior parte sull’evidenza della diversa esecu ­zione.

Infine, si dovrebbe almeno far menzione di un aspetto del ­l’arte di Claudio non ancora preso in considerazione: i suoi disegni di natura che formano uno dei più brillanti capitoli nella storia di questo genere. Ne rimangono delle centinaia quasi tutti databili prima del 1645. Incominciati come studi presi dal vero, spesso eseguiti con la difficile tecnica del bistro, appaiono tanto spontanei da sembrare appartenere a un mondo diver ­so da quello dei dipinti. Ma ad un’analisi più attenta anch’essi si rivelano pittoricamente composti secondo una gamma ric ­chissima di modulazioni, adattati allo spazio esiguo dell’im ­magine, condotti sino alla fine come opere autonome, anche se adeguandosi al piccolo formato i motivi e i piani spaziali risultano meno numerosi. Sebbene Claudio non si sia avvalso mai direttamente dei suoi disegni per l’esecuzione dei dipinti, il disegno deve aver significato molto per lui: un impulso ap ­passionato allo studio della natura, ma anche un’emotiva libe ­razione dal rigore della pittura, un costante rinnovarsi alla fonte dell’ispirazione, una proprietà privata i cui prodotti ge ­losamente collezionò per se stesso, mentre doveva staccarsi dai dipinti.

Messi a confronto con l’opera di un artista, vorremmo na ­turalmente conoscere che tipo di persona egli fu. Non dobbiamo certo immaginarcelo rozzo uomo di paese, come troppo spesso si è preteso. Quasi illetterato, si volse allo studio di temi clas ­sici, edificando da sé, straniero a Roma, la sua fortuna dai più umili inizi sino ad un indiscusso successo. La sua fama, fiorita in un ambiente in cui la competizione professionale era for-tissima, lo portò a grande familiarità con cardinali, papi e principi. Celibe, abitava nel quartiere degli artisti, dei quali specie negli anni giovanili amava la compagnia; conobbe Poussin, ebbe un domestico, Giovanni Domenico Desiderii, che di ­venne pittore, e un unico allievo, Angeluccio; più tardi sua figlia e due nipoti vennero a vivere con lui. La lunga attività artistica gli procurò un notevole benessere, ciononostante visse lontano dal lusso. Il suo testamento ci permette di gettare uno sguardo nella sua vita privata e l’inventario dei beni alla sua morte ci descrive la casa di cui era locatario: cinque stanze su due piani, ricolme di suppellettili domestiche, centocinquanta dipinti per lo più di altri artisti, un clavicembalo, e così via. Ma per ritrovare l’essenza della sua personalità dobbiamo vol ­gerci ai suoi dipinti che, lontano dalla quotidiana banalità, ci trasportano nella sfera dell’ideale.


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Bart