Libri, leggende, informazioni sulla città di LuccaBenvenutoWelcome
 
Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

PITTURA: I MAESTRI: Primo Conti 1913

30 Gennaio 2018

di Aldo Palazzeschi
[dal “Corriere della Sera”, sabato 22 ottobre 1966]

Nel mese di novembre dell’anno 1913 venne inaugurata in Firenze un’esposizione di pittura fu turista.
Se uno mi chiedesse di immaginare un avvenimento che in quel dato ambiente e in quel dato momento potesse rappresentare la cosa più sconcertante e insospettata, più inconcepibile ed assurda, sarei imbarazzato a trovarne uno che le stesse a paragone.

Non si sarebbe potuto immaginare pubblico meno pre ­parato, più refrattario e ostile in modo assoluto per il fatto essere ancorato a forme di un’epoca luminosissima e di. universalmente riconosciuta grandezza, ritenute inamovibili nell’eternità, e divenute col volgere dei secoli, e per l’eccesso dell’uso, formule logore, consunte, vuote d’ogni significato artistico e di poesia.

E nonostante che fosse pas ­sata, in Toscana precisamente, l’eroica pattuglia dei macchiaioli rimasti sconosciuti al pubbli ­co fiorentino e ritenuti dai cosiddetti competenti di allora dei pittorastri che producevano indecifrabili abbozzi non essendo capaci di finire il quadro. Tanto che si poteva trovare ancora in quell’anno, presso qualche rigattiere e per poche diecine di lire, un quadro di Giovanni Fattori o di altro pittore del suo tempo. E proni, parlo sempre di competenti qualificati, davanti a qualche trombonata accademica di grosso cali ­bro, che ogni tanto veniva fuo ­ri a miracol mostrare e che aveva solamente il volume in comune con la grandezza dell’an ­tichità e nulla coi valori e i problemi pittorici dell’ora pre ­sente.

Dell’oramai concluso movimento francese durante il secolo appena trascorso, come già quello toscano più modesto e degli altri paesi d’Europa generalmente nemmeno la puzza. Non crediate che quel pubblico per il quale in fatto di arti figurative pareva essersi fermata la storia e con la storia la vita, fosse poi un frequentatore assiduo e appassionato della Galleria degli Uffizi come della Palatina e dei molti serbatoi trentini della specie, neanche per idea, ma per avere visto dall’infanzia quei capolavori riprodotti sulla vetrina del fotografo e su milioni di car ­toline illustrate, per avere a capoletto una Madonna di Raf ­faello senza conoscerne l’originale, e più ancora per vedere quo ­tidianamente persone che af ­frontavano lunghi viaggi e spendevano fior di quattrini, beati loro, per poterli vedere, erasi formata su quelli un’incrostazione di rettorica intangibile e impenetrabile, che rappresentava per ognuno il dovuto omaggio alla propria persona e una personale benemerenza. Senza contare ­che da alcuni mesi Firenze era diventata il quartiere generale del futurismo per opera di una certa rivista della quale solo la parte meno placidamen ­te addormentata e inconsciamente desiderosa di risveglio, erasi accorta e s’interessava seguendone le polemiche filosofico-letterarie con sapore di scandalo, ma al tempo stesso di una pun ­gente curiosità, e in un atteg ­giamento tutt’altro che amichevole per parte della maggioranza.

Portati sul fatto più facile ed immediato dell’arte figurativa non ci fu cittadino che non cre ­dendo alle voci in circolazione non volesse rendersi conto per ­sonalmente di una tale ignomi ­nia, e non credendo ai propri occhi dopo averla vista.

La radiosa e irradiante capitale del Magnifico Lorenzo era divenuta fra le più sonnacchio ­se città di provincia, tagliata fuori dalle competizioni e le scoperte culturali ed artistiche del proprio tempo e, quello che è peggio, paga e sicura del fatto suo come non altra.

Si capisce come in un ambiente di questo formato a un certo momento debba scoppia ­re una bomba, che infatti scop ­piò e precisamente in un appar ­tamentino di fortuna al piano ­terra di una casa nella popolare via Cavour fra il palazzo di Co ­simo e la Scuola di San Marco, e nel quale venne disposta la prima testimonianza di una nuo ­va pittura, destinata ad un suc ­cesso clamorosissimo ben inte ­so alla rovescia.

In quell’ambiente, assai ri ­stretto, il pubblico si assiepa ­va dalla mattina alla sera ab ­bandonandosi alla più incomposta ilarità; taluno coprendosi con la mano per pudore la boc ­ca, talaltro invece, ratteneva le risate con uno sforzo supremo per esplodere non appena fuori della porta quasi uscisse da un baraccone della fiera dopo aver visto dentro specchi concavi o convessi la propria immagine nelle più comiche deformazioni riprodotta, e stimolando nel modo più irresistibile l’ignaro passante a entrare per godersi la sua parte di allegria. E altro infine che scrutava accigliato, insolente, cattivo, offeso, in ­capace di un barlume di sorri ­so che non fosse avvelenato e che gli usciva di color verde dal ­la bocca. Sentendosi muovere la terra sotto i piedi esprimeva il suo rancore col più feroce di ­sprezzo.

Per tutto il tempo che l’espo ­sizione rimase aperta vi capita ­va quasi ogni sera un giovinet ­to che portava ancora i panta ­loni corti, piuttosto esile e pal ­lido; aveva tredici anni ma ne poteva dimostrare piuttosto do ­dici che quattordici; e il quale a poco a poco aveva fatto co ­noscenza coi vari artisti ed ami ­ci del gruppo e discutendo con loro sui problemi della pittura in generale e più particolar ­mente di quelli che la anima ­vano ed agitavano in quel dato momento: faceva pensare a Ge ­sù quando discuteva fra i dot ­tori nel Tempio, e lasciando tut ­ti in atto di sospensione molto naturale da registrarsi nel clima che abbiamo descritto. Di Boc ­cioni soprattutti si dimostrava interessato e giustamente, la personalità più forte del grup ­po artistico primitivo, e quello che possedeva un temperamen ­to da novatore genuino. E me ­scolandosi a quel pubblico in baldoria, serio, tranquillo, cer ­cando di spiegare il meglio che poteva, cosa ardua per un adul ­to, le ragioni che avevano por ­tato a risultati di quella spe ­cie sia davanti al dinamico ci ­clista o La Materia di Boccio ­ni, come davanti alla sintesi di un paesaggio d’inverno di Sof ­fici e alla Galleria di Milano di Carrà. E quel pubblico, che davanti agli artisti truffatori e bari non si peritava a ridere e sghignazzare, ignorando la più elementare regola dell’arte che allorquando l’artista bara o truf ­fa la sola ed unica vittima è lui stesso, posto di fronte alla innocenza, la parola di un bam ­bino aveva la forza di congela ­re il riso su molte labbra. Tan ­to che al momento della chiusura Giovanni Papini regalò a quel giovinetto, quale ricordo, la riproduzione di un quadro con questa dedica « al più gio ­vane e più intelligente visitato ­re dell’esposizione futurista ».

E siccome il più intelligente visitatore di quella mostra fu il pittore tredicenne Primo Conti, ebbi anch’io il piacere di conoscerlo e di parlare con lui e di essere invitato a visitare il suo studio nella via dei Della Robbia. E il ricordo di quel ragazzino che in pantaloncini corti venne ad aprirmi la porta per mostrarmi la sua opera incise nella memoria un’immagine incancellabile e vagamente misteriosa, venata di una indefinibile malinconia di fronte a un destino che già si annunziava di sempre giovane senza avere conosciuto la giovinezza.

Primo Conti mi mostrava ritratti, nature morte e autoritratti nei quali l’artista pareva vedersi scevro da qualsiasi segno di giovanile giocondità, quasi volendo bilanciare la precoce maturità della mente sull’immaturità della persona, e  dimostrando fino da allora questa apertura sicura verso i nuovissimi problemi dell’arte figurativa, e che formavano l’ambizione e l’ardore di quella giovane schiera alla conquista di nuove, espressioni e di una nuova forma. E fino da allora, pure combattendo anche lui quella battaglia interiore col passa ­to che sull’artista italiano in ­combe con una forza tirannica e non soltanto per la grande ope ­ra ma ancor più per quella dei suoi scaltri e non sempre di ­sinteressati custodi, arbitri del portafoglio borghese che lasce ­ranno intravvedere come una fi ­sarmonica dalla voce incantatrice e l’apertura illimitata, sem ­pre pronti ad uccidere il bue grasso per il ritorno del figliol prodigo alla casa paterna, e ad inghiottirlo affettuosamente fra le loro braccia.

E laddove l’aspirazione di una espressione nuova non era so ­stenuta da quella fede che può animare soltanto una forza na ­tiva, ma rappresentò uno sforzo della volontà, rimarrà facile ar ­retrando sopra una posizione più confacente, comoda e di ­screta, in qualità di artista com ­plementare operarvi magari onorevolmente e con sincerità pure sapendo che la storia non passerà di lì per la ragione sem ­plicissima che di lì è già passata e indietro non torna. E dalla nuova giacitura guarderà poi dall’alto quelle sue prime pratiche e sorridendo quasi per farsi perdonare di una giovanile leggerezza che lo aveva portato a cedere ad una moda fallace e passeggera; ma la vera leg ­gerezza giovanile fu quella di credersi chiamato ad un compi ­to più elevato della propria sta ­tura; e pronunzierà la parola moda con un sorriso di supe ­riorità, quasiché Giotto, Raf ­faello o Cézanne non abbiano rappresentato anch’essi al loro tempo, una moda e quanto mai diffusa.

Primo Conti non rinnega né tanto meno sorride della sua opera giovanile che in piena ma ­turità riafferra per agitarla giovalmente come una fiaccola con sicurezza e baldanza, per quan ­to in età matura non è rasse ­gnato a portare una lanterna, confermando il vaticino di quelli che lo amarono la pri ­ma volta.

 

 


Letto 1002 volte.


Nessun commento

No comments yet.

RSS feed for comments on this post.

Sorry, the comment form is closed at this time.

A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart