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PITTURA: I MAESTRI: Naturalezza di Pierre Bonnard

20 Agosto 2008

di Leonardo Borgese
[dal “Corriere della Sera”, sabato 6 maggio 1967]  

Semplicissime le ragioni per cui, in questi ultimi venti anni, seguitano a crescere la fortuna critica e il valore materiale di Pierre Bonnard. Anzitutto per ­ché si tratta di un autentico e delizioso pittore nativo, istin ­tivo, fresco e giovane come una serena, gioiosa mattina prima ­verile, perché si tratta di un meraviglioso colorista padrone tanto naturalmente di certi ros ­si e arancioni da far innamo ­rare e di certi puri azzurri se ­rafici e naturalmente suoi; mentre altri «grandi », come Picasso, Rouault, lo stesso Matisse, appaiono in confronto assai meno pittori, ma assai meno. E, prima o poi, la gente capisce che, piuttosto, veri pittori debbono chiamarsi, per esempio, Bonnard, Vuillard, Utrillo, Marquet… (Alla mostra di Losanna, 1964, delle collezio ­ni svizzere, la gente vide che il più bel quadro, il più vivo, il più amabile, non era l’Arlec ­chino di Picasso – scelto a or ­nare la copertina del catalogo -, ma probabilmente La tarte aux cerises, un Bonnard del 1908.) E questa elementare, fon ­damentale ragione sarebbe già sufficiente.
Seconda ragione, tuttavia, la costante spontaneità e sinceri ­tà del suo mondo, del suo con ­tenuto poetico, e persino della sua cultura e letteratura, e della sua maniera decorativa, gentilmente e liberamente così legata al gusto generale del tempo, e perfino di quel suo pupazzettismo e cartolinismo; mentre altri «grandi » come Picas ­so o Chagall, per esempio, cer ­cano e vantano originalità, per ­sonalità, modernità con salti continui, con inversioni, con scherzi ed acrobazie da ogni parte, perché insomma non so ­no naturali. Terza ragione è che, quantunque gli piacciano molto le macchie, il colore libe ­ro, diviso, puro, queste sue macchie non vanno però mai a fi ­nire né in un vacuo e svolaz ­zante astrattismo, né in un qualsiasi tachisme, né in quell’assurdo, già per definizione, impressionismo astratto, né in rigide toppe decorative alla Braque, né in sbruffi e bagliori espressionistico-astratti o informalistici. Le macchie di Bonnard non sono mai fine a se stesse e, viceversa, si legano sempre per formare l’oggetto: il paese mescolato con la giu ­sta aria, l’albero col dovuto ver ­de tutto esterno e tutto interno, il cielo con la necessaria luce e anima, la natura morta di frutta o di fiori col preciso ca ­rattere e col preciso posto che tiene nella stanza e nella sim ­patia di chi passa e vede, il vecchio amico nello studio con il buono e fine tono psicologico, l’interno domestico con il quieto, intimo spirito, la figura femminile, vestita o spogliata, con la solita innocente e quasi infantile sensualità. E come la macchia di Bonnard non è sciocca, gratuita, indimostrabile «realtà interiore », cosi il suo oggetto, il suo paesaggio, la sua natura morta, la sua figura non sono mai pretesti alla macchia in sé, autonoma, pura, astratta; e la macchia fa, sì, essi; ma, soprattutto, sono essi a fare la macchia. Le sue macchie non appiattiscono né formalmente, né spiritualmente, né sentimen ­talmente. Bonnard è uno che ha qualcosa da dirci.
Quarta ragione dell’aumenta ­ta fama è, checché si dica, il restare di Bonnard entro la pittura tradizionale e naturale, e perfino entro i temi tradizionali e comuni, magari da Salon. È il rimanere tranquillamente borghese e provinciale, rivoluzionario che lo si voglia. E’ il derivare – come un an ­tico – dai maestri che vennero prima, il ricordarsi del pur «autonomo » colore in alcune donne alla toilette di Degas, o dell’avvicinamento, dell’allarga ­mento, dello sfacimento carno ­so e luminoso, candido e infan ­tile, di Renoir, o della mac ­chia-fiore di Monet; ed è il sa ­per bene – con la modestia del ­l’artista e del tecnico – che un linguaggio non finisce mai nemmeno di per se stesso, e che però si rinnova grazie all’inten ­sità del sentimento morale di chi continui a usare appunto quel dato linguaggio. Quindi, non si può affatto separare e staccare ed esiliare l’immagine dei quadri di Bonnard dal co ­lore che la inventa e che la presenta. E, no, attraverso Bon ­nard non si arriva ai comodi giochetti dell’istinto cromatico senza scopo, dunque, allora, non credibile nemmeno più come istinto, poiché l’istinto è una sorta d’intelligenza e, dunque, nessuno riuscirebbe mai davve ­ro a servirsene e a mostrarlo senza scopo: esiste forse un’intelligenza a vuoto? l’intelligenza non può esistere che a sco ­po morale. E, no no, non si ar ­riva certo disgregando Bonnard a un colore cosiddetto autono ­mo eppure detto anche colore di azione o di protesta e di rivoluzione: azione a che scopo? a vuoto? in folle? come la mac ­chia del Picabia 1916? E non si arriva, dicevamo, agli impia ­stri casuali e ai vari informalismi, che sono i peggiori fra tutti i formalismi, quelli che menano a un fanatico ed estre ­mamente distruttivo nulla.
Non si può isolare a sé il bel colore perché – ripetiamo è trattenuto, è tenuto insie ­me da una forza sentimentale e morale che, anzi, fa essa l’immagine, l’oggetto, la cosà: come non si può trattare il corpo senza l’anima, la materia senza l’energia.
Quindi, ancora, non sembri ozioso insistere sul fatto che Bonnard viene dall’impressionismo, tutto sommato. Anche se, alle volte, debba a Gauguin, a Van Gogh, a Seurat, anche se, talvolta, debba a Ensor, e a Klimt, al Klimt delle macchie in mosaico. Viene dal senso della luce vista aperta, mossa, dominante, e della cosa che, immersa e fusa in quella luce, si anima e vive quasi fosse persona: proprio perché non è che la persona diventi cosa; ma è, piuttosto, che la persona fa diventar persona ogni cosa, e perché la luce stessa, aperta e mossa, la luce posseditrice, vuoi già dire in sé persona, spirito, anima: simile, dopotut ­to, anche in Bonnard tale vi ­sione impressionistica, quan ­tunque in alcuni degli impressionisti, in alcune visioni de ­gli impressionisti, il tempo sia più rapido, il momento, vale a dire, non sia fermato così a lungo e fissato come lo è in Bonnard: e simile, dopotutto, anche in Bonnard, la smaterializzazione degli oggetti, altri ­menti vedremmo un volgare e materialistico astrattismo.
Nato nel 1867, Pierre Bonnard morì nel 1947. Dunque questo anno lo celebrano a Parigi per il centenario. Mentre a Milano la Galleria del Milione – via Bigli, 2 – ci offre un’assai bel ­la mostra di quadri, disegni, litografie; tutto, o quasi, cre ­diamo, proveniente dalla Sviz ­zera. La pittura di Bonnard appena morto non era però tanto amata. Vari critici lo tenevano giù; e Christian Zervos, per esempio – colui che esaltò Pi ­casso quale gran candido – a momenti stronca Bonnard. Zer ­vos non lo vedeva che uno co ­me Bonnard – e come Re ­noir -, con tutta la colta raffi ­natezza della sua arte, appare veramente più candido perfino di un Doganiere Rousseau. Per ­ché solo con l’amore verso la natura vengono e candore e fantasia, e quella giusta astra ­zione data dalla raggiunta unità. Come non vederlo, a pro ­posito ora di unità, e tornando alle macchie, che Bonnard – apparentemente scorretto dise ­gnatore – è, viceversa, insupe ­rabile proprio nel disegno? Os ­sia, nella forma e nell’ordine, nella sintassi, e nel ritmo, che dà alle macchie del colore, a tal mezzo espressivo; con ri ­cordo, se vogliamo, forse più cinese che giapponese. Bon ­nard, gran poeta, gran rima ­tore, grande stilizzatore di que ­ste macchie: che ritrae però sempre dalla natura; che trae dalla natura, diciamo meglio, con spontaneo amore e con giovanile candore fino a tardi.

 

 

 

 


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2 Comments

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 20 Agosto 2008 @ 21:54

    La poesia è capace, attraverso la parola, di produrre colori ed immagini. La pittura, attraverso l’immagine ed i colori, è in grado di produrre poesia. Ma anche la pittura, come dicevamo in altri commenti per la poesia, per essere grande e veramente creativa, deve far emergere soprattutto l’animo dell’artista. L’artista è grande, quando è e rimane se stesso e non si abbandona a frequenti sperimentalismi spesso vacui, ricchi di strane acrobazie e con poca sostanza. Giustamente viene apprezzato ancor più Bonnard, capace di offrire sempre la sua spontaneità, la naturalezza del suo contenuto poetico, l’originalità dei suoi colori, il profondo messaggio delle sue opere
    Gian Gabriele Benedetti

  2. Commento by Bartolomeo Di Monaco — 20 Agosto 2008 @ 23:15

    Qui sono visibili molti quadri di Bonnard:
    http://ricercaimmagini.alice.it/immagini?qs=bonnard&mode=phrase&f=secimm

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