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Rivista d'arte Parliamone
La scampanata, il romanzo di Bartolomeo Di Monaco trasformato in testo teatrale, qui per chi volesse rappresentarlo.

Racconto: Margherita #4/13

6 Ottobre 2008

di Bartolomeo Di Monaco
[Per le altre sue letture scorrere qui. Il suo blog qui.]

Margherita  #4

Sebbene agli occhi della signora Ada, Margherita e suo figlio dormissero in camere separate, tutte le notti Jacopo raggiungeva la compagna. C’era un patto tra i due e Margherita glielo aveva detto con estrema risolutezza: «Io da sola non ci dormo in questa casa. »
                In punta di piedi, con indosso i soli slip, attraversava il grande corridoio e trovava la porta della camera di Margherita socchiusa. Entrava, chiudeva a chiave e d’un balzo era sotto il lenzuolo. Una di quelle notti, Jacopo era preoccupato.
                «Cosa c’è che non va? »
                «Ci sono disordini a Lucca. »
                «Chi te lo ha detto? »
                «C’è scritto sul giornale. »
                «E allora? »
                «Ce l’hanno con gli immigrati. Dicono che se ne devono andare. Hanno bruciato delle baracche. Lucca è diventata una polveriera. »
                «Anch’io me ne voglio andare da questa casa. »
                «Perché? Non stai bene qui? »
                «La tua mamma non mi sopporta. E neanche tu sei più lo stesso. Solo la notte sei carino con me, ma il giorno te ne stai alla larga, come se io avessi la peste. »
                «C’è anche quella a Lucca. »
                «Non dire stupidaggini. »
                «È per questo che i lucchesi non ne possono più. Pensano che sia colpa di quelli delle bidonville. »
                «Ma ci sono anche dei lucchesi nelle bidonville. »
                «Oggi non si sopporta più niente. »
                «E come si fa con la peste? »
                «Bastasse la peste. C’è anche il colera e qualche altra pestilenza che non ricordo. Un vero inferno. Scendere a Lucca è come precipitare in una cloaca. »
                «Lo sa la tua mamma? »
                «Ha letto il giornale. Si sente umiliata. »
                «Si sente umiliata anche a causa mia. »
                «Non è vero. »
                «E invece sì. »
                «Parliamo d’altro. »
                «Ma tu mi ami davvero? »
                «Parli d’amore, quando invece si deve odiare per sopravvivere. »
                «Ecco, tu non mi ami. »
                «E invece ti amo. »
                «Non è vero. Tu hai un’amante anche qui. »
                Alle prime luci dell’alba, Jacopo sgusciò fuori dalla camera di Margherita, e quando scese a far colazione Margherita era già seduta al tavolo.
                «Voglio fare un salto in città » le disse.
                «Io sola qui non ci resto. »
                Salirono in macchina. Jacopo guidava a modo suo, e ancora una volta fu un miracolo se arrivarono alla strada principale sani e salvi. Margherita stette per tutto il tempo zitta. Sapeva che se avesse raccomandato la prudenza, lui avrebbe pigiato ancora di più l’acceleratore. Appena superata la località di Nave, comparvero le bidonville. Jacopo andava a passo d’uomo. Vicino a Sant’Anna vide degli assembramenti. Gruppi di cinesi, di zingari e di arabi confabulavano e parevano attendere un segnale. Avevano nelle mani bastoni, bottiglie, spranghe e qualcuno anche delle pistole.
                Margherita ebbe paura.
                «Ti supplico, torniamo indietro. »
                «No. »
                «Non vedi che è pericoloso? »
                Dalla porta di Sant’Anna videro uscire un folto gruppo di cittadini. Urlavano. Il gruppo dei baraccati si mise in mezzo alla strada, e Jacopo si trovò chiuso proprio nel mezzo.
                «Andiamo via di qui » gridò Margherita. Jacopo infilò una stradina laterale. Parcheggiò la macchina e scese per vedere.
                «Vieni anche tu. »
                «Vai al diavolo. »
                Margherita si tappò gli occhi e restò tutto il tempo sdraiata sul sedile.
                «Morte agli zingari e a tutti i forestieri » urlavano quelli che uscivano dalle Mura. Il gruppo dei baraccati era numeroso, ma sembrava intimorito dalle grida.
                Quando si trovarono uno di fronte all’altro, un immigrato tentò di parlare.
                «Tornatene a casa. Non ti vogliamo qui » lo zittirono.
                «Sono un lucchese come voi » disse un altro baraccato.
                «Peggio per te » gli risposero. Cominciò la zuffa. Alcuni avevano in mano delle taniche e corsero subito alle baracche e sparsero benzina dappertutto, poi appiccarono il fuoco. Tra le fiamme uscirono, gridando e scappando, donne e bambini. Dal gruppo dei baraccati qualcuno cominciò a sparare. Caddero a terra uomini da una parte e dall’altra. La polizia non arrivava.
                «È la fine del mondo » diceva a Jacopo un altro spettatore. «Se continua così sarà una carneficina. Va avanti da un paio di giorni, ed oggi ci sono già dei feriti. »
                «Andiamocene » cominciò a gridare Margherita, che s’era alzata in piedi sul sedile.
                «Vieni a vedere » le rispondeva.  

                «Corriamo a casa mia » disse all’improvviso Jacopo, saltando in macchina, come fosse stato colto da un presentimento.
                «Che hai? »
                «Facciamo presto. Poi ti dico. » Tornato con l’auto sulla strada principale, suonava il clacson per farsi largo, ma doveva faticare le sette camicie per superare i dimostranti, che ancora si battevano. Oltrepassate le case di Sant’Anna, la strada fu più libera; allora accelerò. A Ponte San Pietro, prese la strada per casa sua, e Margherita per poco non sbatté la fronte sul parabrezza quando frenò davanti al cancello.
                «Bastardo » disse.
                Jacopo capì subito cos’era successo. Anche Margherita capì e scese con lui. Salirono la scalinata di marmo bianco ed entrarono senza bisogno di chiavi, perché la porta, come pure una delle finestre davanti, erano spalancate. Dentro, frantumi di vetri dappertutto, e seggiole e mobili sfasciati; quello che i ladri non avevano portato via, l’avevano distrutto. Dell’argenteria, dei quadri, del poco denaro in contanti non c’era più nemmeno l’ombra. Dok, il suo cane, era sparito.
                «Io li ammazzo » gridò Jacopo.
                «Non ci si può fare niente. »
                «Lo dici tu. »
                «Sono dei disgraziati. »
                «Se li trovo, li maciullo. » I suoi libri giacevano sparsi a terra e solo per qualche miracolo ne era rimasto intatto qualcuno. Gli scaffali vuoti davano il segno della barbarie che s’era abbattuta sulla casa.
                «Non fare così » diceva Margherita.
                «Come faccio a lasciare la casa in questo stato. »
                «Chiama la polizia. »
                «Doveva esserci prima la polizia. »
                «Viviamo in un mondo infame. »
                «Andiamocene » Jacopo disse ad un tratto, come se la sua mente fosse stata attraversata da un nuovo pensiero. Si alzò. La prese per un braccio e la trascinò giù per la scalinata.
                Salirono in macchina e tornarono a Sant’Anna. Parcheggiò nel posto di prima.
                «Aspettami qui. »
                «Dove vai? »
                «Non ti muovere. » Sparì nella mischia, e Margherita non riuscì più a scorgerlo, sebbene fosse scesa dalla macchina e si fosse messa perfino in mezzo alla strada a cercarlo. Arrivò buio.
                Jacopo, con in mano un bastone, s’era messo a menar botte anche lui a più non posso contro i baraccati.
                «Siete peggio della peste » urlava.
                «Bravo » lo incalzavano i compagni. Ce ne vorrebbero cento come te, e allora si risolverebbe tutto in quattro e quattr’otto. »
                Jacopo era giunto infine in mezzo alle baracche.
                All’improvviso, dentro una di quelle, si trovò davanti una donna. Stava impaurita seduta sul letto. Lei lo vide e intuì. Si alzò lesta. Afferrò una sedia per difendersi. Era giovane, bella. Jacopo si fermò a guardarla. Ma fu un momento. Le fu addosso. La violentò.
                Quando tornò da Margherita era buio pesto.
                «Ho avuto paura » lei disse.
                «Non mi è successo niente. Torniamo alla villa. »
                E non parlò più.  

                «Quanto tempo dobbiamo restare ancora alla villa? »
                «Non stai bene qui? »
                «È tua madre, lo sai, che mi mette a disagio. Non parla mai con me. Mi evita. »
                «E tu non ci badare. Qui siamo al sicuro. Non hai visto come hanno ridotto la mia casa? »
                «Sei stato alla polizia? »
                «A quelli non gliene frega niente. Eppoi, restando qui, forse scanseremo la peste e il colera. »
                «È un’Italia terribile. Come ne usciremo? »
                «Peggio di così… »
                «Stiamo vicini, Jacopo. Non lasciarmi mai. »  

                Alla villa arrivavano degli ospiti. Jacopo ne parlò con Margherita.
                «Devo andarmene? » domandò.
                «No. Ce ne andremo insieme. »
                La signora Ada era furente. Non riusciva a mandarla giù che Jacopo la lasciasse sola. La sentiva come un’umiliazione.
                «Potremo andare a casa mia » disse Margherita.
                «Non tornare in ufficio, però. »
                «Ma sono parecchi giorni che non mi faccio vedere! »
                Salirono in macchina e si dileguarono. Lungo la strada incrociarono l’auto degli ospiti. I quali suonarono il clacson per salutarli, riconoscendo Jacopo, ma lui fece finta di non sentire, ed anzi accelerò.
                «Che si strafoghino » disse.
                L’appartamentino di Margherita era situato in città. Lui ci aveva dormito già parecchie notti, ed era un po’ come trovarsi a casa sua.
                «Non hai paura della peste? »
                «Staremo rintanati qui e faremo solo l’amore » rispose lui, scherzando.
                Dalla finestra, piccina piccina come sono le finestre delle antiche case di Lucca, salvo quelle dei bei palazzi patrizi, si vedeva la piazzetta dell’Arancio, e lì qualche pittore aveva ancora il coraggio di esporre i suoi dipinti. Jacopo si affacciò già mezzo svestito.
                «È ammirevole che qualcuno pensi che si possa comprare un quadro! »
                Margherita lo raggiunse. Lo baciava sulle spalle, contenta.
                «Perché non stiamo qui per sempre? »
                La sera invece uscirono. C’era poca gente in strada. Faceva senso camminare tra negozi chiusi, dove un tempo si erano vendute merci raffinate e costosissime. Si vedevano saracinesche divelte e qualche porta sbarrata con tavolacci. Le finestre erano quasi tutte serrate, ma si intuiva che da dietro le persiane qualcuno stava osservando la strada.
                «I morti ci spiano » bisbigliò Jacopo, che alzò la testa, e infatti vide un’ombra ritrarsi.
                L’indomani, verso mezzogiorno, andarono con l’auto sul fiume. Scesero l’argine e si sedettero sulla riva. Passavano sul pelo dell’acqua schiume d’ogni colore, macchie d’olio, immondizie.
                «Una volta il Serchio era bello. Ci si nuotava. »
                Margherita era andata a cercarsi un punto dove l’acqua era più bassa. Trovatolo, vi si immerse fino alle caviglie.
                «Che sollievo! » esclamò, e costrinse Jacopo a fare altrettanto.
                «Sarebbe bello fare l’amore qui » disse lui, abbracciandola.
                «Possibile che pensi sempre a quello? »
                Sotto il sole, Margherita riluceva di una bellezza tenera, e brillavano i suoi occhi. Coi piedi nell’acqua, sembrava vivere in nessun tempo, e la sua bellezza pareva la sola rimasta sulla Terra.
                Lei non se ne rendeva conto, non lo sapeva, ma qualsiasi uomo fosse passato da lì, le avrebbe chiesto il suo amore.


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A chi dovesse inviarmi propri libri, non ne assicuro la lettura e la recensione, anche per mancanza di tempo. Così pure vi prego di non invitarmi a convegni o presentazioni di libri. Ho problemi di sordità. Chiedo scusa.
Bart