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Se mi parlate di magistratura…

18 Maggio 2013

Ho pochi capelli, e deboli, tanto che non mi meraviglierebbe se con l’ulteriore avanzare degli anni il mio cranio ne fosse del tutto privato, ma quei pochi e deboli capelli mi si rizzano se mi parlate di magistratura. Pur sapendo bene che ci sono magistrati del tutto ligi al loro dovere e del tutto al servizio dell’imparzialità, tuttavia quei pochi che sgarrano hanno gettato un tale discredito generale che anch’io ne sono stato preso e mi riesce difficile fare qualche distinzione.
Ma devo ammettere che distinzioni ce ne sono. E porto ad esempio il caso Ruby e il processo di Palermo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia.
In mezzo ci sta, però, a smorzare la speranza, il processo Mediaset che ha visto la condanna in appello di Berlusconi. Il teorema che tanto il primo che il secondo grado hanno applicato è il solito che si applica solo a Silvio Berlusconi. Egli, dicono i pm e i giudici, non poteva non sapere che nelle sue aziende qualche dirigente aveva il vizietto di evadere le tasse.

Un teorema che, ad esempio, non si è applicato alla vicenda Penati, il braccio destro di Pierluigi Bersani, quando si sono scoperte le sue magagne. In questo caso si è concesso a Bersani di non sapere. Che cosa abbia di speciale Bersani perché la magistratura lo consideri diverso da Berlusconi, quando la costituzione stabilisce che tutti sono uguali di fronte alla legge, resta un mistero, visto che nessun organo che vigila sull’applicazione delle leggi è mai intervenuto a dare un qualche chiarimento giustificativo, o a sanzionare la discriminazione. Così i cittadini sono portati a dare varie e personali risposte, alcune delle quali perniciose per il prestigio delle istituzioni.
Ma torniamo alle due speranze improvvisamente sorte all’orizzonte, quasi che la famosa nemesi intenda annunciare a tutti noi che non mancherà molto alla resa dei conti nei confronti di coloro che utilizzano la giustizia in modo bizzarro e sorprendente.

Cominciamo con il processo che vede coinvolta la marocchina Ruby. Essa non fu ascoltata nel processo di primo grado che si è concluso alcuni giorni fa con la richiesta di condanna per Berlusconi a 6 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Come è noto, la richiesta di condanna è stata avanza dalla pm Ilda Boccassini, la quale in circa 6 ore di requisitoria non ha portato una sola prova che dimostri che i due reati ascritti all’ex presidente del consiglio siano stati commessi. Ruby ha sempre sostenuto di non avere avuto rapporti sessuali con Berlusconi, ma il giorno in cui avrebbe dovuto testimoniare davanti alla Boccassini si trovava all’estero per cui, alla fine, tanto l’accusa che la difesa concordarono di rinunciare alla sua testimonianza, peraltro resa nei verbali del 2010 e pubblicamente dalla stessa Ruby attraverso la stampa, e soprattutto in quella sua personale protesta davanti al tribunale di Milano, in cui, dichiarando di non essere stata vittima di alcunché, si lamentava di non essere stata sentita dalla Boccassini e dai giudici.

Ma ecco la sorpresa, e dunque la speranza. Il giudice che sta procedendo nella causa parallela che vede coinvolti tra gli altri Emilio Fede e Lele Mora, ha deciso di accogliere la richiesta di Ruby ed ieri le ha consentito di testimoniare. Come sappiamo, Ruby ha scagionato completamente Silvio Berlusconi con il quale conferma di non aver mai avuto rapporti sessuali.
Trattandosi di una testimonianza resa nel corso di un processo parallelo, credo che essa debba essere raccolta dal giudice che si prepara ad emettere la sentenza contro Silvio Berlusconi. Come ci si comporta quando la presunta vittima dichiara che è tutta una montatura e che vittima non lo è   affatto non essendo stato consumato il reato?
Vale più la testimonianza della vittima che dichiara di non essere tale o la requisitoria della Boccassini che, in assenza di prove, filosofeggia e considera Ruby dotata di una furbizia orientale, grazie alla quale – immagino volesse dire – riesce a mentire?
Qualsiasi giudice non potrebbe che accettare, in mancanza di prove certe e contrarie, la testimonianza di Ruby ed assolvere l’imputato.

Ci troviamo in pratica, per esemplificare, in un caso simile a quello in cui un imputato sia accusato di avere ucciso un uomo, di cui però non si è trovato il cadavere. Ad un certo punto la presunta vittima compare e dice: Sono io, e sono vivo. Quest’uomo non mi ha fatto un bel niente. Ma il pm non gli crede e sostiene che stia dicendo il falso poiché dalle intercettazioni telefoniche lo si è sentito preoccupato di essere ucciso dall’amico. Quindi non può che essere un sosia, un mentitore, e dunque l’imputato resta colpevole del reato ascrittogli. Più o meno è quello che accade a Berlusconi, secondo la stupefacente teoria, sconosciuta altrove, che le intercettazioni valgono più della testimonianza della vittima, la quale sostenga che vittima non è e l’imputato è innocente.

Insomma, si dimentica che l’intercettazione non può mai essere una prova, ma deve costituire lo strumento attraverso il quale si può arrivare a scoprirla. Se questa prova non salta fuori, non si può procedere alla condanna e l’intercettazione resterà fine a stessa.
Peraltro, sappiamo bene che si può imitare alla perfezione una voce al telefono ed ingannare l’interlocutore (i casi sono numerosi ed alcuni anche recenti), come pure sappiamo che non è difficile impossessarsi di un cellulare e imitare la voce del suo proprietario, ove occorra.

Ciò per quanto concerne il reato di prostituzione minorile. L’altro reato è quello della concussione, ossia Berlusconi, allora presidente del consiglio, avrebbe fatto pressioni sulla questura di Milano affinché Ruby fosse rimessa in libertà. In questo caso ci troviamo, ancora una volta, alla ripetizione dello schema Boccassini. I dirigenti e i poliziotti negano di aver subito pressioni, e affermano di non aver fatto altro che seguire una procedura consolidata, ma la Boccassini torna a filosofeggiare, supponendoli mendaci.
Anche qui, che deve fare il giudice? Credere al teorema boccassiniano o credere ai concussi che dichiarano di non essere tali?
Come il lettore vede, siamo in presenza di un processo che a definire strano è usare un eufemismo. Il pm dichiara che ci sono vittime di reato e le vittime dichiarano di non essere tali. Un processo assurdo, inconcepibile altrove.
Inoltre: se tanto la Ruby che il personale coinvolto della questura di Milano hanno – secondo la Boccassini – dichiarato il falso, perché non vengono incriminati, come vuole la legge?

La sentenza che condannerà o assolverà Berlusconi sul caso Ruby sarà emessa fra poche settimane. Vedremo quanto peserà – e dovrebbe pesare se la giustizia funzionasse – la testimonianza resa ieri da Ruby.
Questa è la prima speranza che nutro a rimedio della malagiustizia di cui è infetta l’Italia.

La seconda riguarda la trattativa tra lo Stato e la mafia, e richiama in modo assordante la vicenda delle intercettazioni delle telefonate intercorse tra Mancino e Napolitano, oggi distrutte per ordine della cassazione, a seguito della sentenza della corte costituzionale.
I lettori sanno quanto sia rimasto indignato dal comportamento del nostro presidente della repubblica, il quale avrebbe dovuto togliere ogni sospetto di contiguità con la vicenda dell’imputato Mancino. La sua scomposta reazione invece li ha alimentati, talché mi sono convinto che quelle telefonate contenessero qualcosa di “scottante”. Poiché i nastri distrutti sono stati ascoltati da più persone, confido che con il tempo qualcuna di esse porti il loro contenuto a conoscenza dei cittadini, che ne avevano e ne hanno diritto, avendo la presidenza della repubblica un dovere di correttezza e di trasparenza nei loro confronti.
In passato ho rivolto l’invito ad Antonio Ingroia di non aver timori di sorta a rivelare il contenuto di quelle telefonate, poiché la sua rivelazione sarebbe stato un servizio reso al Paese e alla verità. Ma ciò non è accaduto, e mi rammarico del mancato coraggio.

Coraggio da vendere ha avuto ed ha, invece, il suo collega Di Matteo, il quale (conosce anch’egli il contenuto delle telefonate) ha chiamato a testimoniare sulla vicenda nientemeno che Napolitano. Vedremo se Napolitano accetterà o si farà difendere anche questa volta dalla consulta. E soprattutto vedremo quale verità farà emergere, visto che non è pensabile una sua testimonianza mendace. Se non vado errato, Ciampi e Scalfaro si tutelarono dietro il “non mi ricordo”, ma la vicenda delle telefonate rese pubbliche tra Mancino e il segretario giuridico di Napolitano, Loris D’Ambrosio, è di un anno fa e a Napolitano non è consentito lo stesso riparo a cui si affidarono i due ex presidenti della repubblica.
Oltre a Napolitano, Di Matteo e compagni si sono tolti lo sfizio di chiamare a testimoniare anche altri pezzi da novanta, citati nelle telefonate tra Mancino e D’Ambrosio, ossia il procuratore generale Ciani e l’attuale presidente del Senato Piero Grasso, allora procuratore generale dell’antimafia.

Il 27 maggio comincerà il processo, e mi augurerei che i cittadini non si facessero distrarre dai gravi problemi che stanno assillando un po’ tutti, ma prestassero orecchio alle testimonianze e alle dichiarazioni di uomini che stanno al vertice dello Stato. Da quanto diranno sapremo la qualità e la verità su coloro che ci hanno guidato sino a qui.


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Bart