Stato-mafia, Martelli alla commissione: “Scalfaro dominus. Amato mente”11 Settembre 2012 di Redazione Un ex presidente del Consiglio, Giuliano Amato, che mente. E un ex presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, che tramò perché fosse normalizzato il rapporto con la mafia. In quella stagione di stragi e misteri che a distanza di 20 anni è al centro di un’inchiesta e che fa ancora discutere. Sono macigni le affermazioni dell’ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, e dell’ex ministro dell’Interno, Enzo Scotti, alla commissione Antimafia. “Lui era il dominus, colui che regnava”, anche se non isolato ma con “un consenso più ampio… scelse Conso, Amato, Mancino e Capriotti”. Il lui in questione per l’ex Guardasigilli socialista è Scalfaro indicato così come il protagonista della “regia che ci fu per la “normalizzazione del rapporto con la mafia” che, con l’obiettivo di fermare le stragi, passò anche per l’estromissione dall’esecutivo dei “politici che avevano esagerato nel contrasto”. Quella trattativa che è oggetto della indagine della Procura di Palermo e che vede tra gli indagati Nicola Mancino che prese la poltrona di Scotti. In una lunga audizione l’ex delfino di Bettino Craxi Martelli ribadisce il suo j’accuse arrivando a parlare di “capitolazione” di “un cedimento dello Stato più che una trattativa” il tutto “nell’illusione di fermare le stragi”. E di questo disegno Scalfaro fu il regista potendo contare, tra l’altro, su “diversi radar sensibili visto che era stato ministro degli Interni e che conosceva e aveva continuato a coltivare i rapporti”; visto che “il capo della polizia (Vincenzo Parisi che, tra l’altro Martelli accusa di avere avuto un “atteggiamento ondivago” sul decreto con il 41 bis, ndr) gli era devoto”. “Aveva la forza di convincere ma aveva anche un consenso più ampio: Parisi, Capriotti (Adalberto ex direttore Dap, ndr), non voglio dire di Mancino ma penso di sì” e “con il presidente Amato”. Quest’ultimo, nel racconto dell’ex ministro, era fortemente condizionato dall’allora capo dello Stato. “Gli chiesi – fa sapere Martelli – perché sostituiva Scotti e mi disse che era perché glielo chiedevano il presidente della Repubblica e il capo della Dc, gli dissi di opporsi e mi rispose: ‘Non scherziamo il governo non nascerebbe nemmeno se facessi una cosa del genere”. In avvio di seduta Martelli ha anche riassunto quello che fu il suo comportamento di allora. “Non ho mai parlato – ha detto – all’epoca di trattativa e non mi sono espresso così quando parlai con Mancino e gli riferii di unatteggiamento anomalo del capitano dei Ros Giuseppe De Donno che disse, anche a nome di Mori, che avevano agganciato Vito Ciancimino allo scopo di evitare le stragi e ottenere una pista per la cattura di latitanti”. Di questo atteggiamento “anomalo” spiega che informò Paolo Borsellino e Mancino. “Non mi parve – sottolinea – una questione di cui investire il presidente del Consiglio Amato che aveva come priorità la crisi finanziaria”. Sempre da De Donno, prosegue Martelli, venne fatta pervenire in seguito la richiesta di Ciancimino di un passaporto: “Io chiamai il procuratore generale di Palermo Bruno Siclari, dicendogli che a mio parere eravamo fuori dal seminato”, tra l’altro “Falcone mi aveva parlato della pericolosità di Ciancimino (che chiamava il più politico dei mafiosi e il più mafioso dei politici) e quindi concedergli l’espatrio mi sembrava privo di senso”. Siclari fece arrestare nuovamente Ciancimino. Di Amato “non posso accusarlo di spergiuro ma posso dire che ha mentito” sostiene Martelli commentando il fatto che Giuliano Amato in commissione Antimafia ha detto di non ricordare una conversazione in cui riferì a Martelli di presunte pressioni di Craxi per toglierlo dalla Giustizia. Martelli parla di una colazione in cui Amato gli disse della contrarietà di Craxi. “E posso anche citare testimoni – aggiunge -. Se si potesse riattualizzare il giurì d’onore… O forse sarebbe meglio rivolgersi alla procura”. E sarebbe “un’altra bugia” la dichiarazione di Amato di aver scelto autonomamente di dare l’incarico alla Giustizia a Giovanni Conso: “E’ una bugia – sostiene Martelli – perché si sa che è stato scelto da Scalfaro, come Amato. Come è stato scelto da Scalfaro Mancino, come Capriotti al posto di Nicolò Amato”. A conforto di queste affermazioni c’è l’audizione di Scotti: “E’ meglio che non fai più dichiarazioni sulle questioni che riguardano il Viminale. Così mi disse il mio ex capo di gabinetto del ministero dell’Interno a luglio del 1992, il giorno dopo l’assassinio di Paolo Borsellino … avevo dichiarato al Tg1 non si può indebolire la lotta alla mafia”. Alla Commissione parlamentare Antimafia ha ribadito la sua convinzione che fu sostituito perché interpretava la linea dura sul 41 bis e sulla nascita della Dia”. Scotti era stato ministro dell’Interno nel governo Andreotti e in tale periodo, ha ricordato, aveva sostenuto la linea del pool antimafia di Palermo e di Falcone che aveva permesso di celebrare il maxi processo, aveva istituito il carcere duro per i mafiosi (41 bis) e la Direzione Investigativa Antimafia. Si attendeva una riconferma. Invece nel governo Amato, costituito il 28 giugno, fu nominato ministro degli Esteri, e al Viminale andò Nicola Mancino. Lasciò la Farnesina ad agosto, anche se avrebbe voluto dimettersi subito. “Restai al governo 33 giorni solo per senso di responsabilità. Sia chiaro – ha detto Scotti – che il regime del 41 bis fu proposto da me e da Claudio Martelli (che era ministro della Giustizia nel governo Andreotti e non fu confermato nel governo Amato, ndr) e non dai corpi di polizia. Contro il carcere duro per i mafiosi, proposto da Giovanni Falcone, c’era una contrarietà fortissima, anche da parte dell‘opposizione di sinistra che lo considerava incostituzionale, illegittimo, fuori dalle righe, e fece una battaglia in Parlamento. Per capire in qual clima maturò la mia sostituzione bisogna tenere conto di tutto questo e rileggere i documenti e i giornali dell’epoca”. Scotti ha rivendicato di avere chiesto provocatoriamente, prima dell’attentato di Capaci (23 maggio 1992, ndr), ai suoi colleghi ministri del governo Andreotti: “Ditemi se dobbiamo cercare la convivenza con la criminalità mafiosa o se dobbiamo andare allo scontro”. Lui e Martelli, ha aggiunto erano per lo scontro, erano per la linea interpretata da Falcone e dal pool di Palermo che aveva celebrato il maxi processo. “C’era uno scontro politico molto forte fra queste due linee strategiche. Io avevo sposato la linea indicata dai giudici di Palermo. La svolta c’era stata perseguendo non più i singoli reati, cosa che secondo uno studio della Cassazione produceva quasi la totalità di assoluzioni, ma l’associazione mafiosa. L’altro punto fondamentale era stato considerare la lotta alla mafia un fatto permanente, non una emergenza, e quindi cominciare a modificare in questo senso gli strumenti di lotta”. La tesi Scotti è che a giugno del 1992 sarebbe stato opportuno manifestare la continuità dell’azione di governo in materia di sicurezza e di giustizia mantenendo gli incarichi ai rispettivi titolari. “Ma lei – ha chiesto il presidente dell’Antimafia, Giuseppe Pisanu – non si lamentò per lo spostamento agli Esteri? “No, non è mia abitudine lamentarmi. So assumere le mie responsabilità. La questione era sotto gli occhi di tutti. Forse il presidente del Consiglio non leggeva i giornali? E il presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro, ndr) non ha forse visto che il governo sostituiva il ministro dell’Interno e quello della Giustizia”? ha risposto Scotti. Le risulta, ha incalzato, Pisanu, che il presidente della Repubblica si sia adoperato per sostituirla con Nicola Mancino? “Su questo non ho nessuna informazione, nel modo più assoluto”. E con Claudio Martelli ne discusse a suo tempo? “No, ne abbiamo parlato solo di recente, dopo tutte le polemiche che sono nate”. Su queste dichiarazioni arriva un primo commento. ”Le audizioni degli ex ministri Vincenzo Scotti e Claudio Martelli sono state molto utili per fare un altro passo in avanti nella ricerca della verità sulle stragi di mafia e sulla trattativa – dice il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia – Mi auguro che esse incoraggino le istituzioni ad un maggiore impegno, per fare piena luce sul periodo che va dal fallito attentato dell’Addaura alla cattura di Riina. E’ necessario, inoltre, allargare lo spettro, per capire se la trattativa ebbe inizio già prima della strage di Capaci e per delineare la ricomposizione dei rapporti mafia-politica nel passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. La commissione Antimafia deve andare avanti con questo taglio di inchiesta, senza guardare alle appartenenze, ma col solo obiettivo di far emergere le responsabilità politico-istituzionali”. Crisi greca, Atene agli sgoccioli tenta la carta dei danni (tedeschi) di guerra Che i denari “riparatori” dei danni post secondo conflitto mondiale non fossero mai arrivati nelle casse di Atene era cosa risaputa. Ma adesso, alla vigilia dell’ultimo report della Troika che potrebbe anche mettere fine alle speranze di salvataggio del Paese, il ministero delle Finanze greco vuole fare sul serio per ottenere quel risarcimento. Lo scrive, oggi dopo mesi di petizioni e richieste da parte di varia stampa internazionale, anche il Financial Times Deutschland secondo cui il vice ministro dell’Economia greco avrebbe istituito un gruppo di lavoro per valutare i documenti ufficiali presenti negli archivi storici. E con essi (i risultati tecnici sono attesi per la fine dell’anno) proporre ai rappresentanti di Bce, Fmi e Ue una sorta di integrazione al pacchetto di salvataggio contenuto nel memorandum. I fatti: Hitler invase la Grecia nell’Aprile 1941, saccheggiandola e devastandola in lungo e in largo. Ha scritto la Croce Rossa Internazionale nel suo rapporto ufficiale sulla questione che tra il 1941 e il 1943 almeno 300.000 cittadini greci morirono letteralmente di fame, in virtù proprio di quelle razzìe da parte dei tedeschi. Inoltre sia la Germania che l’Italia, oltre a pretendere cifre elevatissime per le spese militari, ottennero forzatamente dalla Grecia anche quello che venne definito un prestito d’occupazione, consistente in 3,5 miliardi di dollari. Lo stesso Fuhrer riconobbe in quella circostanza il valore legale del prestito e avallò il risarcimento. Ma alla Conferenza di Parigi nel 1946 qualcosa andò storto e alla Grecia furono riconosciuti 7,1 miliardi di dollari come risarcimento, invece dei 14 richiesti. E mentre l’Italia ripagò regolarmente la propria parte del prestito, la Germania si rifiutò costantemente di farlo. Come se le riparazioni post belliche non fossero necessarie. Ma a quanto ammonta oggi quella cifra? Prendendo come metro di valutazione l’interesse medio dei Buoni del Tesoro americani dal 1944, (il 6%) ballerebbero cifre enormi: 163,8 miliardi di dollari per l’occupazione 332 miliardi di dollari per i danni. E secondo un rapporto redatto nel luglio del 2011 dall’economista francese Jacques Delpla, la Germania dovrebbe corrispondere alla Grecia 575 miliardi, molto di più dei 355 miliardi di euro circa che oggi costituiscono il macigno di debiti sul futuro di Atene. Certo, per dirla con le parole di chi quella richiesta l’ha avanzata molto tempo prima dell’articolo pubblicato sull’edizione tedesca del Financial Times, con petizioni che hanno chiamato a raccolta intellettuali, storici e giornalisti, la Grecia per anni è servita da pied-à-terre mediterraneo con prestiti massicci delle banche, con la telefonia in mano alla Deutsche Telekom, con l’aeroporto di Atene realizzato dai tedeschi, con i trasporti marittimi, con le commesse militari. Kostas Karamanlis, fido alleato della Cancelliera ha comprato 170 carri armati Leopard, 223 cannoni di seconda mano, 4 sottomarini della ThyssenKrupp (di cui uno che pendeva a destra). Mica due Cinquecento e un paio di Panda. Consola che oggi il governo di Atene stia almeno provando a rialzare la testa affidandosi alla storia. Ma certificando di fatto una scomoda oggettività: che alternative praticabili non ve ne sono. Letto 1291 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||