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STORIA: Angelo e Nuska

8 Febbraio 2011

di  Costanza Caredio

Nel febbraio 1993 l’Associazione Italia-Israele di Lucca, presentava Angelo Fanucchi, e Nuska Hoffman perché raccontassero le loro esperienze nei campi di concentramento nazisti durante la seconda guerra mondiale. Angelo appartiene ad una numerosa famiglia (12 fratelli) molto stimata e amata in città. Appassionato di teatro come la moglie Anna, insieme hanno avviato generazioni di ragazzi a questa attività culturale. Angelo fu preso dai Tedeschi a 18 anni, nel nord d’Italia, del tutto inconsapevole della situazione creatasi dopo l’8settembre ’43. Fu avviato nel campo di Buchenwald e messo al lavoro nelle squallide strutture che abbiamo visto tante volte in TV. Egli rifuggiva il ricordo di quel periodo che gli procurava ancora incubi notturni. La liberazione degli eserciti alleati, permise a lui e ad altri Italiani internati una fuga cieca verso casa: ma in effetti partirono in direzione opposta, verso l’Ucraina. Angelo e i suoi compagni occasionali erano completamente all’oscuro di quello che li attendeva, incerti anche su quale divisa dovessero indossare per non cadere vittime di vendette. Credo che le sue memorie andrebbero raccolte e preservate.

Nuska era una adolescente tedesca (credo) di religione ebraica. Fu catturata e ristretta nel campo di Theresienstadt. Parlò al pubblico nel grande salone della Provincia, aiutata dal marito Gaio Sciloni, un personaggio del tutto straordinario. Gaio era di famiglia ebraica fiorentina ed emigrato in Israele Nel ’93 era   lettore di lingua ebraica all’università di Pisa: è stato un grande intermediario fra la nostra cultura e quella della sua nuova patria: tradusse i nostri classici per il pubblico israeliano e autori e poeti di successo dello stato ebraico per portarli alla nostra attenzione,   provvide i futuri studiosi di un vocabolario bilingue e, mostrò di amare il nostro paese e di volerne trasmettere la cultura.

Mi regalò un libro da lui tradotto , il cui autore era un israeliano di origine balcanica. Menachem  Shelah.  Il titolo è:”Un debito di gratitudine”, edito dall’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Roma, 1991, ed è un inno di lode e di riconoscenza per il nostro esercito e i suoi capi. In esso si legge: “Gli Italiani presero sotto la loro protezione gli Ebrei nei paesi conquistati nel Nord Africa, in Grecia, nella Francia Meridionale e in Jugoslavia”.

Per contrastare tante denigrazioni e giudizi sommari a nostro carico dovrebbe esser fatto leggere in tutte le scuole e il suo autore e traduttore fatti oggetto della nostra gratitudine.

Interessante anche il rapporto contenuto nel testo, di Himmler al Fuhrer sul suo incontro con Mussolini. Non ne ho mai trovato traccia in altre opere storiche, segno che non è in linea con le versioni ufficiali.

Nuska come paradigma

Nuska Hoffman rimase a Lucca per molti anni dopo la morte del marito Gaio Sciloni; capitava di incontrarla in centro; era una signora d’età, minuta, composta, affaccendata.

L’amministrazione cittadina se ne era fatta carico ed essa rendeva partecipi dei suoi ricordi gli alunni e i visitatori del locale museo di via Guinigi. E quindi la Memoria   divenne istituzionale: ma non quella della guerra di sterminio dell’Europa e di tutti i nostri caduti cattolici e ebrei. Era partita una strategia di copertura, di disinformazione. Si cominciò in Francia con gli attacchi a Pio XII (G.Paris, Le Vatican contre l’Europe, Paris, 1959 ripreso in Italia da C.Falcone: Il silenzio di Pio XII, Sugar, 65): non veniva chiesto di riflettere sui meccanismi e gli interessi che avevano provocato il conflitto e che lo avevano reso infinito e in questo quadro di guerra interminabile va anche collocata la sorte dei prigionieri nei campi.

Da allora il bersaglio preferito è stata l’Italia, indicata come popolo bigotto, incostante, corrotto e ballerino, destinato quindi ad amministrazione controllata. Hanno torto: le guerre erano state sempre fatte da professionisti, i re, che smettevano di combattere quando sapevano di aver perso. Da Napoleone in poi sono state gestite da agitatori politici e avventurieri dei due continenti e ne vediamo le conseguenze.

Parlando all’Università di Gerusalemme nell’agosto del 2009, sulla questione dei profughi ebrei transitati in Italia dal ’20 al ’40 e desaparesitos nelle ricostruzioni ufficiali, l’intento di chi scrive non era solo quello di rivendicare “Italiani brava gente”, ma di riportare l’attenzione sugli interessi reali degli anni trenta: il Medio Oriente e le sue risorse. Mussolini mandò i suoi Ebrei a occupare il territorio e infastidire i padroni inglesi; Hitler, non appena fu al potere, strinse uguale patto con le Comunità nell’agosto del ’33 (vedi alla voce HAAVARA dell’Enciclopedia giudaica), creando una agenzia per il passaggio della proprietà ebraica dalla Germania alla Palestina. L’accordo funzionò fino al ’39, permettendo il trasferimento di ingenti capitali e di circa 60.000 immigrati.

Questa strategia avrebbe evitato la Shoa e dato la possibilità all’Europa di esercitare una influenza positiva, come è nel suo interesse sul lato opposto del Mediterraneo e Nuska e la sua famiglia avrebbero  portato avanti le proprie tradizioni in una società pacificata.


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Bart