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STORIA: Berta figlia di Lotario II e Waldrada (3)

12 Febbraio 2010

di Vincenzo Moneta  

Berta, nata fra l’860 e l’865, era la figlia   di Lotario II re di Lotaringia (825-869) e di una nobile   di nome Waldrada (Friedelfrau o “sposa di gioventù”.[1]
Lotario II aveva poi sposato Teutberga, donna desiderabile per le sue alleanze politiche, ma da cui non aveva avuto figli. Dopo due anni aveva deciso di sciogliere l’unione e sposare: Waldrada, con la quale in precedenza   aveva convissuto e dalla quale aveva avuto tre figli: Ugo, Ghisela e Berta e che quindi voleva legittimare.

                      Prima di tutto cercò di liberarsi di Teutberga accusandola di aver commesso incesto col proprio fratello. Questa riuscì a dimostrare la propria innocenza con un’ordalia.

Ma nonostante questa “prova” Lotario II la fece imprigionare riuscendo così a fargli dichiarare di voler entrare in convento. Ma i vescovi non si mostrarono disposti a sciogliere le nozze e si limitarono ad accogliere la sospensione dei rapporti della coppia.

Alla fine la regina, probabilmente minacciata di torture, confessò davanti ad una assemblea di magnati e di vescovi della Lotaringia e ammise non solo l’incesto, ma un incesto con rapporto ‘inter femora’ che aveva avuto come conseguenza un concepimento e un aborto .

La donna fu condannata ad una pubblica punizione ma, la richiesta di ripudio del re fu rimandata a quando si fosse pronunciato un maggior numero di esperti di diritto canonico.

Il vescovo Incmaro di Reims era uno di questi esperti che rispose alla domanda con un lungo trattato’ De Divortio Lotharii et Tetbargae’ , in cui sostenne che l’incesto era l’unica colpa per la quale poteva essere concesso lo scioglimento dell’unione matrimoniale.

Nel frattempo Tetberga chiese l’appoggio del   papa Nicolò I[2], che mandò due suoi legati a esaminare il caso.

Ma Lotario   riuscì a corrompere i legati ed a farsi concedere l’annullamento del matrimonio per incesto e potĂ© sposare e coronare regina Waldrada.

Papa Nicolò non accettò il fatto compiuto e convocò un sinodo in Laterano durante il quale annullò il secondo matrimonio e impose a Lotario di riprendere la moglie Teutberga.

Lotario II, nel frattempo, aveva riunito un concilio a Metz coinvolgendo i due legati pontifici tra i quali il vescovo di Porto, Rodoaldo.

Le decisioni del concilio,   favorevoli al re, furono inviate   a Roma tramite gli arcivescovi   di Colonia e Treviri.
 Il papa Niccolò, già al corrente dello sviluppo degli avvenimenti si rifiutò di riceverli per tre settimane.

 Li convocò durante un sinodo da lui riunito in Vaticano e dichiarò nulle le decisioni di Metz, giudicando Waldrada una semplice concubina, sulla quale lanciava la scomunica, e Teuteberga l’unica moglie legittima.

Anche i due arcivescovi Guntero e Teutgardo furono scomunicati e deposti,   perché – secondo il papa – non avevano difeso la santità di un sacramento.

Gli arcivescovi chiesero l’intervento dell’imperatore Ludovico II, zio del re Lotario II,   accusando apertamente Niccolò I di abuso di potere.

L’imperatore e la moglie Engelberga, con i due arcivescovi scomunicati, partirono   per Roma   scortati da un esercito.

Niccolò I   si accinse a riceverli preparando una “scena” da funerale.
Era il febbraio 864 e dispose che Roma entrasse in lutto e la città accolse il suo imperatore   con precessioni e digiuni.

Il papa rifiutò di incontrarlo raccogliendosi   in preghiera nella sua residenza del   Laterano e qualificando l’imperatore   Ludovico II come “scellerato ed infesto”.

Le processioni si intrecciavano per le vie di Roma e una fu anche assalita da alcuni baroni dell’imperatore esasperati dai rifiuti del papa di ricevere il loro sovrano; molti preti finirono malconci, croci e stendardi furono distrutti.

Si sparse anche la voce che il papa, sentendosi insicuro in Laterano, aveva risalito il Tevere su una barca e si era rifugiato in San Pietro, digiunando per due giorni interi.

 La situazione insostenibile fu sbloccata dalla mediazione       dell’imperatrice Engelberga   che riuscì a far incontrare il papa e l’imperatore ma ottenendo   solo una riappacificazione  tra loro due, per il resto nulla cambiò.

Gi arcivescovi restarono scomunicati. Lotario II dovette riprendersi Teuteberga, nonostante la stessa regina supplicasse il papa di ritornare sulla decisione e acconsentire al desiderio di Lotario, dal momento che quel matrimonio non le procurava che calunnie.

                      In caso di non applicazione di quanto deciso dal papa, su Lotario incombeva la minaccia di una scomunica.   Per quanto riguardava la scomunicata Waldrada, questa doveva presentarsi   a Roma per essere giudicata.

L’imperatore Ludovico II accettò le condizioni del papa e lasciò la cittĂ  di Roma.
La vertenza era conclusa, perlomeno a livello ufficiale, e comunque tutta la storia di questo matrimonio resta significativa   nel senso che per la prima volta il papato giudicò un re che si trovò inaspettatamente minacciato di scomunica, destino che gli fu risparmiato per la morte del papa, visto che egli subito riprese la sua relazione con Waldrada.

Il successore di Niccolò I, il papa Adriano II,   si dimostrò meno intransigente verso Lotario II e Waldrada.
Waldrada fu liberata dalla scomunica, a condizione di astenersi da qualsiasi rapporto con Lotario II.

Il papa accettò la   proposta dell’imperatore Ludovico II di un incontro a tre fra lui, il nipote Lotario II e il papa stesso. L’incontro si svolse a   Montecassino   nel luglio 868.

Lotario II giurò che non avrebbe continuato la sua relazione con Waldrada, rispettando l’unione con la moglie Teuteberga, nonostante la stessa sovrana avesse fatto presente al papa che molto piĂą opportuno sarebbe stato sciogliere quel matrimonio e liberale lei dalla vita infelice a cui era costretta.

A Montecassino il papa stesso impartì la comunione a Lotario e si mostrò fiducioso, pur rimandando una decisione definitiva sulle questioni coniugali ad un sinodo che si sarebbe dovuto svolgere a Roma, Ma un mese dopo questo incontro, Lotario II moriva a Piacenza improvvisamente e le due donne della sua vita finivano ambedue in convento.

La risonanza di questa questione ebbe eco e portò avanti la controversia tra il clero e i nobili che si sentivano ostacolati dalle regole religiose nella loro funzione decisionale verso le spose.


[1] Le popolazioni germaniche che invasero l’impero adottavano diversi tipi di unione – la Muntehe, la Friedelehe, il concubinato e il ratto. Il matrimonio legale, o Muntehe, era l’unico a produrre effetti giuridici quali la legittimitĂ  della prole e quindi la designazione degli eredi ma,   a differenza del matrimonio romano, era tutt’altro che fondato sul consenso dei contraenti. La decisione spettava unicamente alle famiglie, in particolare al padre che concedeva solennemente la figlia al marito designato. Il promesso sposo avrebbe ricevuto dal padre il Mundium della futura sposa contro la somma di denaro pattuita.
Il Mundium  era il potere, simboleggiato dalla mano, che il capofamiglia esercitava sugòi inermi – donne, bambini e schiavi – che vivevano sotto la sua protezione. Il prezzo nuziale – pretium nuptiale franco, wittimon burgundo e meta longobarda – veniva pagato pubblicamente   dal marito in occasione della traditio, cioè il trasferimento della ragazza dalla dimora paterna alla nuova casa. Con quel gesto si sigillava l’accordo raggiunto, la creazione del legame e il trasferimento del Mundium.
Essi non “compravano” una moglie come fosse una capo di bestiame o una schiava, compravano il potere sulla donna, il diritto di esercitare la loro protezione su di lei, senza per questo annullare le sue capacità giuridiche.
 Presso le popolazioni germaniche si poteva sposare una sola donna con il Mundium.
Ma esisteva anche un’ altra forma di unione, la Friedelehe, a lungo riconosciuta come del tutto legittima nell’aristocrazia franca o longobarda. Sposa di second’ordine, ma pur sempre onorevole, la Friedelfrau era una giovane di rango libero, spesso proveniente da un’ottima famiglia, che veniva scelta e designata ufficialmente. Tuttavia, per lei lo “sposo” non pagava il “prezzo nuziale” (nĂ© piĂą tardi, avrebbe costituito il dotalicium che lo costituì) proprio perchĂ©, a differenza di quanto accadeva nel matrimonio legale, non vi era alcun trasferimento di Mundium. La celebrazione di questo tipo di matrimonio, sicuramente piĂą consensuale, si svolgeva quindi in una sola sequenza incentrata sull’unione carnale: la Friedelfrau  – o sposa di pace – veniva condotta pubblicamente in casa del marito, introdotta nel talamo nuziale e, l’indomani mattina, anche lei riceveva la Morgengabe, quel “dono” che faceva di lei una vera sposa, una uxor, distinguendola nettamente da una semplice concubina. I figli che nascevano da questo tipo di unione non godevano tuttavia dei pieni diritti, in particolare successori, riservati esclusivamente alla moglie legittima. Chabot   Isabelle,”Lui, lei, le altre”, sta in Medioevo, pagg.103-108, n. 12 (47) 2000, De Agostini Rizzoli periodici, Milano.

[2] Il papa Niccolo I incarnò il concetto di papa   come capo al quale re, imperatori, vescovi e preti   dovevano obbedire. Il mondo intero doveva   ricevere le direttive esclusivamente dal   papato; il sovrano poteva essere il beneficiario di un potere politico ma doveva rispondere al papa, come il vescovo o il prete nel campo religioso.
“Tutto l’ordine sociale e religioso del mondo dipendeva dal papato di Roma: così Niccolò I concepiva il ruolo dell’istituzione, ed in tale spirito egli governò”, come osserva Walter Ullmann.
Approfittando in concreto della debolezza dei discendenti carolingi il papa affermò concretamente la sua funzione di capo politico e religioso e l’imperatore dovette accontentarsi di far da spettatore alla vittoria del papa.
Egli fu senz’altro il creatore del papato medievale; a lui faranno capo papi come Gregorio VII o Innocenzo III.
In questo periodo si mantenne inscindibile il concetto dell’unitĂ  inscindibile di Stato   e Chiesa, ovvero di uno stato clericale.
Un’applicazione concreta di questo concetto si aveva nella condanna del “divorzio” per usare un termine moderno, ma che allora piĂą che altro si definiva “ripudio” da parte del marito nel confronto della sposa, anche se non erano infrequenti casi di abbandono del “tetto coniugale” da parte delle donne.
GiĂ  Benedetto III aveva avuto infatti occasione di condannare Ingeltrude, per aver abbandonato il conte Bosone.
Nicolò I ebbe modo di far trionfare il concetto del sacro vincolo del matrimonio nei confronti di Lotario II, nipote dell’imperatore Ludovico II.

Vincenzo Moneta
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2 Comments

  1. Commento by Carlo Capone — 12 Febbraio 2010 @ 09:36

    Una legittima domanda che si pone il lettore appassionato: ma tutta quesya gente   (Lotario II,   il Papa, i   Vescovi di Colonia e Treviri, Roadoaldo di Porto)   quando si incontravano   che lingua parlavano?

    Una recente indagine ha a ppurato che Cerlo Magno si esprimeva in un tedesco rozzo e arcaico ma, ad esempio, Rodoaldo del Portogallo?

  2. Commento by Vincenzo Moneta — 12 Febbraio 2010 @ 10:18

    Secondo me il latino. Quando si parla in altre occasioni (nello specifico della lettara di Berta al califfo di Baghdad) della lingua dei Franchi ci si riferisce al latino.

    Grazie per tutte queste precisazioni.

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