STORIA: I MAESTRI: Come nacque il fascismo in Europa
11 Luglio 2008
di Leo Valiani
[dal “Corriere della Sera”, venerdì 28 agosto 1970]
II XIII Congresso internazio nale di scienze storiche, tenu tosi nei giorni scorsi a Mosca, non ha avuto l’adesione della maggioranza degli storici in glesi. A loro avviso, espresso subito dopo l’invasione della Cecoslovacchia, la tragedia di Praga avrebbe dovuto indurre gli storici dei paesi democratici a non partecipare a riunioni indette nell’URSS. Quest’atteggiamento non trovò però il consenso degli studiosi d’altri paesi. Per cominciare, proprio gli americani si pronunciarono per l’andata a Mosca e hanno finito col recarvisi anche alcu ni inglesi.
Di fatto, mentre la protesta, morale, che gli inglesi intende vano esprimere, era ed è sacrosanta, l’andamento del Con gresso storico ha smentito le loro preoccupazioni pratiche. Non vi è mancata la propa ganda politica, che era peraltro presente anche nei prece denti congressi, così a Stoccol ma dieci e a Vienna cinque anni fa, ma il dibattito s’è svolto civilmente anche sugli argomenti più attuali e scot tanti. Franco Venturi, per esempio, nella discussione sulla storia del movimento socialista europeo dopo il 1914, ha di chiarato che Lenin aveva avu to torto di parlare di banca rotta dei partiti socialdemocra tici occidentali. I sovietici, che alla celebrazione del centenario di Lenin dedicarono parecchi discorsi, gli replicarono, ma con urbanità.
Grazie agli sforzi degli organizzatori sovietici, dal punto di vista materiale il Congresso ha rappresentato un successo. I delegati erano oltre tremila, ma tutti i problemi logistici, così come quelli della tradu zione simultanea dei discorsi in varie lingue, e via dicendo, furono egregiamente risolti. Ec cessivo è risultato invece il nu mero degli argomenti all’ordi ne del giorno.
Gli storici italiani, rappresen tati dal professor Morghen nel Comitato internazionale che presiede a questi congressi, era no venuti molto numerosi a Mosca. Fra i relatori figurava no Sestan, Treves, Arnaldi, Berengo, Diaz, Imberciadori, Manselli e chi scrive. Un gruppo di studiosi italiani, guidato da Valsecchi, ha concordato coi colleghi russi un nuovo incon tro storiografico italo-sovietico, da tenere nel settembre del 1971.
Paradossalmente, tolto lo scri vente, gli italiani non inter vennero nella discussione del tema di storia contemporanea che ha suscitato maggior inte resse e passionalità: il fasci smo. La relazione di base, del l’ungherese Lackò, un marxi sta scevro da preconcetti orto dossi, era dedicata soprattutto ai fascismi nell’Europa centro-orientale. La correlazione dell’americano E. Weber e gli interventi d’altri « esperti » die dero al dibattito una problematicità drammatica. Lackò aveva considerato il fascismo come l’espressione della crisi del tradizionale regime borghe se fra le due guerre mondiali.
A differenza del liberalismo, i movimenti fascisti s’erano re si conto che si trattava, nell’Europa centrale ed orientale (per l’Europa occidentale La ckò stesso ammise che la questione si poneva diversamente), d’una crisi del sistema econo mico individualistico, e non sol tanto del sistema politico par lamentare. Soprattutto là dove le masse rurali vivevano anco ra entro rapporti di produzio ne largamente precapitalistici, i movimenti fascisti, dando la colpa dell’immiserimento al ca pitalismo ebraico, riuscirono a fare breccia nel proletariato agricolo. Ciò si verificò in Romania ed in Ungheria, ma, come ha precisato la dottores sa Klingenstein, anche nelle zone agricole arretrate dell’Au stria, rimaste parzialmente fuo ri del giro dell’economia di mercato.
Da queste constatazioni We ber ha tratto una teorizzazione del carattere fondamentalmente anticapitalistico del fascismo, assimilabile, a suo dire, come un « fratello nemico », al comunismo, per la sua opposi zione totale, rivoluzionaria, al vecchio sistema sociale e poli tico. I sovietici protestarono veementemente, ricordando gli immensi sacrifici sostenuti dal la loro patria nella guerra con tro le potenze fasciste, reazio narie e razziste. Weber, natu ralmente, non intendeva con testare l’imponenza e l’impor tanza decisiva dello sforzo bel lico dell’URSS. Il suo problema era di spiegare perché in tanti paesi, compresa la Romania, da cui la sua famiglia è ori ginaria, il movimento fascista abbia saputo sollevare l’entu siasmo di gran parte della gio ventù. Senza negare il peso del nazionalismo, sottolineato già da Lackò, che offriva ai mo vimenti fascisti molto maggiori possibilità di diffusione di quan to l’internazionalismo non po tesse offrire al comunismo del l’epoca, Weber ha messo l’accento sulla novità che, in quan to promessa di sostituzione in blocco della vecchia e screditata classe dirigente e d’instaurazione d’un ordine nuovo fon dato sulla solidarietà nazionale, il fascismo significava agli oc chi dei giovani.
A nostro giudizio, il limite dell’analisi – a tratti brillan te – di Weber è nella sua generalizzazione dei casi estremi: la « guardia di ferro » romena, le «frecce » ungheresi e la «si nistra » del nazional-socialismo tedesco. Gli autentici nazional socialisti (la cui ispirazione ve niva da Berlino, più che da Ro ma) in Ungheria e in Romania non giunsero al potere prima della guerra. Rimanendo parti ti d’opposizione, potevano dare pieno sfogo alla loro demago gia anticapitalistica, tanto più redditizia in quanto che i parti ti comunisti erano illegali, e i partiti socialdemocratici erano deboli, per la esiguità della clas se operaia industriale in Ro mania e per le ripercussioni del la sconfitta della rivoluzione proletaria del 1919 in Ungheria.
Quanto alla Germania, inve ce di guardare solo allo ster minio finale degli esponenti delle vecchie classi dominanti, che Hitler effettuò dopo l’at tentato del 20 luglio 1944, si dovrebbe ricordare anche lo sterminio della « sinistra » na zionalsocialista, effettuato sin dal 30 giugno 1934, cioè dopo che la crisi economica, che ave va dato il potere ai nazisti, era stata superata.
Ma, soprattutto nell’Italia che al fascismo diede pur sempre i natali, la situazione era diver sa. Per l’origine dei suoi fon datori, proprio il fascismo ita liano avrebbe dovuto essere anticapitalistico. Mussolini era stato il capo della frazione di estrema sinistra del partito so cialista e molti dei suoi came rati della vigilia venivano dal sindacalismo rivoluzionario. Il fascismo italiano trovò però la sua prima base sociale nei con tadini, proprietari, fittavoli o mezzadri della Val Padana, ben radicati nell’economia di mer cato e aventi alle loro dipen denze della mano d’opera sala riata, che aveva strappato gros se conquiste (giudicate eccessi ve da chi doveva sopportarne l’onere) nelle agitazioni del 1919-’20. A più forte ragione gli studenti che ingrossarono nel 1921 i fasci non nutrivano per il capitalismo italiano l’odio che gli studenti dell’Europa orien tale nutriranno, in condizioni di gravissimo dissesto economi co, per il capitalismo che giudicheranno antinazionale. Il fa scismo trasse vantaggio in Ita lia non dalla crisi del capitalismo, ma dalla crisi del movi mento operaio socialista che, con troppi scioperi, s’era iso lato dai ceti medi e aveva lo gorato la propria capacità di resistenza. I vent’anni di dit tatura mussoliniana, la cui ap parente potenza giovò sicura mente alla diffusione del mito fascista in tutta l’Europa, rappresentarono il governo della « destra » fascista, che dovreb be essere studiata non meno della «sinistra ».
A siffatte argomentazioni We ber replicò dichiarando ch’egli giudicava atipico, dovuto prin cipalmente all’opportunismo di Mussolini, il ventennio italia no. A suo parere Mussolini avrebbe rivelato i propri auten tici sentimenti soltanto a Salò. La divergenza è rimasta a que sto punto.
Un altro argomento ha pro vocato vivaci contrasti. Due sto rici romeni, Jon Oprea e Eliza Campus, presentarono una re lazione sulla sicurezza collettiva fra le due guerre. Essi rivaluta rono la politica estera di Titulescu, la Piccola Intesa, la So cietà delle Nazioni. Gli storici delle nazioni che erano state « revisioniste » nei confronti dei trattati di pace del primo dopo guerra non hanno mancato di criticare questa impostazione, mettendo in rilievo le ingiustizie subite dalle minoranze naziona li e la contraddittorietà del pat to della Piccola Intesa, operante nei confronti dell’Ungheria, ma non nei confronti della Germa nia. Uno studioso danese ha os servato che la Piccola Intesa si sfasciò perché né i paesi che la componevano, né la Francia, che la proteggeva, erano dispo sti a correre sul serio i rischi che la sicurezza collettiva implicava. La risposta romena fu che, nonostante tutto, la politica da loro difesa era l’unica che avreb be potuto garantire l’indipendenza di tutte le nazioni, grandi e piccole.
Non possiamo parlare né del le sezioni di storia antica, medievale e moderna, né delle molte sezioni collaterali. In quelle di storia contemporanea i punti di vista nazionali hanno avuto un’eco particolare. I pun ti di vista internazionali erano dati per scontati, anche se per la vastità geografica dei suoi te mi, abbraccianti la storia di tut ti i continenti, il Congresso ha segnato un distacco dalla tradizione eurocentrica.
Fra i giovani ascoltatori russi sembra che la relazione che ha destato la più vivace curiosità sia stata quella dell’americano Pipes sui pensatori nazionalisti della Russia ottocentesca. Se questo ritorno in auge dei punti di vista « nazionali » abbia o meno un qualche nesso con la prevalenza, almeno apparente, nella sezione metodologica, del la concezione strutturalistica ri spetto alle concezioni ideologiche, nelle quali noi stessi siamo ancora cresciuti, costituisce ma teria di meditazione.
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Commento by Gian Gabriele Benedetti — 13 Luglio 2008 @ 23:03
Tematica di estremo interesse, quella trattata da Valiani. Comunismo, Nazismo, Fascismo sono argomenti che ancor oggi suscitano grandi dibattiti, sempre aperti ed accesi. Tuttavia si deve ammettere che vi è spesso un modo esasperatamente di “parte” nel trattare la storia di quei movimenti ideologici e di massa, che hanno caratterizzato (e caratterizzano, in alcune parti del mondo, ancora, purtroppo) i nostri tempi.
Tento anch’io un’analisi, sia pur un po’ “arruffata. Partirei dal Comunismo, per sottolinearne i gravi aspetti negativi. Si tende a dimenticare, ad esempio, che Stalin (dittatore rosso, tristemente famoso) fu alleato dei nazisti tedeschi, quando, d’accordo con gli stessi per trarne vantaggi, fece soccombere nel sangue la libertà della Polonia. Si dimenticano i milioni e milioni di morti (tra questi contadini!), provocati da quel regime, che si basava, a parole, sulla supremazia del proletariato (ma quale proletariato?). Si dimentica che i comunisti hanno sterminato un milione di Ebrei. Si cerca di “ammorbidire” l’esistenza dei tremendi “gulag” e dei manicomi “politici”. Si trascura la pesante e drammatica situazione, in cui si sono trovati i paesi assoggettati all’imperialismo sovietico. E che dire del disastro economico provocato? E si potrebbe continuare, tra le nefandezze, trattando di ulteriori regimi comunisti sparsi nel mondo. Tuttavia bisognerebbe tener presente che una bella fetta di responsabilità della nascita del Comunismo, europeo e non, spetta alle potenze alleate occidentali, che avevano sottovalutato tale pericolo e si erano comportate con troppa, incomprensibile leggerezza. Inoltre l’Occidente non ha tenuto, allora, per niente conto della situazione drammatica e di grave difficoltà, nella quale si trovava il ceto operaio, i più poveri.
Ed il Nazismo? Terrificante, ingiustificabile, sanguinaria dittatura, con degli scopi e principi (chiamiamoli così) aberranti. Il Nazismo, insieme col Fascismo nostrano (tutt’altro che “tenero” in tal senso) ha dato vita al più orribile conflitto mondiale ed ha compiuto esecrabili, inconcepibili, barbari abomini nei confronti del genere umano. Non vi è giustificazione, sia pur minima, che valga a scagionarlo o a scusarlo, se non raffigurarlo con una forma di pazzia, che vedeva ciecamente coinvolti alcuni popoli, specie quello tedesco.
Per quanto riguarda il Fascismo di casa nostra, anche se non è arrivato alle nefandezze naziste, pur colpevolmente giustificandole, assomma gravissime colpe e innumerevoli crimini che la Storia e l’umanità hanno nettamente condannato e condannano. Certo bisogna anche qui analizzare, perché nacque tale regime in Italia. Non scevra di colpe fu la Socialdemocrazia del tempo. Essa, talvolta incerta e confusa, talaltra troppo radicalizzata, non seppe esprimere adeguatamente i suoi principi, i suoi valori ed il suo credo tra la gente, soprattutto nel ceto medio-alto. Quest’ultimo, allarmato per il troppo ideologismo, espresso da quel movimento politico, che tendeva ad esasperare la situazione di giuste richieste con lotte a volte eccessive, gli voltò le spalle. E pensare che Mussolini era un socialista, e di sinistra!
Il discorso è ampio e di non facile indirizzo risolutivo, al fine di fare un quadro il più obiettivo e chiaro possibile. Credo ci vorrà ancora molto tempo e soprattutto meno demagogia da una “parte” e dall’ “altra”. E più senso vero della Storia, senza troppi ed inutili “campanilismi”.
Il dibattito è aperto
Gian Gabriele Benedetti