STORIA: Giorgio Pisanò: L’eccidio di Porzus
18 Settembre 2021
(da -Giorgio Pisanò: Storia della guerra civile in Italia. 1943-1945)
Nel libro “Storia della guerra civile italiana. 1943-1945”, Giorgio Pisanò riporta il testo di una pubblicazione intitolata “Porzus 1945” edita dalla Democrazia cristiana di Udine nel giugno 1965 in cui si ricostruisce la tragedia che vide i partigiani comunisti massacrare i partigiani della Brigata Osoppo d’ispirazione laica, socialista e cattolica. Era il 7 febbraio 1945.
Il diverbio nacque dal fatto che il PCI era favorevole a lasciare agli jugoslavi non solo le terre dalmate e istriane ma anche il Friuli e parte del Veneto orientale, “fino al Tagliamento”. A ciò si opponevano gli “osovani”.
Il comandante della Osoppo era Francesco De Gregorio, detto “Bolla”, zio del famoso cantante che porta il suo nome.
Tra gli osovani massacrati (una ventina in tutto), era anche il fratello di Pier Paolo Pasolini, Guido, detto “Ermes”.
Il processo che ricostruì gli avvenimenti si tenne presso la Corte d’Assise di Lucca nell’ottobre del 1951.
A questo link troverete altri dettagli.
Ma ora leggiamo quanto fu scritto nella relazione della Democrazia cristiana, così come riportata da Pisanò, che con il documento che si leggerà all’inizio fuga ogni dubbio sull’ordine che fu dato dall’alto ai brigatisti rossi di eliminare gli osovani. (bdm)
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« Gli atti di sabotaggio, la cattura e l’uccisione di osovani isolati, il saccheggio dei loro depositi viveri, la diffamazione, la persecuzione degli amici e dei simpatizzanti, tutto s’infranse contro l’appassionata volontà degli osovani di servire la libertà.
« Il destino volle che le formazioni di “Bolla”, per la zona che occupavano e per i compiti da assolvere, fossero le più esposte alla malevola considerazione dei capi politici garibaldini e che “Bolla” stesso fosse l’uomo che più frequentemente dovette impersonare la comune fierezza degli osovani contro la prepotenza degli avversari, i quali lo reputarono un tale ostacolo alla realizzazione dei loro piani da poterlo debellare soltanto con la morte. Così infatti fu deciso in alto loco.
« Viene da chiedersi come mai le formazioni slave, che pur commettevano continui soprusi, non condussero con le loro truppe un’azione di forza per ripulire la zona da quegli ostinati italiani, ma invece si servirono dei garibaldini. La domanda è molto logica, ma altrettanto semplice la risposta. Se così fosse accaduto, gravissime sarebbero state le ripercussioni in campo internazionale e gli slavi avrebbero irrimediabilmente compromesso quanto era loro in animo ottenere,
« Una volta deciso dall’alto di far piazza pulita dei “reazionari” italiani assediati nelle malghe di Porzus, la macchina dell’eccidio si mise in moto.
« Ecco l’ordine (la maiuscola è mia. Nd.r.): “CARI COMPAGNI, VI TRASMETTO PER L’ESECUZIONE, L’ORDINE PERVENUTO DAL SUPERIORE COMANDO GENERALE. PREPARATE 100-150 UOMINI, COMPLETAMENTE ARMATI ED EQUIPAGGIATI CON VIVERI A SECCO PER 3-4 GIORNI, DA PORRE ALLE DIPENDENZE DELLA DIVISIONE GA- RIBALDI-NATISONE, OPERANTE AGLI ORDINI DI TITO.
« “VI RACCOMANDO LA PRECISA ESECUZIONE DEL PRESENTE ORDINE CHE È DI CARATTERE DI ESTREMA IMPORTANZA PER IL PROSSIMO AVVENIRE. NON APPENA GLI UOMINI SARANNO PRONTI, MI AVVERTIRETE IMMEDIATAMENTE.
« “PROVVEDETE A ESEGUIRE RAPIDAMENTE E COSPIRATIVAMENTE. GLI UOMINI DOVRANNO SAPERE SOLO QUANDO SARANNO IN VIAGGIO. QUANDO VERRí’ DA VOI, E CIOÈ TRA QUALCHE GIORNO, SPIEGHERí’ MEGLIO OGNI COSA.
« “RICORDATE CHE NE VA DEL BUON NOME DEI GAP E CHE È COSA DELLA MASSIMA IMPORTANZA.
« “L’ARMATA ROSSA GLORIOSA AVANZA E I TEMPI STRINGONO. FRATERNAMENTE.
« “ULTRA”.
« Ad Orsaria, infatti, negli ultimissimi giorni di gennaio, in casa di Basso Arman soprannominato il “Gobbo” di Orsaria, presidente del Comitato di Liberazione locale rappresentante del PCI, convennero gli immediati mandanti e coloro che avrebbero dovuto comandare la spedizione.
« Erano presenti “Franco”, “Ultra”, “Ferruccio”, “Giacca” “Valerio” e “Marco”.
« Ad Orsaria fu stabilita la combinata azione alle carceri di Udine, che avrebbe dovuto servire come schermo al reparto di “Giacca”, fu suggerita la scaltra scelta di “Dinamite” per la sicura riuscita dell’inganno teso agli osovani, l’accurata preparazione degli uomini, la tempestiva predisposizione dei viveri e dei mezzi di trasporto per il ritorno, la cura nel non far trapelare alcunché ad estranei circa l’obiettivo della spedizione, l’accorto svolgimento di ogni particolare diretto a facilitare l’aggressione, rendere difficile ogni difesa delle vittime e salvaguardare la sicurezza degli esecutori. Dopo questa riunione, “Giacca”, “Valerio” e “Marco”, rispettivamente comandante, commissario e capo di S. M. della brigata GAP, si prestarono a formare il reparto che avrebbe dovuto compiere l’azione. Questo battaglione sorse improvvisamente il 2 febbraio e fu sciolto pochi giorni dopo l’azione di Porzus. Buona parte dei componenti erano di Ruttars, cioè della zona di influenza del centro di mobilitazione della divisione “Natisone”.
« Il 6 febbraio venne impartito l’ordine di agire e i prescelti furono convocati al Bosco Romagno. Qui i comandanti misero al corrente i reparti sul vero scopo dell’azione avvertendoli, pena sanzioni gravissime, che se interrogati da estranei durante il tragitto avrebbero dovuto rispondere che erano diretti per una azione in Carnia o in Austria, mentre invece, in prossimità delle malghe, avrebbero dovuto fingersi degli sbandati fuggiti a un rastrellamento e da un treno che li deportava in Germania.
« Dopo le raccomandazioni, il reparto (composto da 30-32 uomini di “Giacca”, da 30 selezionati della “la brigata GAP” e della brigata “Amor” composta di uomini di Ruttars), forte di 100-110 uomini, si mosse alla volta di Porzus. Tra i gappisti del “Ciclone” c’era “Dinamite”, il quale assunse la guida della formazione. Egli doveva essere il cavallo di Troia della spedizione.
« Conosceva molto bene la zona e la dislocazione delle malghe, ma soprattutto conosceva “Bolla” e tutti gli osovani, perché spesso, per incarico della missione inglese, si recava a Porzus per prelevare esplosivi che dovevano servire ai sabotaggi. Costui, nel piano dell’esecuzione, aveva l’importantissimo compito dell’inganno.
« Alle 12,30 del 7 febbraio la colonna passò nei pressi dell’abitato di Porzus dirigendosi verso Nord, dove a circa un’ora e mezzo di cammino si trovano le malghe. Poco sopra l’abitato gli assalitori s’imbatterono in un partigiano osovano, “Atteone”, figlio di una maestra di Faedis e laureato in medicina. Fu fermato, un capo controllò i documenti, quindi gli ingiunse di scendere in pianura e mantenere il silenzio. Costui, invece, una volta libero, scese in paese e, temendo che quelli potessero andare a dar fastidio al comandante “Bolla”, raccolse armi automatiche, organizzò una piccola squadra e li seguì alla volta delle malghe.
« Intanto la colonna di “Giacca”, che procedeva verso Nord percorrendo un sentiero sul displuvio, venne avvistata da una pattuglia osovana, che però non riuscì per la distanza a identificarli. Informato immediatamente, “Bolla” non si mostrò molto preoc-cupato, sapendo che proprio in quei giorni dovevano arrivare alle malghe i rinforzi. Tuttavia, per misura prudenziale, dispose che tre uomini della prima malga si portassero al posto avanzato con l’incarico di meglio osservare la colonna.
« Questa, procedendo nella sua marcia con in testa “Dinamite”, si avvicinò al costone Est del Carnizza, e quando fu a tiro utile, venne fermata dal posto avanzato osavano. Ad un solo uomo in funzione di parlamentare fu permesso di avanzare sino alla selletta. Costui, ben conosciuto dagli osovani, fu “Dinamite”, il quale avvertì che si trattava di sbandati, sfuggiti parte da un rastrellamento e parte da un treno che li deportava in Germania. Disse che aveva avuto l’incarico di guidarli al sicuro presso comandi partigiani di montagna, dove avrebbero potuto trovare ricovero e protezione. Aggiunse che si trattava di elementi appartenenti sia all'”Osoppo” che alla “Garibaldi” e che desideravano parlare con il comandante “Bolla”.
« “Aragona”, osovano del posto avanzato, si portò immediatamente alla seconda malga per riferire al comandante ‘Bolla’ quanto accadeva e questo, rassicurato dalla preserva di “Dinamite”, incaricò “Enea” di andare ad accogliere gli sbandati per vedere che cosa si poteva fare in loro aiuto. Nel frattempo la colonna degli assalitori, per non rimanere allo scoperto su di un costone assolutamente spoglio ed in vista della pianura, chiedeva agli uomini del posto avanzato, d’aver libero il passo per inoltrarsi in zona protetta. Quelli, ormai rassicurati, non ebbero difficoltà a concederlo, anzi li scortarono fino alla prima malga, dove subito dopo arrivò “Enea” inviato da “Bolla”. “Giacca” però, appena vide spuntare da lontano “Enea”, essendo da lui ben conosciuto, per non destar sospetti con la sua presenza, si nascose con gli uomini di Ruttars dietro la malga. Sul davanti invece si accrocchiarono i finti sbandati con “Dinamite”, il quale ripeté all’inviato di “Bolla” le assicurazioni già date in precedenza.
« “Enea”, come prima operazione, decise di separare gli uomini a seconda che dichiaravano la loro appartenenza alle formazioni osovane o garibaldine, volendo trattenere i primi e inviare gli altri al comando garibaldino di Canebola, distante circa venti minuti di sentiero. Contemporaneamente inviò a mezzo di “Aragona” un biglietto a “Bolla”, avvertendolo di quanto egli si accingeva a fare e pregandolo di venire sul posto per rendersi conto e dargli una mano. Una quindicina di dichiarati “garibaldini” finsero di allontanarsi verso Canebola. Il messo inviato a “Bolla” era scomparso alla vista oltre il Toplj-Uork e i pochi osovani con “Enea” attendevano, nell’interno della malga, il loro comandante.
« A un segno prestabilito, “Giacca” e gli uomini di Ruttars sbucarono dal loro nascondiglio e unitisi agli altri che a crocchi si trovavano davanti alla malga ingiunsero il “mani in alto!” spianando le armi. Anche il gruppo che aveva finto di avviarsi verso Canebola ritornò precipitosamente a dar man forte. Dopo questa rapidissima azione, “Giacca” dispose gli uomini per la cattura di “Bolla” che avrebbe dovuto giungere da un momento all’altro.
« Infatti, poco dopo, accompagnato da “Centina”, spuntò in distanza “Bolla” ed allora, per non destare sospetto, dalla stalla fu fatto uscire “Tin”, il quale sotto la minaccia di una rivoltella puntata alla schiena, avrebbe dovuto fingere d’intrattenersi amichevolmen-te con i finti sbandati sul davanti della malga, per rassicurare “Bolla” e “Centina”. Come i due giunsero ai primi gruppetti di “garibaldini”, furono circondati, disarmati e avviati verso la malga vicina. “Centina” però, che nel tentativo di ribellarsi aveva ricevuto un pugno, fingendo di reagire spiccò un salto verso l’aggressore e continuò, zigzagando, per la china nevosa. Raggiunto dalle raffiche, ma non in parti vitali, riuscì a scomparire dalla vista degli assalitori.
« “Giacca”, prima di accingersi ad interrogare “Bolla” per sapere l’ubicazione del bunker dov’erano custodite le armi e i viveri, diede istruzioni a una quarantina di uomini per l’assalto alla seconda malga e la cattura di tutti gli osovani del presidio. Questi, del tutto ignari di quello che stava accadendo, sedevano attorno al fuoco, e perciò furono circondati e prelevati con facilità. Gli osovani radunati sul davanti della malga sotto i mitra puntati dovettero assistere allo strappo e all’insulto del tricolore che sventolava sul tetto; quindi fu loro comandato di portar fuori dal comando tutto il materiale esistente. Mentre erano intenti a questo lavoro, un garibaldino di guardia avvertì che in prossimità della malga vi era un insolito movimento. Allora due dei suoi gregari partirono a quella volta facendosi precedere come scudo da un prigioniero osovano “Cassino”, sulla schiena del quale puntarono le armi. Dietro la terza malga c’era infatti un portatore osovano in compagnia di un ragazzotto di diciassette anni, Comin Giovanni, il quale, fuggito da una tradotta tedesca che lo trasportava in deportazione in Germania, aveva chiesto di essere arruolato nell’“Osoppo” e stava recandosi da “Bolla”. Il Comin, impaurito dall’apparizione dei garibaldini, tentò di fug-gire, ma fatti pochi passi fu raggiunto da alcune raffiche mortali.
« Intanto dalla quarta malga, al rumore degli spari, uscirono gli ultimi quattro osovani. “Ermes” e “Roberto”, rassicurati dalla presenza di “Cassino” si avvicinarono ai garibaldini e furono catturati; gli altri due, compresa la situazione e senza essere notati, ap-profittarono del bosco vicino per mettersi al riparo. Intanto il conducente, privato del mulo e del carico, fu lasciato libero perché “Cassino” e i due, appena arrestati, assicurarono che era un civile non legato alle formazioni osovane.
« L’operazione poteva dirsi riuscita. Tutti gli uomini e il materiale asportato dai depositi venne fatto confluire alla prima malga dove si trovava il grosso della colonna “garibaldina”.
« “Bolla” ormai sentiva vicina la sua ora, pur tuttavia cercava di rincuorare i suoi soldati a cui venne chiesto se preferivano restare con il comandante o seguire i garibaldini. Dovette essere questo un momento di grande drammaticità. .Quei ragazzi affezionati sentivano incombere sui due comandanti un tragico destino, ma non si sentivano di abbandonarli.
« Li soccorse ancora una volta il buono e generoso “Bolla”. Egli intuì il drammatico imbarazzo e li rincuorò: “Andate, andate pure con loro, basta che combattiate per l’Italia”. Ad uno ad uno gli osovani si avvicinarono a “Bolla” e ad “Enea” in un commovente abbraccio. Erano circa le 17 e già si annunciava il buio. Caricato il materiale saccheggiato sulle spalle dei prigionieri, venne formata la colonna per scendere in pianura. L’operazione non era però finita. Circa venti garibaldini, con a capo “Giacca”, rimasero alla malga e dopo non molto furono udite delle raffiche. Era la fine di “Bolla” ed “Enea”. I loro corpi vennero poi trasfigurati, pugnalati e sputacchiati.
« La colonna dei prigionieri, aperta da “Cassino”, si incamminò verso la selletta del Cornizza, dove si incontrò con “Atteone”, anche egli fatto prigioniero mentre tentava di portare aiuto al comandante “Bolla”.
« Verso le 9 del mattino successivo, dopo una lunga marcia, arrivati al posto di blocco di Spessa di Cividale, gli osovani furono accolti dagli insulti e dalle beffe dei “garibaldini” rimastivi, i quali invece si complimentarono con i gregari per aver finalmente preso “quei figli di papà, capitalisti, fascisti, badogliani”.
« I prigionieri furono tutti condotti al comando del battaglione “Giotto”, dove vennero suddivisi in senso che si decise di lasciarne una parte nello stesso battaglione, per avviare l’altra all'”Ardito”.
« “Cassino” rimase al “Giotto” con “Flavio”; “Cagliari”, “Massimo”, “Aragona”, “Guidone”, tutti furono sottoposti separatamente ad interrogatorio da parte di “Silvestro” e da un altro, desideroso di sapere cosa si faceva al comando di “Bolla”, chi lo frequentava e dove aveva la sede la missione inglese. Terminati gli interrogatori tutti furono condotti a dormire. Il mattino dopo cominciarono ad aprirsi alcuni vuoti tra gli osovani. Per primi furono portati via “Toni” e “Portos”. Li trasferirono al battaglione “Ardito”, dove verso mezzogiorno li raggiunse anche “Cassino”; ma colà la sosta fu brevissima perché quasi subito furono prelevati. Ma prima di essi era stato portato via “Barletta” che aveva la scabbia; lo prelevò personalmente “Giacca” ed egli non fu più rivisto da nessuno.
« Poi fu la volta di “Cammarata” e “Cariddi”. Nel pomeriggio giunse “Silvestro” che portò “Cassino” al comando del “Giotto” dove arrivò nel momento in cui si stava portando via gli altri verso il Bosco Romagno. Gli era stato detto che erano avviati al comando della divisione, ma dei disgraziati (che anziché essere avviati a qualche reparto, furono fucilati) non ebbe più alcuna notizia. “Cassino” rimase facendo un po’ di tutto: lo spaccalegna, il cuciniere e il porta armi, fingendo, pur di salvare la pelle, anche di stare al gioco dei “garibaldini”. Rimase al battaglione fino alla Liberazione, dopo essersi trasferito con il “Giotto” nella zona di Novacuzzo, colà sospinto da un rastrellamento in grande stile intrapreso dai cosacchi ».
Questa è la verità sulla strage di Porzus, una delle pagine più infami della guerra civile in Italia, perché conferma come i comunisti, che monopolizzarono e guidarono la stragrande maggioranza delle bande partigiane in Italia, agissero non in funzione della libertà e degli interessi nazionali, ma al servizio di ideologie e interessi stranieri, in netto contrasto con le esigenze della Nazione
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