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STORIA: I MAESTRI: Anna Anderson non è Anastasia

23 Giugno 2011

di Vittorio Brunelli
[dal “Corriere della Sera”,  mercoledì 18 febbraio 1970]

Bonn 17 febbraio, notte.

In teoria Anna Anderson può ancora sperare di essere riconosciuta un giorno come l’ultima figlia dello zar Nico ­la II; in pratica la sua storia può essere considerata con ­clusa, almeno dal punto di vista giudiziario, dopo decen ­ni di polemiche e di processi. La corte federale tedesca di Karlsruhe ha convalidato og ­gi la sentenza del 28 febbraio 1967, pronunciata dal tribu ­nale di Amburgo, secondo la quale la donna non può ac ­campare alcun diritto sulla parte dell’eredità dei Romanov attribuita alla principes ­sa Irene d’Assia e trasmessa, dopo la sua morte, alla du ­chessa Barbara del Mecklenburg. Se invece che negativa la sentenza amburghese fosse stata positiva, Anna Ander ­son avrebbe potuto aspirare all’intera eredità dei Romanov â— denaro e preziosi di valore incalcolabile â— che diverse fonti affermano essere conservata nei forzieri della Banca d’Inghilterra. Secondo la voce popolare, interessi for ­midabili avrebbero impedito ad Anna Anderson di entrare in possesso del favoloso pa ­trimonio.

Giunte le cose a questo punto, non è più possibile sceverare la verità dalla mi ­stificazione nella drammatica vicenda che, secondo gli stre ­nui fautori del preteso buon diritto di Anna Anderson, ebbe inizio nel castello di Jekatennenburg la notte del 17 luglio 1918, quando la famiglia imperiale russa fu massacrata dai rivoluzionari boscevichi. Dopo qualche tempo da quell’evento una ragazza sostenne a Berlino di essere la granduchessa Anastasia, l’ultima figlia dell’ultimo zar di tutte le Russie, e di essere miracolosamente sopravvissu ­ta alla strage.

Molte persone le credettero, persino alcuni parenti « occi ­dentali » dei Romanov, ma non le riuscì mai di provare quel che affermava. Si disse anzi che « la ragazza di Ber ­lino » fosse solo una povera contadina polacca di nome Franziska Schanzowski, nata a Borek nel 1896, ma anche questo tentativo di identifi ­cazione â— che si basava an ­che sull’evidente rozzezza del ­la presunta granduchessa â— non ebbe un successo defi ­nitivo.

Nel 1928 â— dopo che i gior ­nali di tutto il mondo aveva ­no già pubblicato le storie più romanzesche e fantasiose e si erano avventurati in rivela ­zioni sempre più contraddit ­torie, a base di fughe nella steppa e di nobili sacrifici di fedelissimi ufficiali della guar ­dia imperiale di Zarskoje Selo â— la contadina-granduchessa comincio arbitrariamente a farsi chiamare Anna Ander ­son. Dopo varie e complicate vicissitudini si rifugiò in una villa della Foresta Nera, isola ­ta dal mondo, dove riceveva visite misteriose di nobili rus ­si: i curiosi erano tenuti in rispetto da grossi e ferocissi ­mi bracchi siberiani. Qualcu ­no, in qualche modo, pensa ­va al suo sostentamento e pagava le sue spese, non sem ­pre modeste.

Due anni fa l’anziana signo ­ra â— che adesso afferma di avere sessantotto anni, e non settantaquattro, quanti ne avrebbe Franziska â— si sposò con lo storico dell’arte ameri ­cano John Manahan e si tra ­sferì, armi e bagagli, a Charlottesville (Virginia), chiuden ­do la villa in Germania. Da pochi mesi il tribunale am ­burghese le aveva negato sod ­disfazione respingendo le sue pretese sull’eredità dei Romanov.

I giudici le ricordarono di non aver voluto mai contri ­buire sul serio all’accertamen ­to della sua identità perso ­nale in tempi (gli anni Venti) in cui ciò era ancora possi ­bile; di aver respinto, nel ­l’ospedale berlinese dove era stata ricoverata il 17 febbraio 1920 (e quindi, esattamente, mezzo secolo fa), le persone che andavano a visitarla, fino al punto di tirarsi le coperte sulla testa se qualcuno riusci ­va ad entrare nella sua came ­ra (allora si diceva che essa: â— pescata dai poliziotti berli ­nesi nel Landwehrkanal â— non fosse completamente in sé); di non aver voluto colla ­borare con la giustizia duran ­te i processi; di non aver mai voluto provare con esattezza la sua conoscenza della lin ­gua russa (pare che cinquan ­tanni fa parlasse innegabil ­mente con un forte accento polacco); e così via.

Anna Anderson era ricorsa alla corte federale, sostenen ­do che i giudici di Amburgo fossero incorsi in un vizio procedurale non avendo ap ­profondito a sufficienza la sua storia e i suoi rapporti, per esempio, con la principessa russa Xenia, di sangue reale, che le credeva ciecamente, e con lo storico Gleb Botkin, già medico dello zar, che pure le credeva e che è morto due mesi fa in America. Secondo lei, in sostanza, il tribunale avrebbe dovuto rielaborare ex novo tutto il materiale in ­diziario.

La corte federale â— che non doveva quindi occuparsi della questione di fondo â— ha respinto il suo ricorso, confermando la sentenza am ­burghese: il processo sul me ­rito (ha stabilito) era stato condotto in modo formalmen ­te ineccepibile. Adesso Anna Anderson potrebbe aprire un nuovo procedimento, ma non si crede in genere che abbia l’animo di rimettersi in corsa dopo tante e così dure scon ­fitte.

In mancanza di nuove, au ­tentiche e decisive rivelazioni tutto resterà dunque com’è: nessuno, forse, saprà mai se la sedicenne Anastasia sia stata o no uccisa dai miliziani del soviet di Jekaterinenburg insieme con lo zar Nicola, la zarina Alessandra e i suoi fratelli o sia invece fuggita, come essa afferma, col polac ­co Alexander Ciaikowski. For ­se solo il governo dell’Unio ­ne Sovietica potrebbe dire qualcosa in proposito, ma si ha il fondato sospetto che es ­so non voglia riaprire, per fa ­re un piacere alla signora Manahan, alias Anderson, quel cupo capitolo della sto ­ria della rivoluzione.

Depone a favore della don ­na il fatto che una perizia antropologica del professor Reche, che risale a sei anni fa, e un esame grafologico di un celebre esperto, di no ­me Becker, abbiano soccorso la sua tesi, senonché il tribu ­nale di Amburgo non li riten ­ne decisivi e si pronunciò in senso contrario, come â— ha sentenziato la corte federale -â— poteva fare senza violare le leggi, « secondo la sua scienza e coscienza ». I for ­zieri della Banca d’Inghilter ­ra sembrano dunque desti ­nati a rimaner chiusi.


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