STORIA: I MAESTRI: Caporetto. Non capì mai perché fu sconfitto11 Luglio 2014 di Raimondo Luraghi LUIGI CAPELLO A mezzo secolo di distanza dalla ca tastrofe di Caporetto, la polemica da essa suscitata non accenna a spegner si; si potrebbe anzi dire che negli ulti mi tempi nuovo combustibile è stato messo sul fuoco: talché Caporetto finirà presumibilmente per diventare una di quelle battaglie come Waterloo o Gettysburg, su cui l’ultima parola non potrà mai davvero essere detta. Uno tra i contributi più notevoli al dibattito in corso è il memoriale che il generale Luigi Capello, già comandan te la II Armata, redasse a suo tempo per la Commissione militare di inchie sta che doveva indagare sulle cause prossime e remote del disastro. Oggi il memoriale viene pubblicato egregia mente curato da Renzo De Felice. Il memoriale Capello (cui sono in parte allegati i documenti che l’autore stesso originariamente accluse) si apre con una premessa di carattere generale, in cui i problemi della guer ra sono esaminati con spirito assai largo di uomo che non si fa illusioni: ma che, nello stesso tempo, respinge una visione strettamente militaristica o imperialista della storia. Una con statazione vi è fatta, che avrebbe me ritato più ampio sviluppo, circa il va lore di monito che l’offensiva austria ca del 1916 sugli Altipiani assunse, in quanto rivelò di colpo tutte le debo lezze, tutti gli errori, tutte le lacune nel nostro organismo militare e nella condotta italiana della guerra. Il Capello dedica poi oltre 150 pagi ne a illustrare la situazione esistente nella II Armata prima di Caporetto (« La preparazione ») e non più che una cinquantina, alle vicende della battaglia. Quest’ultima parte, anzi, comprende le pagine meno incisive, più deludenti del memoriale. Nella prima sezione sono analizzate anzitut to le relazioni e i collegamenti tra il Comando d’Armata e quelli dipenden ti (né mancano le critiche, sia pure in genere senza acrimonia: si vedano quelle al generale Montuori e ai sotto posti che, secondo il Capello, si face vano facilmente impressionare dalle difficoltà sino a ridursi a quella che a lui pareva una paralisi intellettuale). L’analisi dello spirito esistente tra le truppe paga lo scotto alla leggenda del tempo circa l’effetto « demoralizza tore » della « propaganda sovversiva »; l’esame dei criteri di impiego dell’arti glieria ci rivela che il tiro di contro- batteria (il più efficace in quella situa zione) non poteva veramente mai es ser condotto a fondo per scarsità di munizioni; che le artiglierie pesanti erano ancora completamente accentra te nella riserva d’Armata (criterio che, negli eserciti più progrediti, era stato abbandonato da quasi mezzo se colo); che l’addestramento del perso nale lasciava quanto mai a desiderare; infine che c’era (nell’Armata come del resto dovunque nell’esercito) una diffusa tendenza a evitare le responsa bilità e a. non assumere iniziative a scanso di « grane ». Capello espone quindi i suoi criteri difensivi che (egli sostiene) consistevano in linea di massima nel tentativo di rovesciare tempestivamente la situazione trasfor mando la difesa in contrattacco. La parte dedicata alla battaglia vera e propria di Caporetto è, come s’è det to, la più povera: mancavano ancora i dati e soprattutto la calma di spirito necessaria a una serena valutazione dei problemi. Essa appare tuttavia corredata da magnifiche carte topo grafiche con schizzi delle posizioni che l’editore ha, con lodevole sforzo, riprodotto. L’impressione generale che si trae dalla lettura del memoriale è che il Capello fosse indubbiamente una personalità vigorosa, intelligente e consapevole: certo una tra le più forti figure di comandanti che il nostro esercito avesse saputo produrre durante la prima guerra mondiale. Ma che anch’egli (come tutti gli altri, del resto, a cominciare dal Cadorna) non abbia veramente mai compreso il si gnificato della battaglia di Caporetto. La lezione che se ne può trarre sta in questo: che da parte tedesca, per la prima volta dopo Riga, furono adotta ti criteri tattici che, sviluppati ulte riormente, erano destinati a rivoluzio nare la guerra di trincea quale era an data delineandosi negli anni 1914-17 e in definitiva a liquidarla completamente. I criteri generali (studiati dal Pieri e da lui definiti a suo tempo nel la polemica amichevole con il genera le Krafft von Dellmensingen, e poi ri presi dal Monticone) erano: tiro di preparazione brevissimo (spesso non più di un’ora) in modo da garantire l’elemento sorpresa (che veniva rego larmente a mancare con i mastodonti ci bombardamenti, durati più giorni, che si usavano a quel tempo e che consentivano al nemico, messo in al larme, di ritirarsi su una linea difensi va arretrata e rafforzarla, in maniera da far fallire il successivo attacco del le fanterie); ammassamento delle arti glierie e delle truppe in zone non troppo vicine al fronte, sempre per non far mancare l’elemento sorpresa; cele bre penetrazione in profondità senza troppo curarsi dei fianchi e delle spalle. Ora, pare evidente che il Capello (come pure, lo ripetiamo, gli altri capi del regio esercito) non sia in effetti mai riuscito a comprendere tutto ciò. Basti, per esempio, l’asserzione ripetu ta circa la minore intensità della pre parazione di artiglieria austriaca a Ca poretto: il che documenta in modo lampante che il Capello non era riu scito a comprendere che proprio nella brevità micidiale della preparazione di artiglieria stava la novità tattica che aveva consentito al nemico il suc cesso iniziale. In effetti, il Capello appare ancora del tutto ancorato ai vecchi schemi tattici. Attaccare è il suo assillo, ed egli vanta la sua concezione secondo cui il miglior modo di difendersi a Ca poretto avrebbe dovuto consistere in una controffensiva immediata (il che, in astratto, può anche esser vero: ma occorreva che il contrattacco fosse predisposto da lunga pezza, e che a Caporetto non ci fosse stata, nei no stri confronti, la sorpresa tattica, la quale, invece, ci fu, e come!). Quindi, attaccare. E sia. Ma come? Qui sta il punto: e qui il Capello diventa di una nebulosità e di una genericità estre me. Né c’è da stupirsene. Non era lui l’uomo che avrebbe ela borato i nuovi criteri tattici capaci di « perforare » il dispositivo fortificato. Tali criteri, ahimè, li stava studiando lo Stato Maggiore tedesco e, per ora, li aveva applicati vittoriosamente con tro di noi a Caporetto in attesa di pro varli, in più grande stile, nel 1918 sul Fronte occidentale da Amiens a Soissons. Naturale quindi che al Capello sia sfuggita del tutto la vera spiega zione delle cause che generarono la di sfatta di Caporetto, e che egli finisca per fare spesso e volentieri ricorso a una spiegazione « demonologica »: cioè alla famigerata leggenda del cedimen to « morale » determinato dalla « pro paganda disfattista », ecc. Senza ren dersi conto che, semmai, la propagan da « disfattista » fa presa solo quando i soldati siano stati precedentemente demoralizzati da una condotta di guer ra assurda, inutilmente dispendiosa di vite umane. L’editore ha scelto per il libro il ti tolo: Caporetto, perché?. Già, perché. Finché ci si limiterà a questo memo riale Capello, la domanda sarà desti nata a rimanere senza risposta. Letto 1565 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||