STORIA: I MAESTRI: Giugno 1940: L’Italia dichiara guerra alla Francia24 Gennaio 2017 di Emilio Poesio Gli ambasciatori di Francia e d’Inghilterra sono con vocati dal conte Ciano. Il gio vane ministro degli esteri, in divisa d’ufficiale d’aviazione, consegna con gesto formale una breve nota. È il pome riggio del 10 giugno 1940, l’Italia scende in guerra. Sir Percy Loraine accoglie senza battere ciglio l’annunzio, Franí§ois-Poncet, pur molto emozionato, trova lo spirito per una battuta premonitrice: « I tedeschi sono padroni duri. Ve ne accorgerete anche voi ». Fino a pochi giorni prima l’ambasciatore francese era convinto che la guerra fra le due nazioni sorelle non ci sarebbe stata. L’aveva assicu rato lo stesso maresciallo Ba doglio all’addetto militare generale Parisot, suo amico per sonale. Ma Mussolini, sull’on da del travolgente e, sembra, definitivo blitz con il quale i tedeschi stanno mettendo in ginocchio la Francia, ha cam biato idea, ha passato il Ru bicone. Gli servono, dice, soltanto duemila morti da get tare sul tappeto del tavolo della pace. Trascina il paese in guerra con venti divisioni pronte al settanta per cento e con altre venti pronte sol tanto al cinquanta. Senza carri armati che non siano le « scatole di sardine » da tre tonnellate; con un’aviazione i cui aerei, per la metà, non possono levarsi in volo; con una marina di gran lunga in feriore alle due flotte nemiche riunite, francesi e inglesi, nel Mediterraneo. Tanto, fra pochi giorni, o al massimo fra poche settimane, tutto sarà finito. Sulla frontiera alpina, l’e sercito allinea il meglio del le sue forze: il gruppo di ar mate Ovest, agli ordini di Umberto di Savoia, con oltre trecentomila uomini: la pri ma armata del generale Pintor a Sud, la quarta del ge nerale Guzzoni a Nord, dal Granero al Monte Rosa. Dal l’altra parte, l’armata fran cese delle Alpi, depauperata dai salassi con i quali l’alto comando tenta di tamponare l’attacco delle divisioni pan zer, schiera meno di cento mila uomini. È qui che Mussolini scate nerà il suo blitz sulla via per l’Alta Savoia e su quella per Marsiglia, per uguagliare i fasti del suo allievo dittato re tedesco? È qui che vuole avere i duemila morti che gli servono”? Non sembra, al meno in principio. I francesi suppliscono alla deficienza numerica, e di mezzi, con la potenza delle fortificazioni fis se. Hanno un velo d’avampo sti lungo la frontiera, ma die tro c’è la linea principale di resistenza, appoggiata dal le artiglierie di grosso calibro piazzate a battere i punti-chiave. In campo terrestre, « difesa attiva », è l’ordine di Mussolini al gruppo Ovest, attivismo stemperato dal di vieto di passare la frontiera e di aprire il fuoco, eccetto che per rispondere a un at tacco avversario. Cosi, i due eserciti si fron teggiano con le armi al piede, mentre i destini della Francia si decidono al Nord, dove i tedeschi, dopo lo sfondamen to sulla Mosa e dopo Dunkerque, stanno prendendo sul rovescio la Maginot. Ha ini zio, sul fronte alpino, quella strana guerra, « la guerra di menticata » come dice il tito lo del libro che l’avvocato e giornalista francese Henri Azeau le ha dedicato (La guerra dimenticata, ed Mon dadori, pp. 360, L. 3500). Per una settimana soldati italiani e soldati francesi si guardano negli occhi, scambiano insulti o saluti, a seconda dei casi, ma non sparano. Poi, improv visamente, tutto cambia, i cannoni cominciano a tuona re, le colonne in grigioverde si mettono in marcia: proprio mentre il nuovo capo del go verno, il maresciallo Pétain, eroe di Verdun, sta trattan do la resa con gli invasori. Resa di fronte ai tedeschi, che hanno combattuto, e agli italiani, giunti all’ultimo mo mento, davvero quando tutto è finito. Il gioco politico sì è inserito nel quadro delle considerazioni e degli inte ressi puramente militari e strategici. Hitler vuole una Francia che non gli sia trop po ostile nel « Nuovo ordi ne »; teme che la flotta di Darlan possa passare agli in glesi, seguendo l’esempio dell’ancora semi-sconosciuto ge nerale di brigata de Gaulle. E l’alleato di Roma? Prenda ciò che avrà ottenuto al mo mento in cui sarà siglato l’armistizio: con la forza delle armi. « La mano armata di pugnale s’è levata a colpire la schiena del vicino », ha detto Roosevelt dell’interven to italiano, ma finora il pu gnale è stato brandito soltan to metaforicamente. Adesso la parola è al cannone. Per l’esercito italiano si apre la prima delle tante, tra giche pagine di sangue. Il bluff non ha retto e l’armata di terra mostra subito la cor da della sua impreparazione, della sua inefficienza, della stantia mentalità dei suoi capi. Altro che blitz su Tolo ne e Marsiglia. Buttati allo scoperto contro le possenti fortificazioni nemiche, i bat taglioni italiani riescono a superare la linea degli avam posti, poi debbono fermarsi. Una serie di scontri brevi e micidiali, dalle vallate d’alta montagna al mare, dei quali l’autore de La guerra dimen ticata dà una colorita e mi nuziosa descrizione da parte francese. Sulla costiera viene occupata Mentone, ma il for te di San Luigi, al confine, resiste fino al giorno dell’ar mistizio, il 25 giugno. Bottino dei vincitori: otto cento chilometri quadrati per lo più di montagna, 13 comu ni, cinque villaggi, con ventunmila abitanti. Al prezzo di seicento morti, di duemila cinquecento feriti, di quasi altrettanti congelati. Il pri mo, inutile, bagno di sangue dell’esercito italiano. Appena un’avvisaglia di ciò che av verrà dopo. Si avvicina l’ora della Libia e quella della Gre cia. Con le stesse premesse, con gli stessi, tragici risultati. Letto 1706 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||