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STORIA: I MAESTRI: Il cappotto di Napoleone

29 Novembre 2016

di Indro Montanelli
[dal “Corriere della Sera”, domenica 22 giugno 1969]

In questo bicentenario della nascita di Napoleone, la parola è naturalmente agli storici, di cui non intendo usurpare le competenze. Sta a loro dire chi Napoleone fu, e che cosa rappresentò, ammesso che qualcosa da dire ancora ci sia (il mio amico Bruno D’Agostini, che fa incetta di libri sul Bonaparte, ne ha raccolti oltre 2000).

Vorrei soltanto ricordare un piccolo episodio, che anche i biografi più attenti e imparziali hanno sempre ignorato, o comunque omesso, forse considerandolo irrilevante; ma che nella memoria di noi ita ­liani potrebbe anche risve ­gliare, per analogia, qualche ricordo. Lo desumo da una delle testimonianze meno ci ­tate, ma anche delle più di ­rette e credibili: la relazione del viaggio di Napoleone da Fontainebleau all’Elba, dopo la prima abdicazione, redatta dal commissario prussiano De Waldburg-Truchsess, che lo accompagnò. Pubblicata l’anno dopo, cioè nel 1815, non credo che sia stata più ri ­stampata. E probabilmente so ­no in pochi a conoscerla.

*

Siamo dunque nell’aprile ’14. La Francia non ha più un esercito da opporre a quello della coalizione avver ­saria che avanza su Parigi.

I marescialli napoleonici riu ­niti a Fontainebleau fanno il loro bravo 25 luglio impo ­nendo all’Imperatore la resa e la rinunzia al trono. Napo ­leone tenta il suicidio ingeren ­do un veleno, ma il suo stomaco si ribella e lo vomita. Dopodiché si rassegna e sten ­de l’atto di abdicazione.

A metà del mese arrivano i commissari che le potenze vincitrici hanno distaccato presso di lui per scortarlo fi ­no all’Elba: il generale Koller per l’Austria, il generale Schuwaloff per la Russia, il colonnello Campbell per l’In ­ghilterra, e il conte De Wald ­burg-Truchsess per la Prussia. I preparativi del viaggio sono lunghi perché Napoleone co ­glie tutti i pretesti per ritar ­darlo. Solleva obbiezioni sul ­l’itinerario, obbligando gli al ­tri a cambiarlo sei o sette volte. Accusa i commissari di aver impedito all’imperatrice di accompagnarlo, come se ignorasse che costei è già fuggita col figlioletto a Vienna, senza salutarlo. Evidentemente spera in qualche avveni ­mento che gli consenta di riaprire il giuoco.

Solo la mattina del 20 il convoglio prende l’avvio, alla chetichella. Lo apre la car ­rozza di Drouot, poi viene quella dell’Imperatore, poi quella di Koller, poi quella di Schuwaloff, poi quella di Campbell, poi quella di De Waldburg, e un’altra diecina con tutto il seguito.

Finché si attraversarono i dipartimenti del nord e del centro, le accoglienze della po ­polazione furono calde per Napoleone e ostili per i suoi accompagnatori. Ma, via via che ci si avvicinava al Sud, il clima cambiò, e il grido di « Viva l’Imperatore, abbasso gl’invasori! » si capovolse in « Viva i liberatori, a morte l’usurpatore! ». L’ultimo trionfo Napoleone lo riportò a Valenza, dove un reggimento volle a tutti i costi rendergli gli onori delle armi e sfilare in parata davanti a lui. Ma poco dopo, a Orange, la popolazione lo accolse ostentan ­do la coccarda bianca dei Borbone e gridando: « Viva il Re Luigi XVIII! », grido che a Avignone si trasformò in quello di «Abbasso il birbante (coquin) ! » e « Abbasso il mascalzone (gueux) ! ». Ad un certo punto anzi la moltitudine si strinse minacciosa intorno alla carrozza imperiale, ingiunse al cocchiere di unirsi a quelle grida, e siccome il cocchiere rispose mettendo i cavalli al galoppo, uno gli tirò dietro una sciabola. A Orgon avevano drizzato una forca con la scritta: «Questa sarà la fine del tiranno! », e Schuwaloff dovette affacciarsi al finestrino e arringare la folla per placarla.

*

Visto il vento che tirava, all’uscita dell’abitato Napo ­leone impose una sosta, si fece prestare una redingote blu, un cappello tondo con la coccarda bianca, salì in arcione a un cavallo di posta, e riprese il viaggio galoppando da semplice corriere davanti alla propria carrozza, dove era rimasto il gran maresciallo Bertrand in alta uniforme. Costui si trovò così a fare la controfigura dell’imperatore e il bersaglio delle minacce e delle invettive che si infittivano contro di lui. Le più scalmanate erano le donne. «Farabutto!… Assassino!… » urlavano lanciando sassi contro il poveraccio rannicchiato sul suo sedile, mentre il vero destinatario di quei complimenti caracollava a rispettosa distanza sotto l’usbergo della sua bella carta borbonica.

Così arrivarono a Saint-Conat, dov’era prevista una sosta. La padrona della locanda dove presero alloggio non riconobbe Napoleone e gliene chiese notizie. «Sono curiosa di vedere – aggiunse – se riuscirà a farla franca.

Credo che il popolo lo lince ­rà, e bisogna convenire che se lo merita, quel delinquen ­te. Vogliono imbarcarlo per la sua isola? ». « Sì » rispose il falso corriere. « Ma duran ­te il viaggio â— insisté la don ­na â— lo annegheranno, spe ­ro ». « Lo spero anch’io » ri ­spose Napoleone.

A cena l’Imperatore si ri ­fiutò di toccar cibo prima che gli altri avessero mangiato: era convinto che fosse avve ­lenato e diceva di sapere che il nuovo governo intendeva disfarsi a tutti i costi di lui. Ne vide conferma nelle no ­tizie che le avanscorte porta ­vano da Aix, dove il con ­voglio sarebbe transitato l’in ­domani: sebbene il sindaco s’impegnasse a impedirlo, c’era la minaccia d’un pogrom.

L’imperatore era agitato. Disse ch’era meglio tornare a Lione e di lì prendere un’al ­tra strada. Quando gli fecero notare ch’era ancora più peri ­coloso ripercorrere quella già battuta, diede ordine di ripar ­tire subito in modo da transi ­tare per Aix di notte. Così fu deciso. Ma al momento di rimettersi in marcia fu colto da un altro dubbio: e se qual ­cuno del seguito avesse nel frattempo denunziato il suo travestimento?

Chiamò l’aiutante di cam ­po di Schuwaloff, e gli ordi ­nò d’indossare la propria re ­dingote blu col cappello ton ­do in modo che, se succedeva qualcosa, fosse lui a farne le spese. « Poi â— racconta sem ­pre De Waldburg â—, volen ­do farsi passare per un uffi ­ciale austriaco, mise l’unifor ­me del generale Koller, si de ­corò dell’Ordine di Maria Te ­resa che questi portava, si fic ­cò in testa il mio berretto da viaggio e si coprì col cappot ­to del generale Schuwaloff… ».

*

Era il 25 Aprile. Non vi dicono nulla questa data e questa fuga notturna sotto un mantello d’accatto?

Paolina Bonaparte, che in quel momento si trovava a Luc, altra tappa di quell’av ­venturosa anabasi, quando si vide venire incontro l’imperial fratello conciato a quel modo, trasalì â— dice De Waldburg â—, e si rifiutò di abbracciarlo finché non ebbe di nuovo indossato la sua consueta divisa. E’ strano come in certe situazioni gli eroi fac ­ciano peggior figura delle loro donne. Ricordate Claretta che corre volontariamente incontro alla morte per non abbandonare il suo uomo che cercava di sfuggirvi, e la Regina Elena che, dopo il proditorio arresto di Mussolini a Villa Savoia, dice a suo marito, indignata: «Ma come!?… Qui, in casa nostra!? ».

Attenti però a non forzar le analogie oltre il dovuto. Passano dieci mesi, e lo stes ­so uomo che per salvar la pel ­le s’era rimpiattato sotto i panni del proprio nemico, fugge dall’Elba e torna sui suoi passi sbarcando a Golfo Juan. E’ uno dei pochi episodi cui l’oleografia non è riusci ­ta ad aggiungere nulla. Il bat ­taglione schierato a Laffray per sbarrare il passo all’« usurpatore », all’« orco di Cor ­sica », al « nemico del gene ­re umano », c’è davvero. Dav ­vero il capitano Randon che lo comanda ordina ai soldati di spianare i fucili, mentre Napoleone ingiunge ai suoi di abbassare i loro. Davvero egli avanza da solo, e stavolta in ­dossando il proprio cappotto, contro quella siepe di armi puntate al suo petto, davvero non si ferma nemmeno quan ­do Randon grida « Fuoco! ». Davvero guarda negli occhi quegli uomini le cui dita non hanno trovato la forza di pre ­mere il griletto, ma vi sono ancora aggrappate, e dice « Se c’è in mezzo a voi qual ­cuno che voglia uccidere il suo imperatore, può farlo », e invece della scarica provoca un’acclamazione. Davvero.

Andiamoci dunque piano a giudicare gli uomini e a clas ­sificarli in eroi o codardi in base ai cappotti. Perché i cap ­potti cambiano, secondo le cir ­costanze, come coloro che l’in ­dossano.


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Bart