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STORIA: I MAESTRI: Il diario di Sonnino

19 Agosto 2017

di Leo Valiani
[dal “Corriere della Sera”, sabato 30 maggio 1970]

Il barone Sidney Sonnino, deputato dal 1880, senatore nel 1920, ministro delle fi ­nanze e poi del tesoro dal 1893 al 1896, presidente del con ­siglio nel 1906 e nel 1909-10, ministro degli esteri dall’au ­tunno del 1914 sino alla me ­tà del 1919, fu detto il « taci ­turno ». Uomo di severi stu ­di, che aveva debuttato, da giovane, nella carriera diplo ­matica, Sonnino non sentiva il bisogno di esporre all’opi ­nione pubblica i dettagli della sua direzione degli affari. In effetti, finché le sorti della guerra erano incerte, il carat ­tere duro e chiuso di Sonnino fu elemento di forza. Egli ispi ­rava incondizionata fiducia a molti, in Italia e anche al ­l’estero. Era inevitabile però che negli ultimi mesi del con ­flitto, e soprattutto nel perio ­do, carico di illusioni e di de ­lusioni, della conferenza della pace, si aprisse una controver ­sia sui fini di guerra dell’Ita ­lia, non meno che su quelli delle altre potenze. All’indo ­mani della sua uscita dal go ­verno Sonnino non prese la parola per spiegare l’azione che aveva svolto. Poco prima di morire, nel 1922, mise tut ­tavia in ordine le sue annota ­zioni relative agli anni della guerra e della Conferenza di Versailles, lasciando trapela ­re un intento di pubblicazio ­ne. La consultazione di que ­ste pagine, e delle altre carte inedite di Sonnino, getta nuo ­va luce sulla sua personalità e sulla sua politica.

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Le casse lasciate da Sid ­ney Sonnino furono rinvenute qualche anno fa nella villa che suo padre, il barone Isac ­co, aveva acquistato verso la metà dell’800 a Montespertoli, una località che, pur di ­stando solo poco più di mez ­z’ora in macchina da Firen ­ze, è rimasta incantevole co ­me doveva essere allora. Dai signori di Montespertoli la casa era passata in eredità, nel ‘400, ai figli del trisavolo di Niccolò Machiavelli. L’an ­tica torre reca ancora lo stem ­ma dei Machiavelli. La villa appartiene oggi ad un discen ­dente di Sonnino, il barone Lodovico De Renzis. Sua mo ­glie, la baronessa Ginevra, il cui zio materno, il conte Lui ­gi Aldovrandi, fu capo-gabi ­netto di Sonnino al ministero degli esteri, s’è prodigata per rendere questo prezioso archi ­vio accessibile agli storici. Es ­so è stato riordinato, recente ­mente, dal professor Ben F. Brown, laureatosi in America con una tesi su Sonnino. il carteggio diplomatico di Sonnino è stato microfilmato, in guisa che un buon numero di studiosi possa prenderne vi ­sione, in attesa che venga stampato nella corrispondente serie dei documenti del mini ­stero italiano degli esteri. Il professor Brown prepara ora la pubblicazione del diario che Sonnino tenne, purtrop ­po con lunghe interruzioni, dal 1866 al 1920, dei suoi scritti apparsi, sovente senza firma, su riviste e quotidiani, e dei suoi discorsi extra-par ­lamentari.

Sull’acuto e preciso indaga ­tore di questioni economico- sociali che Sonnino fu, e che conosciamo dai suoi libri, dal ­la « Rassegna Settimanale » del 1878-82, nonché dai suoi interventi alla Camera; sul ministro che nel 1894-95 ri ­sanò le finanze pubbliche gra ­vemente dissestate; sul politico che per un quindicennio fu l’antagonista di Giolitti tanto caro all’albertiniano Corriere; sul capo della diplomazia ita ­liana, che rappresentò la con ­tinuità d’una politica fra l’in ­tervento e la vittoria, non è sceso mai del tutto l’oblìo. Ci si è chiesti il perché dell’ap ­parente mutamento delle con ­cezioni di Sonnino, che al ­l’esordio della sua attività pro ­pugnava il suffragio univer ­sale e ampie riforme sociali, distinguendosi per la moder ­nità e la lungimiranza con cui esaminava i problemi solle ­vati dalle proteste dei disere ­dati, mentre in prosieguo di tempo diventò stretto collabo ­ratore dell’ultimo Crispi (op ­ponendosi tuttavia, per ragio ­ni d’economia, alle sue suc ­cessive ambizioni coloniali), svolse l’ingrata funzione di capo della maggioranza par ­lamentare durante la crisi e l’involuzione autoritaria di fi ­ne secolo e, nei confronti del ­l’esperimento democratico – li ­berale giolittiano, si attestò su posizioni nel complesso conservatrici o moderate.

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Il diario che il ventiquat ­trenne Sonnino scrisse a Ver ­sailles, ov’era addetto all’am ­basciata d’Italia, durante la Comune di Parigi del 1871, ci dà ragione della problema ­tica che rimase costante in lui. La ferocia dei versagliesi, che fucilavano in massa i co ­munardi prigionieri, indigna ­va Sonnino. La duplice preoc ­cupazione della reazione « ne ­ra », clericale, che in   Francia scorgeva dietro la controrivo ­luzione versagliese, ma in Ita ­lia costituiva, a suo avviso, una minaccia potenzialmente ancor più pericolosa, e della rivoluzione « rossa », non l’ab ­bandonò mai più. Egli intravvide, comunque, immediata ­mente, la questione di fondo: « Il movimento di Parigi â— osservava â— verrà quasi cer ­tamente schiacciato per quan ­to eroica ed accanita possa essere la resistenza, ma esso avrà durato assai per lasciar traccia di sé nella storia avve ­nire e nei programmi dei par ­titi. Lascerà inoltre larga mes ­se di odii … Il decentramento è ora una questione vitale in tutta l’Europa â— noi dobbia ­mo attuarlo, ma dall’altra par ­te … dobbiamo aumentare il prestigio del governo cen ­trale ». Riforme anche auda ­ci, che vadano, ove occorra, nella direzione dell’autonomi ­smo comunale reclamato dagli insorti di Parigi, a patto però di rafforzare contemporanea ­mente il potere esecutivo: ec ­co la lezione che Sonnino trasse da quella sua prima espe ­rienza d’osservatore degli scon ­volgimenti europei. Non sem ­pre fu felice nei tentativi di tradurre in atto il postulato dell’autorevolezza dell’esecuti ­vo, ma col suo governo del 1906, che ottenne la collabo ­razione del partito radicale, riscuotendo le simpatie di nu ­merosi socialisti, s’ispirò alla esigenza riformatrice da cui, da giovane, aveva preso le mosse.

Sul passaggio dall’alleanza più che trentennale con gli imperi centrali alla guerra contro l’Austria-Ungheria l’ar ­chivio di Sonnino offre numerosi particolari sconosciuti. Si ha così la prova che Sonnino cercò di rendere più di ­ritta possibile quella condotta contraddittoria che il presi ­dente del consiglio, Salandra, reputava indispensabile per guadagnare, attraverso nego ­ziati segreti con entrambi i blocchi belligeranti, il tempo occorrente al riarmo dell’eser ­cito, condizione prima â— an ­che a giudizio del ministro degli esteri â— di ogni deci ­sione, interventista o, vicever ­sa, neutralista.

Le trattative con l’Austria, così come furono impostate da Sonnino, per dirla con le parole con cui retrospettiva ­mente le commentò nel suo diario, « non erano un ingan ­no e una lustra ». Sonnino, pur rendendosi conto dell’im ­popolarità d’un accordo con l’Austria, che avrebbe neces ­sariamente subito l’impronta dell’influenza della Germania, come delle dure ritorsioni che in tal caso bisognava aspet ­tarsi da parte dell’Intesa, era disposto a concludere un ac ­cordo del genere, e ad osser ­varlo lealmente, pur di po ­ter assicurare all’Italia, senza spargimento di sangue, una cospicua parte dei « territori di lingua italiana   » rimasti nel 1866 sotto l’impero asburgico.

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Fin dalla prima metà   del gennaio 1915 Sonnino avvertì il « mediatore » tedesco, l’ex cancelliere ed ambasciatore principe Bùlow, che l’eventua ­le accordo, fondato sull’arti ­colo 7 del trattato della Tri ­plice Alleanza, che dava dirit ­to all’Italia a compensi per ogni occupazione austriaca di territorio balcanico, avrebbe dovuto essere chiaro e preci ­so, in modo da non prestarsi ad alcun litigio a guerra fini ­ta e, soprattutto, avrebbe do ­vuto essere stipulato al più presto, poiché « troppo ritardo guasta … Tutto è decidersi a tempo ». Contrariamente alle promesse ventilate da Bùlow il governo di Vienna prese però, in quegli stessi giorni, la decisione opposta, di non fare cioè, per il momento, con ­cessioni territoriali all’Italia. Il primo febbraio Sonnino ri ­petè a Bùlow, e all’ambascia ­tore austro – ungarico barone Macchio, che il « ritardo non può che produrre un aumento di esigenze, di pretese e di illusioni, rendendo sempre più problematica la possibilità di raggiungere un accordo ».

Sonnino attese per un altro mese la risposta austriaca che, al solito, giunse troppo tardi e, pur ammettendo finalmente il principio della cessione di una parte del Trentino, si pa ­lesava insufficiente, priva di garanzie sicure. Pochi giorni prima il capo della Consulta che, sulla scorta dei giudizi dei militari italiani, stimava ormai acquisito che gli Impe ­ri centrali avrebbero perdu ­to la guerra, s’era rivolto alle potenze dell’Intesa. Francia e Inghilterra ripetevano da tem ­po, in termini allettanti, che ora si possono leggere nei loro messaggi a Sonnino, l’invito all’Italia ad intervenire. Pri ­ma ancora che la risposta di Vienna fosse esaminata a Ro ­ma, il competente ufficio ita ­liano era del resto riuscito a decifrare il « codice » del qua ­le il governo austro-ungarico si serviva per comunicare col proprio ambasciatore in Ita ­lia. Sonnino seppe così, tem ­pestivamente, che l’Austria considerava le concessioni che avrebbe dovuto fare come estortele col coltello alla gola. Più tardi, il governo italiano conobbe anche il cifrario im ­piegato dalla segreteria di Sta ­to pontificia per le sue comu ­nicazioni coi nunzi, e segna ­tamente con monsignor Pacel ­li, che rappresentava il Vati ­cano in Germania.

Circa la parte che Sonnino ebbe, con la sua fermezza e risolutezza, nella condotta del ­la guerra, nessuna testimonianza è più eloquente di quella di Bissolati che, con la sua abituale lealtà, l’11 ottobre 1918 gli scriveva: « Voglio dirti â— nonostante i contrasti che han potuto e potranno essere fra noi in alcune parti dell’opera per la quale fummo, e siamo uniti â— tutta la mia riconoscenza di italiano ».

cancelliere ed ambasciatore principe Bùlow, che l’eventua ­le accordo, fondato sull’arti ­colo 7 del trattato della Tri ­plice Alleanza, che dava dirit ­to

direzione dell’autonomi ­smo comunale reclamato dagli insorti di Parigi, à patto però di rafforzare contemporanea ­mente il potere esecutivo: ec ­co la lezione che Sonnino tras- se da quella sua prima espe ­rienza d’osservatore degli scon ­volgimenti europei. Non sem ­pre fu felice nei tentativi di tradurre in atto il postulato dell’autorevolezza dell’esecuti ­vo, ma col suo governo del 1906, che ottenne la collabo ­razione del partito radicale, riscuotendo le simpatie di nu ­merosi socialisti, s’ispirò alla esigenza riformatrice da cui, da giovane, aveva preso le mosse.

Sul passaggio dall’alleanza più che trentennale con gli imperi centrali alla guerra contro l’Austria-Ungheria l’ar ­chivio di Sonnino offre nu-‘i meiosi particolari sconosciuti. Si ha così la prova che Son. nino cercò di rendere più di ­ritta possibile quella condotta contraddittoria che il presi ­dente del consiglio, Salandra, reputava indispensabile per guadagnare, attraverso nego ­ziati segreti con entrambi i blocchi belligeranti, il tempo occorrente al riarmo dell’eser ­cito, condizione prima â— an ­che a giudizio del ministro degli esteri â— di ogni deci ­sione, interventista o, vicever ­sa, neutralista.

 


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Bart