STORIA: I MAESTRI: Il diario di Sonnino19 Agosto 2017 di Leo Valiani Il barone Sidney Sonnino, deputato dal 1880, senatore nel 1920, ministro delle fi nanze e poi del tesoro dal 1893 al 1896, presidente del con siglio nel 1906 e nel 1909-10, ministro degli esteri dall’au tunno del 1914 sino alla me tà del 1919, fu detto il « taci turno ». Uomo di severi stu di, che aveva debuttato, da giovane, nella carriera diplo matica, Sonnino non sentiva il bisogno di esporre all’opi nione pubblica i dettagli della sua direzione degli affari. In effetti, finché le sorti della guerra erano incerte, il carat tere duro e chiuso di Sonnino fu elemento di forza. Egli ispi rava incondizionata fiducia a molti, in Italia e anche al l’estero. Era inevitabile però che negli ultimi mesi del con flitto, e soprattutto nel perio do, carico di illusioni e di de lusioni, della conferenza della pace, si aprisse una controver sia sui fini di guerra dell’Ita lia, non meno che su quelli delle altre potenze. All’indo mani della sua uscita dal go verno Sonnino non prese la parola per spiegare l’azione che aveva svolto. Poco prima di morire, nel 1922, mise tut tavia in ordine le sue annota zioni relative agli anni della guerra e della Conferenza di Versailles, lasciando trapela re un intento di pubblicazio ne. La consultazione di que ste pagine, e delle altre carte inedite di Sonnino, getta nuo va luce sulla sua personalità e sulla sua politica. * Le casse lasciate da Sid ney Sonnino furono rinvenute qualche anno fa nella villa che suo padre, il barone Isac co, aveva acquistato verso la metà dell’800 a Montespertoli, una località che, pur di stando solo poco più di mez z’ora in macchina da Firen ze, è rimasta incantevole co me doveva essere allora. Dai signori di Montespertoli la casa era passata in eredità, nel ‘400, ai figli del trisavolo di Niccolò Machiavelli. L’an tica torre reca ancora lo stem ma dei Machiavelli. La villa appartiene oggi ad un discen dente di Sonnino, il barone Lodovico De Renzis. Sua mo glie, la baronessa Ginevra, il cui zio materno, il conte Lui gi Aldovrandi, fu capo-gabi netto di Sonnino al ministero degli esteri, s’è prodigata per rendere questo prezioso archi vio accessibile agli storici. Es so è stato riordinato, recente mente, dal professor Ben F. Brown, laureatosi in America con una tesi su Sonnino. il carteggio diplomatico di Sonnino è stato microfilmato, in guisa che un buon numero di studiosi possa prenderne vi sione, in attesa che venga stampato nella corrispondente serie dei documenti del mini stero italiano degli esteri. Il professor Brown prepara ora la pubblicazione del diario che Sonnino tenne, purtrop po con lunghe interruzioni, dal 1866 al 1920, dei suoi scritti apparsi, sovente senza firma, su riviste e quotidiani, e dei suoi discorsi extra-par lamentari. Sull’acuto e preciso indaga tore di questioni economico- sociali che Sonnino fu, e che conosciamo dai suoi libri, dal la « Rassegna Settimanale » del 1878-82, nonché dai suoi interventi alla Camera; sul ministro che nel 1894-95 ri sanò le finanze pubbliche gra vemente dissestate; sul politico che per un quindicennio fu l’antagonista di Giolitti tanto caro all’albertiniano Corriere; sul capo della diplomazia ita liana, che rappresentò la con tinuità d’una politica fra l’in tervento e la vittoria, non è sceso mai del tutto l’oblìo. Ci si è chiesti il perché dell’ap parente mutamento delle con cezioni di Sonnino, che al l’esordio della sua attività pro pugnava il suffragio univer sale e ampie riforme sociali, distinguendosi per la moder nità e la lungimiranza con cui esaminava i problemi solle vati dalle proteste dei disere dati, mentre in prosieguo di tempo diventò stretto collabo ratore dell’ultimo Crispi (op ponendosi tuttavia, per ragio ni d’economia, alle sue suc cessive ambizioni coloniali), svolse l’ingrata funzione di capo della maggioranza par lamentare durante la crisi e l’involuzione autoritaria di fi ne secolo e, nei confronti del l’esperimento democratico – li berale giolittiano, si attestò su posizioni nel complesso conservatrici o moderate. * Il diario che il ventiquat trenne Sonnino scrisse a Ver sailles, ov’era addetto all’am basciata d’Italia, durante la Comune di Parigi del 1871, ci dà ragione della problema tica che rimase costante in lui. La ferocia dei versagliesi, che fucilavano in massa i co munardi prigionieri, indigna va Sonnino. La duplice preoc cupazione della reazione « ne ra », clericale, che in Francia scorgeva dietro la controrivo luzione versagliese, ma in Ita lia costituiva, a suo avviso, una minaccia potenzialmente ancor più pericolosa, e della rivoluzione « rossa », non l’ab bandonò mai più. Egli intravvide, comunque, immediata mente, la questione di fondo: « Il movimento di Parigi â— osservava â— verrà quasi cer tamente schiacciato per quan to eroica ed accanita possa essere la resistenza, ma esso avrà durato assai per lasciar traccia di sé nella storia avve nire e nei programmi dei par titi. Lascerà inoltre larga mes se di odii … Il decentramento è ora una questione vitale in tutta l’Europa â— noi dobbia mo attuarlo, ma dall’altra par te … dobbiamo aumentare il prestigio del governo cen trale ». Riforme anche auda ci, che vadano, ove occorra, nella direzione dell’autonomi smo comunale reclamato dagli insorti di Parigi, a patto però di rafforzare contemporanea mente il potere esecutivo: ec co la lezione che Sonnino trasse da quella sua prima espe rienza d’osservatore degli scon volgimenti europei. Non sem pre fu felice nei tentativi di tradurre in atto il postulato dell’autorevolezza dell’esecuti vo, ma col suo governo del 1906, che ottenne la collabo razione del partito radicale, riscuotendo le simpatie di nu merosi socialisti, s’ispirò alla esigenza riformatrice da cui, da giovane, aveva preso le mosse. Sul passaggio dall’alleanza più che trentennale con gli imperi centrali alla guerra contro l’Austria-Ungheria l’ar chivio di Sonnino offre numerosi particolari sconosciuti. Si ha così la prova che Sonnino cercò di rendere più di ritta possibile quella condotta contraddittoria che il presi dente del consiglio, Salandra, reputava indispensabile per guadagnare, attraverso nego ziati segreti con entrambi i blocchi belligeranti, il tempo occorrente al riarmo dell’eser cito, condizione prima â— an che a giudizio del ministro degli esteri â— di ogni deci sione, interventista o, vicever sa, neutralista. Le trattative con l’Austria, così come furono impostate da Sonnino, per dirla con le parole con cui retrospettiva mente le commentò nel suo diario, « non erano un ingan no e una lustra ». Sonnino, pur rendendosi conto dell’im popolarità d’un accordo con l’Austria, che avrebbe neces sariamente subito l’impronta dell’influenza della Germania, come delle dure ritorsioni che in tal caso bisognava aspet tarsi da parte dell’Intesa, era disposto a concludere un ac cordo del genere, e ad osser varlo lealmente, pur di po ter assicurare all’Italia, senza spargimento di sangue, una cospicua parte dei « territori di lingua italiana » rimasti nel 1866 sotto l’impero asburgico. * Fin dalla prima metà del gennaio 1915 Sonnino avvertì il « mediatore » tedesco, l’ex cancelliere ed ambasciatore principe Bùlow, che l’eventua le accordo, fondato sull’arti colo 7 del trattato della Tri plice Alleanza, che dava dirit to all’Italia a compensi per ogni occupazione austriaca di territorio balcanico, avrebbe dovuto essere chiaro e preci so, in modo da non prestarsi ad alcun litigio a guerra fini ta e, soprattutto, avrebbe do vuto essere stipulato al più presto, poiché « troppo ritardo guasta … Tutto è decidersi a tempo ». Contrariamente alle promesse ventilate da Bùlow il governo di Vienna prese però, in quegli stessi giorni, la decisione opposta, di non fare cioè, per il momento, con cessioni territoriali all’Italia. Il primo febbraio Sonnino ri petè a Bùlow, e all’ambascia tore austro – ungarico barone Macchio, che il « ritardo non può che produrre un aumento di esigenze, di pretese e di illusioni, rendendo sempre più problematica la possibilità di raggiungere un accordo ». Sonnino attese per un altro mese la risposta austriaca che, al solito, giunse troppo tardi e, pur ammettendo finalmente il principio della cessione di una parte del Trentino, si pa lesava insufficiente, priva di garanzie sicure. Pochi giorni prima il capo della Consulta che, sulla scorta dei giudizi dei militari italiani, stimava ormai acquisito che gli Impe ri centrali avrebbero perdu to la guerra, s’era rivolto alle potenze dell’Intesa. Francia e Inghilterra ripetevano da tem po, in termini allettanti, che ora si possono leggere nei loro messaggi a Sonnino, l’invito all’Italia ad intervenire. Pri ma ancora che la risposta di Vienna fosse esaminata a Ro ma, il competente ufficio ita liano era del resto riuscito a decifrare il « codice » del qua le il governo austro-ungarico si serviva per comunicare col proprio ambasciatore in Ita lia. Sonnino seppe così, tem pestivamente, che l’Austria considerava le concessioni che avrebbe dovuto fare come estortele col coltello alla gola. Più tardi, il governo italiano conobbe anche il cifrario im piegato dalla segreteria di Sta to pontificia per le sue comu nicazioni coi nunzi, e segna tamente con monsignor Pacel li, che rappresentava il Vati cano in Germania. Circa la parte che Sonnino ebbe, con la sua fermezza e risolutezza, nella condotta del la guerra, nessuna testimonianza è più eloquente di quella di Bissolati che, con la sua abituale lealtà, l’11 ottobre 1918 gli scriveva: « Voglio dirti â— nonostante i contrasti che han potuto e potranno essere fra noi in alcune parti dell’opera per la quale fummo, e siamo uniti â— tutta la mia riconoscenza di italiano ». cancelliere ed ambasciatore principe Bùlow, che l’eventua le accordo, fondato sull’arti colo 7 del trattato della Tri plice Alleanza, che dava dirit to direzione dell’autonomi smo comunale reclamato dagli insorti di Parigi, à patto però di rafforzare contemporanea mente il potere esecutivo: ec co la lezione che Sonnino tras- se da quella sua prima espe rienza d’osservatore degli scon volgimenti europei. Non sem pre fu felice nei tentativi di tradurre in atto il postulato dell’autorevolezza dell’esecuti vo, ma col suo governo del 1906, che ottenne la collabo razione del partito radicale, riscuotendo le simpatie di nu merosi socialisti, s’ispirò alla esigenza riformatrice da cui, da giovane, aveva preso le mosse. Sul passaggio dall’alleanza più che trentennale con gli imperi centrali alla guerra contro l’Austria-Ungheria l’ar chivio di Sonnino offre nu-‘i meiosi particolari sconosciuti. Si ha così la prova che Son. nino cercò di rendere più di ritta possibile quella condotta contraddittoria che il presi dente del consiglio, Salandra, reputava indispensabile per guadagnare, attraverso nego ziati segreti con entrambi i blocchi belligeranti, il tempo occorrente al riarmo dell’eser cito, condizione prima â— an che a giudizio del ministro degli esteri â— di ogni deci sione, interventista o, vicever sa, neutralista.
Letto 1222 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||