STORIA: I MAESTRI: La folle storia degli anarchici18 Ottobre 2016 di Paolo Monelli Michail Bakunin, anarchico russo, dopo aver predicato per trent’anni la ribellione ad ogni forma di governo, do po aver invano sperato, gli anni ’73 e ’74, che dalla Spa gna e dall’Italia, a suo giu dizio le nazioni più mature per un’azione sovvertitrice, partisse la fiammata definiti va, vecchio, deluso, triste, do vette ammettere che l’ora del rivolgimento era ancora re mota, che nei popoli non c’era traccia di quella passione ri voluzionaria che aveva loro attribuito. Grottesco, come lo definì Nello Rosselli, fu il tentativo di insorgere dei bolognesi l’8 agosto del 1874, al quale Ba kunin aveva voluto partecipa re. Un comitato anarchico italiano per la rivoluzione so ciale, presieduto da Andrea Costa, aveva studiato per un anno un progetto di insurre zione in alcune regioni, da cui sarebbe dovuta uscire « con reazioni a catena » la rivo luzione nazionale. Il mancato suicidio Il piano per l’Emilia e la Romagna stabiliva che un migliaio di bolognesi si ra dunassero la sera del 7 agosto in due punti fuori delle mura cittadine fino all’arrivo di tre mila insorti romagnoli che do vevano concentrarsi ad Imola. Insieme avrebbero mar ciato in due colonne sulla città ove Bakunin era pronto a prendere il comando. I bo lognesi convennero abbastan za numerosi ai luoghi fissati. Ma ad Imola dei tremila pre visti non si ritrovarono che in duecento: che tuttavia si misero animosamente in mar cia verso Bologna, ma incap parono nella polizia che ave va saputo dei loro propositi e già aveva arrestato Andrea Costa: i più furono catturati, gli altri fuggirono ai monti. Ai bolognesi, dopo vana at tesa, non restò che seppellire le armi e disperdersi. Bakunin, sconvolto, come il giovane Werther del Ragaz zoni, pensò di farsi saltar le cervella con tutte le storie che c’erano dentro. Gli amici gli tolsero la pistola di mano, gli tagliarono la barba cherusca, lo vestirono da prete, e lo misero in treno per la Sviz zera con un paniere d’ova al braccio. Anche gli altri colpi con templati dal piano di guerra furono sventati dalla polizia; il solo che osò muoversi, in Puglia, fu il giovanissimo casertano Errico Malatesta. Ecco come narrò la sua impresa: « Più centinaia di congiurati avevano promesso di trovarsi a Castel del Monte; mi di rigo al convegno; ma al luogo dell’appuntamento, di centi naia che avevano giurato, ci troviamo in sei. Non importa, si apre la cassa delle armi. E’ piena di vecchi fucili ad avancarica; non fa niente, ci armiamo e dichiariamo la guerra all’esercito italia no. Battiamo la campa gna per diversi giorni cercan do di trascinare i contadini, ma senza trovare eco. Il se condo giorno abbiamo uno scontro con otto carabinieri che ci fanno fuoco addosso, credendoci moltissimi. Tre giorni dopo ci accorgiamo di essere circondati. Non c’è altro da fare (…). lo mi na scondo in un carro di fieno e così riesco ad uscire dalla zona pericolosa ». Da allora sono passati qua si cent’anni; e l’anno scorso, settembre 1968, il congresso anarchico internazionale di Carrara chiudeva i suoi la vori affermando che i tempi « non sono ancora maturi per una rivoluzione immediata ». Naturalmente, per una rivo luzione quale vagheggiano gli anarchici. Le altre non so no rivoluzioni, sono sommo vimenti dai quali finisce sem pre con l’uscire un governo, una gerarchia, una polizia, un esercito, tutte cose che han no in abominio. La Palinge nesi che si propongono è fatta di così contrastanti elementi che si distruggono l’un l’altro. A Carrara, il secondo giorno del congresso, i delegati sviz zeri e quello inglese ne usci rono: ci si facevano troppe chiacchiere, per cui avevano stabilito dì tornare a casa « sulle loro posizioni rivolu zionarie ». I rimasti presero atto della risoluzione dichia rando legittimo il contegno dei dissidenti, « poiché hanno rivendicato la libertà di scelta del metodo d’azione, libertà alla quale gli anarchici tutti tengono gelosamente ». (Ed anche questo congresso, come già i precedenti del 1949 e del 1958, ha rivelato che il movi mento è fallito, che l’anar chia è ormai una ribellione a vuoto, o un’etichetta appic cicata a manifestazioni di di subbidienza civile, o senza programma). Personaggi inquieti Già nel primo numero di un giornale anarchico del 1880, Il pugnale, citato nella « Storia degli anarchici ita liani da Bakunin a Malatesta », di Pier Carlo Masini, Rizzoli, 1969 (uno studio mi nuzioso ed accurato, ed un interessante contributo alla storia d’Italia degli ultimi trenta anni del secolo scorso, su documenti inediti d’archi vio), si legge un fantasioso programma di sterminio quale poteva piacere a un Bakunin, a un Vittorio Pini, a un Emile Henry e compagnia esagi tata: « Si brucino i muni cipi e le prefetture, le caser me e le banche, gli uffici del registro, le parrocchie e le stamberghe, si pigli possesso dei palazzi defenestrando tut ti i grassi borghesi. Si scanni o si bruci dovunque ci sia da vendicare un torto o ripa rare ad un’ingiustizia. La rivoluzione si faccia senza capi; e se questi si presentino, le prime schioppettate siano per loro ». Anche i programmi dei pre dicatori ci appaiono vari e contraddittori. Bakunin si ab bandona a pazze fantasie, immagina la futura umanità una massa amorfa, dedita solo ai lavori manuali, organizzata da un’eletta segreta. Kropotkin, il principe russo di più antica nobiltà di quella degli Zar, attende l’avvento del l’anarchia non tanto da bru schi sconvolgimenti quanto da una pacifica evoluzione, dal semplice maturare dell’opinio ne pubblica. Escono dalle cronache per sonaggi drammatici, inquieti, angustiati dalle strettezze, da esìli amari, da anni di galera, da aspri contrasti d’idee fino a spezzare sodalizi di lunga data. Quando Andrea Costa, che si professò anarchico fin dal 1881, dà vita al partito socialista e gli prefigge vie le gali e pacifiche, il suo più che fraterno amico Carmelo Palladino gli volge le spalle vi tuperandolo come « il maggior nemico dei lavoratori ». Tragica sorte Tragica la sorte di Carlo Cafiero, in cui Kropotkin vede « un idealista dei più nobili e puri, incapace di far male ad una mosca; e tuttavia pre se un fucile e andò con pochi amici su per le montagne del Beneventano quando gli parve di poter tentare un’insurre zione, per dimostrare al po polo che ci si può buttare allo sbaraglio per un motivo più serio di quello di una semplice ribellione agli agenti del fi sco ». (Allude alla banda del matese costituita dal giovane pugliese per l’effimera conqui sta di due villaggi). Un aspro periodo di carcere in Svizzera e l’angoscia per la « defezio ne » di Andrea Costa gli dan no volta al cervello, è rin chiuso in manicomio, ove ha accessi di messianismo, alluci nazioni, si strappa di dosso gli indumenti bianchi perché, dice, danno l’anemia, chiede camicie mutande fazzoletti calze e panni rossi, perché, dice, rafforzano il sangue; sprofonda nei gorghi â— come disse Filippo Turati â— di una mite e poetica follia a tinte umanitarie; e muore dopo die ci anni di buio. Anche quegli agitatori, co me il Malatesta, come Amil care Cipriani, che giustificano il furore distruttivo di un po polo contro il sistema, e son pronti a guidar ribellioni, hanno sempre deprecato gli atti violenti individuali. D’altro canto, come scrive il Masini, « le persecuzioni, le lun ghe detenzioni preventive, gli esìli forzati, contribuirono alla diffusione tra gli internazio nalisti di uno stato di esaspe razione, di rivolta assoluta e radicale, non solo contro le istituzioni ma contro tutta la società ». Parecchi italiani si misero al servizio degli stra nieri come giustizieri di capi di Stato. Caserio (1894) ucci de il presidente francese Sadi Carnot, Angiolillo (’97) spa ra in Spagna al primo mi nistro Antonio Canovas, Luccheni (’98) pugnala a Gine vra la mite incolpevole Elisabetta d’Austria. Ma questi atti compiuti da uno solo raramen te hanno suscitato l’aperta condanna dei capi, nonostan te le declamazioni di questi sull’amore universale che lega gli uomini semplici e sulla fondamentale purità di cuore degli oppressi. Dell’anarchico francese Ravachol, che oltre ad uccisioni di natura politica aveva sulla coscienza delitti comuni, come l’assassinio di un vecchio mendicante e la violazione di una tomba per spogliarla di oggetti preziosi, disse il fervente anarchico e notissimo geografo Eliseo Reclus che ne ammirava il co raggio, la nobiltà dei senti menti, la bontà di cuore, la grandezza d’animo. Gli stessi terroristi si ine briavano delle loro parole: « le idee si annaffiano con il sangue », ripeteva volentieri il cuoco Passanante che attentò a re Umberto. Una genuina esaltazione di sacrificio li fa alteri, sereni o sprezzanti da vanti ai giudici; e si avviano spavaldi alla morte. Luigi Alibaud, condannato a morte per un fallito attentato al re Luigi Filippo, proclamò in tri bunale: « Non volevo uccidere per uccidere, la pallottola del mio fucile non era diretta con tro un uomo, ma contro un principio ». Emile Henry, poco più che ventenne, condannato a morte dalla corte d’As sise di Parigi per due stragi che uccisero dieci persone e ne ferirono venti, disse ai giu dici: « Di fronte allo spetta colo di questa società ove tutto è basso, tutto è vile, mi sono sentito giustiziere. Gli anarchici non siedono in Parlamento come i socialisti, ma vanno alla ghigliottina. In questa guerra senza pietà che abbiamo dichiarato alla so cietà borghese non chiedia mo pietà alcuna. Diamo la morte; sappiamo anche su birla ». Letto 1631 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||