STORIA: I MAESTRI: Libia. Il deserto tinto di verde /413 Agosto 2011 di Paolo Monelli DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE Tripoli, aprile.
Ho visto per la prima vol ta i cammelli quindici gior ni dopo il mio arrivo, andan do da Garian a Jeffren. Presso Garian, a Tigrinna, uno dei borghi costruiti dal l’ente per la colonizzazione â— e nella campagna intorno gli italiani coltivavano il ta bacco e il grano, e avevano piantato ulivi nuovi accanto ai millenari dell’altopiano, e accanto ad ogni ulivo un mandorlo, che fiorisse presto e rallegrasse gli occhi nel tempo invernale â— eravamo andati a cercare una famiglia di coloni, l’ultima delle mol te che v’erano ancora nel 1950. Non abbiamo trovato più nessuno, né chi ce ne po tesse dire qualcosa. La casa era abbandonata, l’uscio e le finestre sbarrati alla meglio con tavole. Nel borgo sono andati a stare gli arabi; nel l’edificio della scuola italia na hanno messo la loro scuo la; la chiesa sulla piazza è diventata cinematografo, sul la porta un manifesto a co lori annunciava la pellicola di quella settimana, « A mezza notte butta giù il cadavere », parlato in italiano, con dida scalie in arabo. Mi ha detto il maestro che durante lo spettacolo chi capisce la no stra lingua ride subito, se la battuta è da ridere, o subito reagisce; poi viene la secon da ondata, di quelli che han no letto la didascalia in ara bo; non mi ha detto se si manifesti anche una terza ondata, degli spettatori anal fabeti. Appare dall’annuario statistico ufficiale del 1967 che gli analfabeti sono il 73 per cento della popolazione al di sopra dei sei anni d’e tà (il 57 per cento gli uo mini, il 91 per cento le don ne; cifre destinate a ridur si considerevolmente dato l’impegno con cui il governo cerca di rimediare a questo stato di cose. Nel ’61-’62 le scuole elementari erano 131 mila, nel ’67-’68 erano salite a 255.516). Ho dovuto venire un po’ nell’interno per ritrovare i cammelli (che qui sono dro medari con una sola gobba, il cammello a due gobbe è proprio dell’Asia Centrale): dalle città, dai borghi lungo la marina sono tutti scom parsi, o quei pochi rimasti è difficile vederli. Erano un gruppetto di otto o dieci, pas sata la piana di Assaba, là dove l’altopiano comincia a degradare rompendosi in go le rocciose verso la gefara (pianura stepposa), brucava no un po’ d’erba sul pendio sotto la strada; due erano più piccoli degli altri, bianchi, di aspetto più gentile; mi han detto che sono quelli di cui gli arabi si nutrono più vo lentieri, dànno una carne pre libata, ma altri preferiscono la carne dei cammelli da ca rico o da corsa perché dico no che infonde forza e ardi mento a chi ne mangia.
Le nuove strade
Quando venni la prima vol ta in Libia, l’anno 1926, ebbi l’impressione che i cammelli fossero più numerosi che gli uomini. Da quel breve viag gio (non si poteva andare molto lontano nell’interno, da soli tre anni erano state ri prese Garian e Jeffren sul l’altopiano, la nostra occupazione era di poco più vasta di quella che nel 1922 i fran cesi della vicina Tunisia de finivano « occupazione bal neare », ridotta come si era nel corso della prima guerra mondiale a Tripoli a Zuara e a Homs), da quel breve viag gio, considerando quelli che erano allora i tre elementi predominanti del paese, le palme, gli uomini e i cammel li, riportai soprattutto una impressione di immobilità se colare. Le palme: i soli alberi ol tre a rari ulivi che si vedes sero allora in Libia, raggrup pati nelle oasi, al sommo de gli altissimi steli le ferme ruo te di foglie grevi nel cielo, fisse, come per grande stan chezza; ci vuole un vento travolgente perché ondeggino un poco. Gli uomini: che ave vo visto più spesso accocco lati davanti alle casupole nel le lunghe ore del pomeriggio, ristretti in una angusta lista d’ombra; e anche quando in gombravano le vie o le piazze, per spettacolo, per faccende, si scotevano solo quanto è ne cessario, o stavano ore e ore ritti l’uno accanto all’altro, solo gli occhi vivi nel volto fermo; e le pieghe dei baracani cadevano giù dure e de finitive come quelle delle sta tue sul fastigio delle chiese barocche. E infine i cammel li: che erano dappertutto, avanzavano sulle piste della steppa o per le vie cittadine col lento passo dondolante, erano folla ai mercati e ac canto ai pozzi delle oasi, o sdraiati e subito impietriti come fossero così da secoli, con occhi velati e la piega sprezzante e superbiosa delle labbra. Ma ormai l’autocarro sta uccidendo le carovane. Stra de battute arrivano fino al le grandi oasi del Sahara, ma anche sulle piste del deser to gli autocarri vanno più veloci e portano più roba. In tre anni, dal 1965 al ’67, co me leggo nell’annuario stati stico citato, i cammelli sono diminuiti di trentamila in ci fra tonda; erano 286.427 nel ‘65, 255.853, nel ’67. E’ da te mere che non sia remota la loro scomparsa quando sarà compiuto il programma di strade del secondo piano quinquennale, e gli autocar ri giungeranno comodamente fino ai confini col Ciad, e di vasti spazi del Sahara si fa ranno campi coltivati. Il cammello era uscito per fetto dall’eocène, settanta mi lioni di anni fa, fatto appo sta per questi deserti e que sto clima, con un incredibile sopportazione del sole info cato e del gelo notturno; sot to la pianta dei piedi ha pan nicoli adiposi ed elastici per cui non affonda nella sabbia per quanto sia soffice, e si porta al seguito la cantina ed i viveri (voglio dire che i grassi contenuti nella gobba e grandi sacche acquifere nello stomaco gli permettono di stare per giorni e giorni senza bere e senza mangiare beccando tutt’al più gli stec chi di un arbusto spinoso). E’ uno dei più antichi ani mali domestici, sono almeno seimila anni che gli abitato ri del deserto se lo tengono accanto alla tenda con l’asi no e le pecore, gli serve nei lavori della terra, per tra sportarsi, per cacciare, aver ne il latte e la lana, nutrir sene se viene a morte; biz zarro e scontroso, facile ad affezionarsi a chi gli regali un pugno di datteri.
L’oleandro velenoso
L’inglese sir F. Palgrave scrive che è stupidissimo ani male, e solo per la sua stupidi tà, grande e poderoso com’è, si è fatto schiavo dell’uomo. Altri affermano che è intelli gente, furbo, dotato di lunga memoria come la mula del papa, e come questa se subi sce un’offesa prima o poi se ne vendica. Lo zoologo Giu seppe Scortecci nella sua ope ra Animali, come sono, dove vivono, come vivono racconta che andando un giorno con una carovana tuaregh dal Fezzan al confine algeri no si trovarono ad attraver sare un Uadi ove crescevano molti oleandri, pianta velenosissima per i cammelli. « Un dromedario giovane vi si ac costò e fece l’atto di brucar ne le foglie; se ne accorse uno dei tuaregh e lo allon tanò. Poi gli abbassò la te sta, gli circondò il collo con un braccio e prese a parlar gli a bassa voce; e al tempo stesso con la mano libera gli avvicinava alle nari un ra metto della pericolosa pian ta. In seguito mi disse che aveva avvisato il dromedario di non avvicinarsi più agli oleandri perché erano piante cattive ». Bastarono quelle carezzevoli parole, per tutto il tempo che durò il viaggio, il dromedario avvertito non si accostò più alle piante di oleandro. Ho già detto che ciò che pareva utopia cinquant’anni fa, che si potesse far cam pagna fertile d’uno dei can toni più desolati dell’Africa, steppa fulminata da un ardentissimo sole o abbacinan te mare di dune che mon ta e trabocca da ogni parte, quel sogno di Faust si è già avverato con la trasforma zione del gebel cirenaico, del la fascia costiera da Misu rata al confine tunisino, del la gefara fino ai piedi del l’altopiano di Garian, dopo il non sperato ritrovamento delle acque sotterranee. Ora non pare azzardato prevede re la messa a cultura di va ste parti del Sahara, dopo la scoperta di cui ho detto di enormi masse d’acque pro fonde sotto le oasi di Cufra, e dopo i riusciti esperimenti di una società petrolifera americana nell’erg (deserto di sabbia) di Hascian, con la bonifica di oltre tremila et tari ottenuta inaffiando le dune con un olio ricavato dal petrolio grezzo che ne ar resta il movimento e le ras soda, sì che piante rigogliose hanno attecchito in pochissi mo tempo; ritrovato rivolu zionario rispetto all’antico, di contenere le dune con sie pi di un’erba speciale chia mata diss. Un articolo di fondo del Libyan Mail, settimanale li bico in lingua inglese, sotto il titolo « Il problema peren ne » parla dell’antica con danna della Libia, la sua tra dizionale aridità, la scarsezza delle piogge dal tempo dei greci e dei romani fino a que sto secolo. « Oggi â— scrive il giornale â—, con l’avvento dell’età del petrolio non do vremmo più preoccuparci delle condizioni climatiche; finché dura la generosa ero gazione dei pozzi possiamo sottrarre l’agricoltura alla tirannia del clima impiegan do il denaro necessario a co struire dighe, predisporre ri serve d’acqua, scavare pozzi artesiani e canali, fare in somma come fecero gli intra prendenti romani nei tempi remoti con opere di cui ve diamo ancora le vestigia ». L’autore dell’articolo â— cer tamente per partito preso â—, risale da oggi agli antichi romani oltre uno iato di di ciotto secoli. Giustizia vor rebbe che additasse ad esem pio ciò che fece l’Italia in questo campo, gli anni dal 1931 al 1942.
Fortunata ricerca
Il geologo Ardito Desio, che ha dedicato lunghi anni alla ricerca delle acque sot terranee in Libia, narra che quando nel 1914 una perfo razione profonda450 metriraggiunse per la prima volta una falda artesiana presso Tripoli si pensò ad un caso fortunato. Nel 1931 si fecero ricerche in profondità nel l’oasi di Gadàmes, e dopo due anni di lavoro (1932) da365 metrisotto il piano di campagna si sprigionò un po tente getto d’acqua di125 metri cubil’ora. Fino a quel l’anno l’oasi di Gadàmes sem brava condannata a morire, soffocata dal mare delle sab bie avanzanti da oriente; quando vi giungemmo la pri ma volta un terzo dell’oasi se ne era già andato, indicato soltanto da uno sbocconcel lato muro di cinta; il sab bione aveva scavalcato il de bole riparo, isterilito gli orti, seccato le palme, continuava a insidiare le culture e il palmeto superstiti. Quel poz zo d’acqua perenne permise di rimettere a cultura quasi tutta la parte abbandonata. Quando andai a Gadàmes nel ’34 trovai che al margine del l’oasi era sorto un vivaio ove si allevavano esemplari di mandorli, di ulivi, di tame rici, di cipressi, di agrumi, di ortaggi, da distribuire agli indigeni a cui era stato affi dato il terreno rigenerato. Altri pozzi artesiani furono scavati poco dopo nell’oasi di Hon nel Fezzan, da una falda artesiana profonda 406 metri, e a Sbabil nella gefara. Solo nel 1935 si ac certò che una profonda falda sotterranea correva anche nella gefara tripolina e nella zona di Misurata; la ricerca divenne assidua e fortunata con nuovi apparecchi di per forazione rapida e profonda, per cui nella sola zona di Misurata, dal 1936 al 1940, finché scoppiò la guerra, si erano trivellati 35 pozzi per complessivi settemila metri cubi d’acqua. « Via via che si stavano perforando i nuo vi pozzi, in un territorio ari do e disabitato da innumere voli secoli si svilupparono va sti comprensori agricoli che in breve volgere di tempo furono popolati da dodicimi la coloni raggruppati in set te villaggi. Sembrò un mira colo la rapida trasformazio ne del paesaggio a chi vi ave va soggiornato prima che l’acqua sotterranea fosse sta ta trovata e utilizzata ». Quando Ardito Desio tornò in Libia nel 1952 vide che quei pozzi funzionavano an cora. Quelli di cui era dimi nuita la portata (ma per l’e rosione dei tubi prodotta dal le acque aggressive), furono vantaggiosamente sostituiti da altri scavati a poca di stanza.
Nell’articolo precedente il salto di una riga ha alterato il senso del secondo periodo del decimo capoverso, che va letto come segue: « A Misura ta le autorità del comune al le suore elisabettiane, che sta vano strette con l’asilo e la scoletta elementare, hanno assegnato un edificio più grande; etc. ».
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