STORIA: I MAESTRI: Mussolini e l’antipapa Farinacci15 Ottobre 2016 di Fernando Manzotti Dal discorso del 3 gennaio ’25, che scioglieva i nodi creati dalla crisi Matteotti, alle elezioni a lista unica del ’29 la vita politica ita liana sembra procedere se condo una linea malinco nicamente unitaria. L’anti fascismo conta sempre me no, ridotto ai margini della legalità e poi alla clande stinità, mentre il fascismo, ormai in sella, instaura gra datamente il regime. Si è soliti infatti indicare i prin cipali eventi od atti legisla tivi che segnano le tappe di questo iter e che â— per dirla con Mussolini â— vengono a. rimpiazzare il « costumino » costituzionale dello Statuto albertino: scioglimento dei partiti e della massoneria, ampie facoltà al governo di emanare decreti-leggi, esten sione dei poteri dei prefet ti, riforme dei codici, nuo va legislazione sulla cittadi nanza e sulla stampa, nuo ve attribuzioni e prerogative del capo del governo. In tale situazione non rie sce agevole cogliere i con trasti della lotta politica. Al colpo di Stato del 3 gennaio non corrisponde una concreta conoscenza della dinamica politica. Qual era il fa scismo che aveva vinto il 3 gennaio? Perché i cosiddetti fiancheggiatori, coloro cioè che avevano reso possibile al fascismo di governare sul la base di un sostanziale compromesso con le vecchie forze politiche, non abbatte rono Mussolini? Impegnato a rispondere a questi quesiti è il terzo volume della ben collaudata e organica ope ra di Renzo De Felice de dicata a Mussolini (Mussoli ni il fascista, parte II, ed. Einaudi, pp. 600, L. 6000): opera che nella misura in cui si allarga ad esplorare la storia d’Italia nel perio do fascista è inevitabile diventi qualcosa di diverso e di più che non una biogra fia nel senso stretto del ter mine. Al di là delle facciate mo nolitiche, all’indomani del 3 gennaio Mussolini passò un periodo pesante di precarie tà per le opposte pressioni che agivano su di lui. Da un lato i fiancheggiatori lo condizionavano e rinuncia vano a disfarsene solo per il timore di un « salto nel buio », oltre che per le di visioni esistenti fra di loro. Dall’altro lato c’erano le pro teste e le reazioni dei fa scisti intransigenti i quali parlavano di Mussolini co me di un Giolitti rimesso a nuovo dalla cura Woronoff; si lamentavano che governo e partito fascista imbriglias sero la prosecuzione delle violenze di stampo squadri sta perché â— essi sostene vano â— la « normalità fa scista » non poteva essere la normalizzazione auspica ta dai fiancheggiatori. Tale conflitto giocava dialettica-niente a favore di Mussoli ni e recava in sé la mi gliore spiegazione dell’atteg giamento dei fiancheggiatori: Mussolini si rendeva inso stituibile perché non era soltanto un presidente del consiglio realizzatore di com promessi e di equilibri, ma era altresì un «duce » ca pace di imporre la propria volontà agli estremisti del suo partito. Valeva quindi la pena pagargli un prezzo affinché tenesse a freno l’intransigentismo fascista. Questa interpretazione di De Felice è senza dubbio acuta: si può però osserva re che i fiancheggiatori, non traducibili in una definita forza politica, rappresentano una nozione che va storio graficamente verificata e in verata. Poiché si va dalla monarchia ai cattolici sim patizzanti del fascismo, da taluni liberali di destra agli ex-nazionalisli, dagli organi smi economici all’associazio ne combattenti. Forze e ceti eterogenei fuori e dentro il partito fascista e impegnati in una lotta politica « sui generis » rispetto a quella dei partiti. Non avendo, comunque, questi «fiancheggiatori » pre so nessuna iniziativa fra il gennaio e il febbraio ’25, Mussolini si trovò esposto alle accuse degli intransi genti che vedevano la «ri voluzione fascista » scadere ad operazione trasformistico-autoritaria su vastissima scala. Mussolini fu così in dotto a nominare segretario del partito Roberto Farinac ci, dal quale lo divideva una valutazione pregiudizia le sul rapporto fra partito fascista e governo. Per il futuro « duce » il rafforzamento del partito si inqua drava in una visione poli tica generale che aveva co me punto di riferimento es senziale lo Stato, al quale assegnava una posizione di supremazia; per Farinacci invece il partito doveva esercitare una funzione pre minente rispetto alle altre forze e agli stessi poteri dello Stato. Ma nonostante questo e altri dissensi di fondo, l’intransigentismo di Farinacci era strumentaliz zato da Mussolini perché gli consentiva di soddisfare e in pari tempo di tenere a bada gli estremisti, e gli serviva per deviare su Fa rinacci stesso i malumori dei « fiancheggiatori ». Senonché col passare del tempo si accrebbero le in sofferenze contro i metodi di scriminatori del ras di Cre mona e si deplorò aperta mente l’andazzo di sostitui re i « baroni tricolori » ai « baroni rossi ». Due grossi avvenimenti di significato opposto ebbero il risultato convergente di determinare la liquidazione della segre teria Farinacci. Gli eccidi di Firenze dell’ottobre “25, det ti le « notti di san Barto lomeo » fiorentine, sollevaro no sentimenti di odiosità verso il fascismo. Un mese dopo ci fu il fallito atten tato Zaniboni a Mussolini: un attentato che ebbe l’ef fetto di solvente. Quei ceti dirigenti che fino allora era no stati incerti, ora, per garantirsi dal sovversivismo sia rosso, sia nero, punta rono tutto su Mussolini e passarono, insieme alla gran de stampa liberale, a soste nere più o meno esplicita mente il governo fascista. In siffatte mutate condi zioni non aveva più senso la permanenza di Farinacci alla segreteria del partito. L’esponente cremonese in ghiottii il suo allontana mento. Rinfacciò per lette ra a Mussolini i suoi me riti. Illuminante della psi cologia del « duce » è una tagliente risposta a chi an dava assumendo «aria di Antipapa » e si dichiarava « anarchico fascista ». « Può darsi â— ribatteva seccamen te Mussolini a Farinacci â— che io debba qualche cosa a qualcuno, te compreso; ma gli altri mi debbono una infinita gratitudine, te com preso. Io sono di gran lun ga creditore di tutti, indi scutibilmente ». In poche settimane la si tuazione cambiò completa mente, tanto che Balbo os servò che non si trovava più un antifascista a pagarlo a peso d’oro. Così la strada era sgombra al consolida mento del fascismo median te l’erezione di nuove strut ture dello Stato, i Patti del Laterano, e il « plebiscito » del marzo ’20. Questo segnò veramente una svolta: da allora il regime si poteva dire fondato. Essendo ogni forma di opposizione stron cata, da qualche parte spun tò persino la speranza che l’avvenuta normalizzazione permettesse al fascismo una pacificazione interna e una certa liberalizzazione. Senon ché, a dispetto del suo trion fo, il fascismo non poteva dirsi veramente vincitore di fronte alla totalità del pae se, e mai avrebbe potuto smobilitare le sistematiche misure di polizia contro i suoi avversari. Giacché, co me un attore romano ebbe a punzecchiare dalla scena Giulio Cesare: «E’ costret to a temere molti chi molti fa temere ».
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