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STORIA: I MAESTRI: Napoleone: Fu vera gloria?

30 Maggio 2015

Un sogno temerario
di Adam Wandruszka
[dal “Corriere della Sera”, domenica   4 maggio 1969]

Non è un caso che l’ode del Manzoni sia stata tradotta in tedesco dal Goethe; poiché anche il sommo poeta ger ­manico aveva lo stesso at ­teggiamento ambivalente di fronte alla figura e alla me ­moria di Napoleone. Da un lato il Goethe, per cui « la personalità » era « la massima felicità dei figli di questa terra », ammirava la « gran ­de personalità » dell’Impera ­tore (che del resto non le ­sinava da parte sua prove di altissima stima, se non ad ­dirittura di adulazione, per il poeta, in occasione del fa ­moso incontro di Erfurt), tan ­to da attirarsi l’ira e la con ­danna dei « patrioti » tede ­schi per il suo atteggiamen ­to «tiepido » e distaccato al tempo della guerra di libe ­razione dal giogo napoleonico. Ma nello stesso tempo il « mi ­nistro di Stato e consigliere segreto » del Granduca di Weimar provava una profon ­da avversione contro ogni violenza e contro ogni inter ­ruzione dell’evoluzione orga ­nica dell’umanità.

Queste due linee contra ­stanti di pensiero e di senti ­mento dominano ancora oggi, duecento anni dopo la nasci ­ta di Napoleone, il giudizio de ­gli storici, che alla domanda « fu vera gloria? » vorrebbero rispondere con l’altra doman ­da « che cos’è la vera glo ­ria? ». Che il passaggio del Corso, di quel «Weltgeist a cavallo » come lo chiamò lo Hegel, o « Robespierre a ca ­vallo », come lo definì il Met ­ternich, abbia lasciato delle profonde tracce, anche e spe ­cialmente in Germania, è fuo ­ri di dubbio. E basti pensare, oltre al Codice Napoleonico, rimasto in vigore nella Renania per tutto l’Ottocento, alla configurazione regionale del ­l’attuale Germania federale, nella quale ancora oggi si ri ­conoscono le impronte della grande « sistemazione catasta ­le » del periodo napoleonico, che ridusse le 1789 unità « im ­mediate » del Sacro Romano Impero (fra stati, staterelli, territorii ecclesiastici, conti, baroni, cavalieri, città, abba ­zie e perfino villaggi «impe ­riali ») ai 35 stati e quattro città libere del periodo della « Lega germanica » dopo il Congresso di Vienna.

Ma gli effetti forse più du ­raturi dell’azione di Napoleo ­ne consistono proprio in con ­seguenze del suo operato non previste e non desiderate da lui, come l’incremento del sen ­timento nazionale in Germa ­nia, in Ispagna, in Italia e nella stessa Russia, o quell’ap ­parizione dei « cosacchi » nel ­l’Europa centrale ed occidentale, che tanto e non a torto spaventò lo stesso Goe ­the. E infine ed anzitutto il prezzo, in vite umane, in do ­lore, in lacrime di milioni di esseri umani, non fu forse troppo alto per l’esaltazione di una « grande personalità »? Chi come la nostra genera ­zione ha avuto il dubbio pri ­vilegio di essere stata con ­temporanea di una schiera di « uomini eccezionali » (Le ­nin, Mussolini, Stalin, Hitler, Churchill, Roosevelt, Mao ec ­cetera) tende per esperienza verso il giudizio finale dello storico francese E. F. Gautier su Genserico, re dei Vandali: « De ce point de vue, on peut regretter qu’il y ait eu un Genserie, justemente parce qu’il a été réellement grand ».

Non molto tempo fa, visi ­tando di nuovo il Duomo de ­gli Invalidi a Parigi, ho sen ­tito forse ancora più forte delle altre volte il fastidio di fronte a tanta esaltazione ma ­gniloquente della gloria per ­sonale e nazionale â— a co ­minciare da quella terribil ­mente ipocrita iscrizione sulla porta d’ingresso, tratta dal testamento di S. Elena, espri ­mente il desiderio di Napo ­leone che le sue ceneri ri ­posino sulle rive della Sen ­na « au milieu de ce peuple franí§ais que j’ai tant aimé ». Vedevo davanti ai miei occhi il supplizio dei poveri soldati di tutte le nazioni europee, che dovevano morire per la « gioire » dell’Imperatore in Russia, in Egitto, in Ispagna, in Italia, in Germania e nella stessa Francia. E mi venivano in mente le sagge e misurate parole del vecchio Bismarck su Napoleone: «Egli andò in rovina perché, basandosi sulle vittorie militari, cominciò ad attaccar lite con tutti gli Stati invece di mantenere la pace. La fortuna in guerra lo rese prepotente e attaccabrighe. Nell’arrogante sogno di una egemonia mondiale, si preci ­pitò in mille pericoli e vi tro ­vò la fine. Le sue grandi rea ­lizzazioni furono in breve tem ­po distrutte, perché non sep ­pe esercitare la prima virtù di ogni statista, che è il sag ­gio e misurato comportamen ­to verso gli altri popoli dopo le grandi vittorie; egli tra ­scinò l’Europa in una serie di guerre, mentre io, dopo il 1871, mi adoperai costan ­temente per mantenervi la pace ».


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Bart