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STORIA: I MAESTRI: Ritratto epistolare di Calamandrei

13 Gennaio 2012

di Francesco Gabrieli
[dal “Corriere della Sera”, mercoledì 9 aprile 1969]

Le lettere di Piero Calaman ­drei, ora raccolte e annotate presso la Nuova Italia dai fe ­deli suoi amici della Resisten ­za Giorgio Agosti e Alessandro Galante Garrone, ci riportano vivo dinanzi, a tredici anni dal ­la sua scomparsa, un uomo che appena conoscemmo di perso ­na, che abbiamo profondamen ­te amato e ammirato, e che nello stesso tempo ci ha posto e ci pone tuttora inquietanti interrogativi. Ricordo qualcu ­no, che anch’egli oggi non è più ma che fu per qualche tempo assai vicino alla mia vita (penso a Vittorio de Caprariis), il cui giudizio sulla figura e l’opera di Calaman ­drei era un potenziale continuo motivo di dissidio fra noi, l’uni ­co che a non trattarlo con le debite cautele avrebbe potuto incrinare la nostra amicizia. Quel discepolo di Croce e di Omodeo, pur condividendo il culto e la lotta per la libertà del maestro fiorentino, diffida ­va al massimo delle sue « aper ­ture » a sinistra, della tattica politica, delle simpatie e virtuali alleanze di Calamandrei (si pensi alla sua «Unità po ­polare ») con forze intimamen ­te liberticide, non meno delle dittature di destra di cui tutti avevamo tanto sofferto.

Aveva torto, aveva ragione il mio Vittorio giudicando cosi? La storia susseguita e oggi in atto mi porterebbe forse a dar ­gli più ragione di quanto non gli dessi allora, ma basti qui appena accennare al caso di coscienza, perché nell’istante stesso in cui ho sentito il do ­vere di prospettarlo desidero ripetere, per quel che può va ­lere, la mia testimonianza di immutato affetto e rimpianto verso un mancato amico (uno dei molti di cui invano ho va ­gheggiata l’amicizia), verso un uomo dell’altezza di mente e di cuore come fu Piero Calaman ­drei.

Per i lettori del suo Ponte, dell’Inventario della casa di campagna, degli Scritti e di ­scorsi politici raccolti tre anni fa dalla Nuova Italia (cui oggi si aggiungono questi due volu ­mi di Lettere 1915-56), l’imma ­gine di lui quale esce da que ­sto pur incompleto e frammen ­tario epistolario si conferma nei suoi tratti essenziali per l’età a noi più vicina, arric ­chendola, per quella più lonta ­na, delle fresche e simpatiche note di giovinezza.

Nelle lettere di guerra alla fidanzata, presto divenuta la fida compagna della vita, c’è già l’occhio acuto, la dirittura morale, la toscana ironia del più maturo Calamandrei, con in più un fuoco ed entusiasmo giovanile, non scevro perfino di qualche ingenua nota na ­zionalistica, che le susseguite esperienze dovevano tempera ­re o cancellare del tutto. Molte amarezze, certo, riservava la vita a quel tenentino che ebbe la ventura di arrivar primo con un collega, in una specie di avventurosa avanscoperta per ­sonale, in Trento ancor mili ­tarmente in mano agli austria ­ci il 3 novembre 1918; ma chi ebbe quella esperienza, che egli stesso poi rievocò e ritroviamo qui per la prima volta narrata in una lunghissima lettera al ­la moglie, poté bene iscriverla come un incancellabile attivo nel suo bilancio, di contro a molte pesanti passività. Nella vita pubblica, sappiamo oggi cosa attendeva lui e noi tutti, dopo l’ebbrezza della vittoria: il torbido dopoguerra (su cui è un peccato che manchi qui ogni eco nell’epistolario, con un vuoto totale dal ’19 al ’22), il ventennio della dittatura, la crisi suprema, e per lui poco più di un decennio ancora di vita, nella gracile, insidiata e pericolosa libertà. A fondarla, a consolidarla, a difenderla da ogni insidia (ma specie da quel ­le di destra, e qui ritornerebbe il discorso di prima, che non intendiamo affatto riaprire), Calamandrei si spese tutto, in una decennale battaglia logo ­rante: alla Costituente, in Par ­lamento, nella stampa, nella scuola, in tribunale, e contem ­poraneamente, come ora ve ­diamo, in queste lettere priva ­te, egli si rifece, con un’attività febbrile e appassionata, del si ­lenzio e dell’inazione cui il fascismo aveva costretto la sua natura battagliera, il suo sen ­so innato e affinato della giu ­stizia e della legalità, il suo indomito desiderio del pubbli ­co bene. Ma insieme, ed è que ­sto per noi il fascino di una cosi ricca personalità, lungi dall’esaurirsi tutto nella passio ­ne politica, egli sentiva sempre il richiamo dell’amicizia, della natura e dell’arte; e questa è la varia tastiera, come della sua opera di pubblicista, di ora ­tore e scrittore, così di queste più intime testimonianze epi ­stolari.

Coi due Galante Garrone, con Tumiati, con Enriques Agnoletti, con altri amici e collabo ­ratori del Ponte, egli discute qui e organizza la vita di quel ­la sua bella rivista di battaglia, che non diede tregua a ogni oblio, a ogni acquiescenza e conformismo, a ogni sorniona esplicita, reale o temuta in ­voluzione reazionaria nella ri ­sorta vita democratica italia ­na. In questo, Calamandrei come sappiamo non misurava colpi, e qualche suo colpo o anche semplice graffiatina di cui resta qui traccia può ben pensarsi andasse oltre il segno. Ma accanto al polemista e schermitore politico c’era sem ­pre in lui l’amico, di una cor ­diale amicizia, di un generoso umano calore: e le più belle e serene pagine anche di questo epistolario sono quelle dirette agli amici: a Pancrazi, a Valgimigli, a Livio Bianco, ancora ai due Garrone, ai coetanei in ­somma e ai più giovani che condividevano la sua idealità e passione politica, ma non me ­no la sua umanità, la sua sete di libera cultura e di bellezza. Anche di bellezza, certo, ché questo autentico fiorentino ave ­va sviluppatissimo il senso este ­tico innato nella sua piccola patria gloriosa, ed era capace di esprimerlo in pagine degne di antologia. Oltre che nel giu ­stamente famoso Inventario, esse brillano in singoli scritti sparsi che speriamo vedere pre ­sto anch’essi raccolti, in frammenti e appunti inediti come nello stupendo Niente di mio e nell’altro sulla Città sognata, ora posto in testa a queste let ­tere: una trepida professione d’amore alla memoria, unica vera nostra ricchezza, e ai luo ­ghi familiari della sua Firenze, resi opachi dalla consuetudine quotidiana, eppur irraggianti luce appena li si guardi con l’occhio dell’addio.

Piero Calamandrei, che l’al ­ta coscienza morale spingeva all’azione, e l’acume intellet ­tuale alla scienza giuridica in cui fu maestro, era nel fondo del cuore un poeta, e tale in ­tima vocazione traspare ed af ­fiora da un capo all’altro di quella nobile vita. Nell’amore di poesia, di verità e di giusti ­zia noi lo sentiamo e sentiremo sempre vicino, al di sopra di ogni contingente dissenso.


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Bart