STORIA: I MAESTRI: VITA DI SIDDHARTA GAUTAMA27 Dicembre 2012 [Tratto dall’Universale Garzanti: “Religioni”] La vita di Siddharta Gautama Buddha si presenta attraverso un mosaico di notizie storiche e racconti leggendari. Si suddivide tradizionalmente in quattro La nascita e l’infanziaSiddharta Gautama (sanscrito; pàli: Siddhattha Gotama) nasce probabil mente nel 563 a.C. a Kapilavastu (san scrito; pàli: Kapilavatthu) in una regio ne himalayana oggi compresa fra il Ne pal Meridionale e l’estremo nord del l’India. Oltre al patronimico di Gauta ma, egli riceve il titolo di principe Sid dharta («colui che ha raggiunto il suo scopo »). Il padre Suddhodana (sanscri to; pàli: Suddhodana) è investito della carica di re (ràjan) con la quale tuttavia non si designa un monarca in senso mo derno, bensì un ricco proprietario ter riero, una sorta di primus inter pares, posto a capo di una comunità retta da gli aristocratici Sàkya («i potenti »), clan ario di casta guerriera (ksatriya). In quanto membro di questa stirpe di no bili, Siddharta diverrà in seguito noto anche con l’appellativo di Sàkyamuni («asceta degli Sàkya »). Sua madre Maya («illusione ») muore solo sette giorni dopo averlo dato alla luce, e sarà la zia materna Mahaprajàpatì («grande procreatrice »), che più tardi andrà in sposa al padre, a prendersi cura del pic colo. Godendo dei privilegi tradizionali dei nobili, il principe Siddharta riceve un’educazione adeguata al suo rango. Trascorre questi anni fra gli aristocrati ci che governano la comunità, e può dunque acquisire quelle nozioni di legi slazione e amministrazione che gli sa ranno utili al momento di fondare gli ordini monastici. All’età di sedici anni al principe Siddharta viene data in spo sa una principessa Sakya, sua cugina Yasodharà, e il figlio che nascerà dalla loro unione verrà chiamato Ràhula («legame »). Anche dopo il matrimonio il principe continua a vivere nel lusso della vita di corte; ma lentamente si in-sinuano in lui i primi dubbi. Le sue ini ziali riflessioni sulla vanità della propria condizione verranno rinforzate dall’in contro con un’umanità sofferente. Nar ra infatti la leggenda che il principe, passeggiando fuori del palazzo paterno, si sia imbattuto prima in un vecchio sofferente, poi in un ammalato, infine in un morto. Un successivo incontro con un eremita segnerà la svolta defini tiva: Siddharta, alla ricerca del senso più autentico dell’esistenza, scosso dal confronto fra la vacuità della vita con dotta fino a quel momento e la presenza del dolore nel mondo, abbandona il lus so e gli agi, lascia il palazzo e tutti gli affetti, si rade il capo e indossa la veste gialla dell’asceta itinerante. Nella «notte della grande rinuncia », quando esce di casa «per andare errante verso l’illuminazione », Gautama ha ventinove anni. Il cammino verso l’illuminazioneIl lungo vagare condurrà Siddharta da due famosi brahmani e maestri di yoga, í€ràdhakàlama e Udraka Ràmaputra. Trascorso un anno sotto la loro guida spirituale senza tuttavia riuscire a pla care il suo animo inquieto, si reca da cinque grandi asceti e con loro, nella fo resta, intraprende una rigidissima ascesi nel corso della quale, secondo la tradi zione, si nutre per sei anni solo di un chicco di riso o di sesamo al giorno, fi no allo stremo delle forze. Ma neppure in questo modo sente di poter arrivare alla saggezza. Constatata l’inutilità dei suoi sforzi, Siddharta Gautama decide di seguire un’altra via, la «via interme dia » fra il godimento sfrenato dell’ab bondanza e la rinuncia totale alla vita: meditazione e distacco dal mondo. Ormai trentacinquenne, giunge a Uruvela (forse l’attuale Urei, vicino a Bodh Gayà); qui si ferma sotto un albero di fico, o pipai, sulla sponda del ruscello Nerajara. Siede nella posizione cosid detta del loto, a gambe incrociate, rivol to verso oriente, e contemplando immo bile osserva il placido sovrapporsi delle onde. In profondo stato di meditazione, attraversa i quattro stadi dell’illuminazione: concentrazione, lievità dell’animo, abbandono, imperturbabilità asso luta non offuscata da gioia o dolore. Per il raggiungimento di questa fase fi nale, nel corso della notte Siddharta ha una triplice visione. Nella prima rivede le sue nascite prece denti, le trasmigrazioni attraverso mol teplici esistenze, epoche ed esperienze di dolore, e le ripercorre tutte nelle tap pe fondamentali della nascita, morte e reincarnazione. Comprende perciò che il ciclo delle rinascite è infinito. Nella seconda visione notturna, Sid dharta vede la condizione attuale del mondo, le continue trasmigrazioni di tutti gli esseri, destinati a salire in mon di luminosi o a discendere in abissi pro fondi in base alle azioni compiute. Comprende dunque che la condizione attuale di ognuno è il risultato delle azioni nelle sue vite precedenti. Nella terza visione, all’alba, comprende che il dolore deriva da questa incessan te concatenazione di causa ed effetto. Siddharta giunge allora a cogliere le quattro verità fondamentali: non può esservi esistenza senza dolore, la causa del dolore è il desiderio, l’eliminazione del desiderio porta la cessazione del do lore, esiste la via che conduce all’elimi nazione del desiderio e dunque del do lore. Queste «quattro nobili verità » ver ranno rivelate al mondo nel celebre «sermone di Benares », che sarà il primo pronunciato dal Buddha. Siddharta ha ora raggiunto la bodhi («illuminazio ne »), la suprema illuminazione (samma sambodhi); l’albero di fico a Bodh Gaya d’ora in avanti sarà chiamato «l’albero della bodhin. Siddharta ha attinto allo stadio del nirvana, al quale non possono più esistere morte e rinascita. Nella not te «santa » in cui ha intuito e dominato la legge che incatena gli esseri viventi al ciclo delle continue reincarnazioni, è giunto alla condizione di Buddha, l’Illu minato (sanscrito; cinese: fo; tibetano sansrpyas; giapponese: butsu). Gli anni di predicazioneIl Buddha ha dei dubbi circa l’opportu nità di rivelare all’umanità la propria il luminazione e la via per raggiungerla. Si chiede infatti se gli uomini, schiavi co me sono dei loro desideri terreni, siano in grado di riconoscere la verità della concatenazione causa e effetto. A que sto punto, secondo la tradizione, al Buddha appare il tentatore Mara per indurlo a suicidarsi, in modo da poter subito raggiungere il parinìrvàna. Ma il Buddha resiste alla tentazione e decide di comunicare al mondo la grande espe rienza di liberazione da lui vissuta. Il settimo giorno si mette in cammino fino a raggiungere il parco delle gazzelle a Isipatana (pàli), l’attuale Sarnath, nei pressi di Benares. Qui. al cospetto dei cinque asceti che un tempo erano stati suoi maestri, pronuncia il suo primo sermone annunciando le «quattro nobili verità ». Insegna inoltre la «via di mez zo », il giusto equilibrio tra gli estremi, tra una vita cioè dedita alle gioie e ai piaceri terreni e l’umiliazione fisica di un’ascesi troppo severa. Solo questa via infatti condurrà alla pace, alla libera zione suprema, all’illuminazione. Il pri mo sermone del Buddha è noto anche come «discorso sulla messa in moto del la ruota della legge » (pàli: Dhammacak-kappavattanasutta). I cinque asceti chiedono quindi i voti monastici, che il Buddha non esita a concedere. In questo modo, dopo il Buddha e la legge (sanscrito: dharma; pàli: dhamma), vede la luce il «terzo gioiello » del Buddhismo, cioè la comu nità dei monaci (sahgha, letteralmente: «assemblea »). Questi tre elementi es senziali del Buddhismo sono noti come i «tre gioielli » (triratna). Sull’esempio dei cinque asceti, numerose si susseguo no le conversioni e la nuova comunità religiosa vede crescere, accanto all’ordi ne monastico, il numero dei seguaci lai ci; tra questi i sovrani Prasenajit del Kosala, Bimbisàra del Magadha e altri monarchi. Dopo soli tre mesi i seguaci sono già sessanta e il Buddha decide di mandarli a diffondere la nuova dottrina: «Andate, o monaci, a predicare nel mon do la legge. Agite sempre nel vostro e nel l’altrui interesse… Portate a tutti questo messaggio di gioia e ricordate: neppure due di voi prendano la stessa direzione ». Tra i novizi (sanscrito: sràvaka; pàli: sàvaka) vanno citati in particolare Sàriputra, uno dei maggiori discepoli del Buddha e grande erudito, í€nanda, il prediletto, e il suo fratellastro Upàli, primo maestro delle regole dell’ordine, Rahula, l’unico figlio del Buddha, e Devadatta, suo cugino. Tra i seguaci laici erano numerose anche le donne, fra cui la moglie e la madre di Yasa, un giova ne adepto molto ricco. Ma il Buddha ha anche dei nemici, pri mi fra tutti brahmani e asceti. Il suo acerrimo oppositore è tuttavia proprio suo cugino, Devadatta, che in numerose occasioni tenterà di ucciderlo. Si narra, a questo proposito, che una volta Deva datta abbia condotto un elefante in uno strettissimo vicolo per spingerlo contro il Buddha e che quest’ultimo abbia fat to inginocchiare l’animale di fronte a sé con la forza del proprio amore. Questo è uno dei numerosissimi miracoli che la tradizione attribuisce al Buddha. Fra i più citati è anche il prodigio del mango: dinanzi a sette asceti che nella città di Sravasti lo contestavano, il Buddha mangiò un frutto di mango spargendo ne poi il seme in terra e subito crebbe un immenso albero di mango, rigoglio so e fiorito, che si piegò davanti a lui. Il Buddha è stato un grande maestro spirituale che ha saputo comunicare profonde verità usando immagini e alle gorie semplici e tuttavia di grande effet to. Nei quarantacinque anni trascorsi a diffondere la sua dottrina, egli predica senza sosta nell’India Occidentale per correndola in lungo e in largo negli otto mesi all’anno senza piogge, a volte ac compagnato da oltre cinquecento allie vi, mentre si rifugia nei mesi monsonici nelle pansàla (capanne) di un boschetto presso Ràjagriha, dono del sovrano Bimbisàra. «Questa, o monaci, la nobile verità sul dolore: la nascita è dolore, la vecchiaia è dolore, la malattia è dolore, la morte è dolore; l’unione con ciò che non si ama è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore. Dolore è non raggiungere ciò che si desidera. I cinque legami (skandha) so no dolore. Questa, o monaci, la nobile ve rità sull’origine del dolore: la bramosia che si rinnova a ogni rinascita, la ricerca del piacere nelle cose terrene e l’avidità, la bramosia del divenire e dell’essere, la bramosia dell’impermanenza. Questa, o monaci, la nobile verità sulla cessazione del dolore: l’eliminazione della bramosia attraverso l’annullamento dei desideri, la rinuncia totale al desiderio, il distacco as soluto da tutto ciò che si desidera. Que sta, o monaci, la nobile verità sulla cessazione del dolore: il nobile ottuplice sen tiero â— retta visione, retta risoluzione, retto parlare, retto agire, retto modo di sostentarsi, retto sforzo, retta concentra zione, retta meditazione ». Fine della vita terrena e parinirvànaIl Buddha trascorre gli ultimi anni di vi ta in un monastero a Sravasti. Quando è ormai ottantenne, convoca i suoi mo naci e tre mesi più tardi, terminato il monsone, parte alla volta di Kusinagara. Nel corso del cammino fa sosta nel bosco di mango nei pressi di Pàva, dove mangia dei funghi offertigli dal figlio del fabbro del luogo, Cunda. Forse per avvelenamento da funghi o forse per il riacutizzarsi di un male che già lo aveva assalito in passato, egli viene colto da febbri altissime. Decide comunque di rimettersi in viaggio, ma la malattia lo costringe a fermarsi in un boschetto di alberi sàla, alle porte di Kusinagara. È qui che si accomiata dai fedeli: «Dopo la mia morte, insegnate il bene, fate del bene, operate nel bene. Se così agirete, io sarò sempre al vostro fianco ». Si fa dunque preparare il giaciglio da Ananda, il discepolo prediletto, vicino al fiu me Hiranyanvati e sotto due alberi sàla in fiore, e si corica sul fianco destro con il capo rivolto a occidente. Le ultime sue parole sono: «Monaci, io vi dico: tutto trascorre e perisce. Ma il vostro compito è di cercare la verità e mirare alla salvezza eterna ». Poi spira entran do nell’estasi e risalendo i quattro livelli della meditazione e i cinque stadi della liberazione fino a raggiungere la sfera suprema, la non distinzione fra coscien za e incoscienza. Ridiscende quindi at traverso i nove livelli fino a tornare al primo stadio della meditazione, per poi ripercorrere nuovamente le quattro sfe re: il tathàgata («il perfetto ») raggiunge così il mahàparinirvàna (sanscrito; pàli: mahaparinibbàna, il nirvana finale, l’il luminazione suprema). In quell’istante la terra prende a tremare e roboanti tuoni si scatenano in cielo. I nobili di Kusinagara celebrano per sette giorni le esequie. Il sesto e il setti mo giorno il corpo del Buddha viene avvolto in cinquecento vesti, asperso di unguenti e posto sulla pira funeraria dove viene cremato. Ma subito si accen de la disputa per la spartizione delle reliquie, infine divise tra i nove regni in cui il Buddha aveva predicato la sua dottrina. Tra gli altri, anche gli Sàkya di Kapilavastu ricevono la loro urna con tenente le ceneri del Buddha. I nove regni fanno edificare altrettanti tumuli funebri (sanscrito: stùpa; pàli: thùpa) sulle urne che contenevano le re liquie. Letto 9255 volte. Nessun commentoNo comments yet. RSS feed for comments on this post. Sorry, the comment form is closed at this time. | ![]() | ||||||||||