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STORIA: Il Risorgimento visto da “Il Conciliatore” toscano #7/33

16 Maggio 2008

[da “Il Conciliatore” toscano, sabato 7 aprile 1849]

ALLA GIOVENTÙ  FIORENTINA.

Firenze 6 Aprile 1849.

GUERRAZZI

(Mon. Tosc.)

Una Gioventù Fiorentina piena di fede, di modestia e di fe ­rocia, tenne levato gloriosamente il gonfalone della Repubblica Fiorentina contro le armi di uno Imperatore potentissimo e di un Papa; e quando vinta dal tradimento ebbe a deporto, vi si av ­volse dentro come in un sudario di gloria, e si adagiò nel se ­polcro.
La gioventù Fiorentina allora aveva fremito di rabbia e lacrime d’ira e mani gagliarde contro i nemici della Libertà ch’è sì cara; imperciocché questa Libertà della nostra terra le venisse insegnata dagli esempi paterni, esposta con gli scritti da Niccolò Machiavelli, difesa da Michelangiolo, sostenuta con la virtù della parola o del ferro da Francesco Carduccio, da Francesco Ferruc ­cio, da Dante da Castiglione, e da altri famosi di questa inclita terra.
Allora in questa città vissero uomini i quali come lo Alberti tennero per ferma una cosa, che anche a quei tempi parve enor ­me; doversi alla salute della anima anteporre la salute della Patria.
E in questa piazza della Signoria, per la Libertà era arso il frate Girolamo Savonarola di cui fu somma sventura andassero disperse le ceneri. Come nel primo giorno di Quaresima il rito della Chiesa ordina che si freghi con la cenere la fronte al cri ­stiano, e gli si ricordi che polvere nacque e polvere ha da tor ­nare, noi potremmo adesso spargere un pugno di cotesta cenere sopra la lesta della gioventù fiorentina e dirle : Rammentati che Dio ti creò libera, e libera tu devi morire.
O Dio! forse da cotesti tempi in poi qualche cosa è mutata quaggiù, onde i Fiorentini non amino la Patria come altra volta l’amavano? In S. Giovanni i Fiorentini vengono sempre battez ­zati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Le arme mortuarie conservano sempre il deposito sacro delle ossa paterne; la cupola s’inalza sempre degna di rappresentare quasi una via che unisce la terra col cielo; popolate le valli delle medesime case e dei medesimi oliveti; il nostro cielo sfavilla sem ­pre del sorriso di Venere celeste, che si compiace avere stanza quaggiù circondata dalle divine opere del genio quasi un pianeta in mezzo alle stelle.
E sta tuttavia questo Palazzo Vecchio, testimonio di tante opere e di tanti detti virtuosi. Sotto il ballattoio, o Fiorentini, leggete scritta in caratteri di oro sopra fondo azzurro la parola LIBERTAS. Non vi sembra un Angiolo amoroso, che reietto da ­gli uomini si rimane esitante di abbandonare Firenze, e sta così sospeso fra il cielo e la terra fiso aspettando pure che il Popolo lo richiami?
Sta questo palazzo che fu sempre come il cuore della Libertà. O sacre mura! quando io levo in alto il capo, vedo formicolare di gente il ballattoio, e fervere nella battaglia, e avventare dardi e sassi contro i sottoposti soldati della tirannide; e poi ad un tratto fermarsi per mancanza di armi: allora la venerabile sem ­bianza di Messere Jacopo Nardi rivela il muro a secco per rove ­sciarlo sopra il nemico; e declinato lo sguardo, i gradini e la piaz ­za considero ingombri di membra infrante e di armi spezzate; – lavate quel sangue di schiavi; esso non rallegra ma contrista la terra della Libertà. – Per la memoria del fatto basta il braccio tronco del David di Michelangiolo. Il marmo del Buonarroti compenetrato della sua anima grande sembra che non potendo rima ­nere spettatore immobile del caso, abbia preso parte alla batta ­glia riportandone onorata ferita.
Nulla pertanto è mutato, nulla meno che gli uomini…
Così dicono gli stranieri calunniando; non io. Figlio delle comuni sventure, partecipe degli stessi dolori, conosco a prova quanto sia grave dopo trecento e più anni di vergognosa tiran ­nide levarci all’altezza della Libertà. Dove il pensiero tuona non risponde la voce amica e franca; dove il cuore freme il braccio non consente intorpidito; una bevanda avvelenata ti serpeggia nel sangue e ti costringe al sonno; – la spada è diventata rugginosa, lo scudo rotto; il capo senza dolore non sopporta più l’elmo; parenti, amici, tutti ti supplicano a dormire: – bisogna che tu dorma.
Ma vi è un Angiolo che rompe il sonno della tirannide, co ­me vi ha un Angiolo che rompe il sonno della morte – e questo è l’Angiolo della Libertà.
E voi, o Fiorentini, udiste questa voce quando sopra i campi Lombardi, più costanti e più tenaci degli altri duraste sotto la procella di ferro e di fuoco che vi avventava lo implacato nemico. Voi mostraste allora quello che sovente volle io diceva, come un Popolo e un Dio non possono tenersi chiusi dentro al sepolcro.
Adesso il bisogno urge maggiore. Qui ora non trattasi di acqui ­stare gloria, ma di fuggire vergogna: qui non vuolsi fare pro ­caccio di comodi, ma ripararci dal danno; e dal qual danno? – Tendete l’Orecchio, o madri, o spose, o figlie miserissime…
Dalle rive del Po e del Ticino, da Brescia e da Bergamo muo ­vono voci di pianto disperato che stringono il cuore d’ineffabile affanno. Ora che sarebbe se vedeste le sconce ferite, e le mem ­bra lacere, e i muri grondanti sangue? Udite fino di qua il sin ­gulto dell’agonia di Venezia! Cotesto singulto è immenso perché si parte dall’agonia della Libertà d’Italia. O Cristo, o Cristo, i tuoi giusti occhi non guardano adesso la terra, poiché lasci perire Venezia!
La difesa è agevole. La Natura provvida volle circondare que ­sto giardino, la bella Toscana di un muro insuperabile di monti; ma il Cherubino che deve stare a guardia di questo Eden hanno a crearlo gli abitatori del luogo con la propria virtù. – Ordini di milizia non valgono, inutili per gli aggressori le artiglierie, i moti della cavalleria impossibili: dieci mila uomini di qui possono respin ­gerne cinquantamila: il numero è d’ impaccio e forse rovina.
Ma il nemico non può venire grosso contro di noi. I Po ­poli gli fremono alle spalle come moltitudine di acque in tempesta. Le ire dei Popoli e del mare si stendono sopra la terra e i troni; le armate e le provincie spariscono. Non vi sbigottite per una sventura; i Popoli non muoiono mai: la tela che il ragno della tirannide trama laboriosamente in un secolo, è disfatta dal Popolo in un minuto di furore.

La difesa della terra nativa fu imposta dalla natura in tutti gli animali come uno istinto. La terra nativa ha diritto di essere di ­fesa da tutti coloro che ella nudrisce e ricovra pietosa nel suo seno; tutti i suoi figli hanno il sacro dovere di difenderla: chi manca alla natura manca a Dio, però che la natura sia la figlia primogenita del Signore.
O Sacerdoti, il calice dove la prima volta beveste con labbra tremanti il sangue di Cristo vi sarà tolto dal Croato. Quale legge vi sconsiglia dalla difesa della Patria? O piuttosto qual legge non v’impone difenderla? E vi ha un Tribunale nel mondo che non pa ­tisce appello; e questo sta nella propria coscienza: ponetevi, o Preti, la mano sul cuore; o ditemi se mancando alla difesa della Patria una voce non si muove di là dentro che vi chiama traditori! Tradendo la Patria avrete comune con Giuda la disperazione e lo inferno. Chi non ama la Patria odia Cristo; chi affligge la Patria trafigge Cristo.
Ora non si parla disunione con Roma, né di forma di governo; qui non entrano scrupoli né casi di coscienza: si tratta di difendere le nostre terre e le nostre vite. Se un Pontefice venisse, e dicesse che difendere la Patria è peccato, io gli spruzzerei l’acqua benedetta nel viso profferendo la formula: «va’ addietro Satana! » però che egli sarebbe il Demonio trasformato in Pontefice. E se le sue parole suonino vere, io ne chiamo in testimonio il Vangelo prima, e poi tutti i Dottori di Santa Madre Chiesa Cattolica.
Voi altri, che vi chiamate Conservatori, di leggieri compren ­dete che male conserva colui che acconsente a vedere lutto di ­sperso: fortuna, onore, libertà, a caro prezzo, con tanto sudore, con diuturni studii acquistate, tutto va in volta a modo di paglie trasportate dal turbine. Diventata l’Austria dispensiera di libertà, lascio considerare a voi qual sia per essere la parte che sfuggirà dai suoi artigli taglienti e sottili!
E se vi ha anche taluno che negl’intimi precordii faccia voti per la restaurazione, si rammenti che il suo Principe, non che difendesse la frontiera, ma spingesse i Toscani alla guerra di Lombardia; che dove il voto del suo cuore si compisse, il suo Principe gli direbbe: – perché hai consentito che mi venissero tolte la Lunigiana, e Massa, e Carrara? Di queste frontiere ha bisogno la Toscana se non intende rimanere esposta al primo invasore. Io lasciai più vasto lo Stato; per la tua codardia lo ri ­trovo diminuito. Va, tu non sei un servo fedele; tu mi stai ad ­dosso come lo insetto sopra la pianta. Io non iscambio la lealtà con la viltà. Vile fosti, vile rimanti, e sgombra dal mio co ­spetto.
E voi uomini ardenti di cui lo impeto ribocca come spuma! che bolle fuori del vaso, avvertite che quando ciò avviene, il fuoco si spegne e il liquore scema. Ogni cosa ha il suo tempo; il frutto mangiato immaturo allega i denti. Un fanciullo che stende la mano alla spada e non gli riesce sollevarla, diventa segno di compassione o di scemo. La bandiera della Repubblica non va affi ­data ad un braccio di tisico, ma di un gagliardo credente che la faccia trionfare con gloria, o cadere con onore. Bandiera e ban ­dieraio se avessero a sparire, devono tramontare dentro un mare di sangue; allora il bandieraio non sorgerà più, ma la bandiera come il sole tornerà ad affacciarsi in Oriente, aspettata dalle generazioni, benedetta dai popoli. La Repubblica ha da vivere, o ha da morire sopra i campi di battaglia; voi la fareste morire delle infermità dei pargoli. Sapete voi di che si nudrisce la Repubblica appena nata? Di midolle di Icone. Potete apprestarle questo alimento voi? Staremo a vederlo. Intanto la difesa della Patria anche per voi, e sopra tutti per voi, è obbligo santissimo. Imitate la mo ­destia e il valore dei giovani Cavalieri antichi: essi militavano con bianco scudo finché per qualche inclito gesto non avessero acqui ­stato il diritto di assumere la impresa. Voi avete lo scudo bian ­co; la occasione della prova è aperta innanzi a voi: se volete scrivervi Repubblica, scrivetela, ma come i martiri della chiesa di Cristo prima di morire tracciavano la propria fede sopra il ter ­reno, – col sangue.
Andate dunque, partite tutti, nel nome santo di Dio e della Patria. Io vi terrò sicure le case e le famiglie. Qualunque opinio ­ne singolare, intemperanza od enormezza, saranno da me acer ­bamente punite. La Legge è sovrana qui, e la Legge emana dall’Assemblea eletta dal voto universale del Popolo. Le Leggi dell’Assemblea, se intende riordinarsi il paese, hanno da venerarsi come comandamenti di Dio. Non già in augusta sala dove entra scarsa la luce del sole, tra lunghe ambagi ed inamabili discorsi, ma sui campi aperti, fra il torrente dei raggi di un sole di Mag ­gio, in mezzo al lampo delle armi, alla faccia del firmamento, al cospetto del nemico vinto, si ha da proclamare la più perfetta forma politica dello Stato per uomini perfetti: la Repubblica! – La Repubblica potrà nascere quando le avremo apparecchiato il battesimo di sangue delle nostre o delle vene nemiche – ciò non importa – purché sia battesimo di sangue.


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Bart