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STORIA: I MAESTRI: Le radici di Hitler

19 Marzo 2009

di Arturo Colombo
[dal “Corriere della Sera”, domenica 9 marzo 1969]  

Il nazismo ha costituito davvero un fenomeno im ­provviso e atipico nella sto ­ria tedesca? Oppure la po ­litica hitleriana ha rappre ­sentato il tragico sbocco di un processo degenerativo, che il drammaturgo Franz Grillparzer aveva già lucidamente intravisto nell’800 come fatale perversione «dall’umanità alla bestialità attraverso la nazionalità »?
L’interrogativo intorno al quale stanno discutendo or ­mai da decenni gli studiosi più autorevoli di tutto il mondo, torna attuale appena si aprono le prime pagine dell’opera di George L. Mos ­se, Le origini culturali del Terzo Reich, apparsa nella « Biblioteca di storia » diret ­ta da Rosario Romeo pres ­so Il Saggiatore (pp. 492, L. 3500), che offre – pur nel severo rigore dell’anali ­si storiografica – una del ­le letture più intelligenti e appassionanti da suggerire a quanti (soprattutto fra i gio ­vani) vogliono vedere chiaro come mai e perché un pae ­se così duramente sconfitto dalla prima guerra mondia ­le abbia potuto arrivare nel giro di pochi anni alle aber ­razioni e alle crudeltà della politica nazista.
 

Il mito del sangue

Contro le tesi di chi vor ­rebbe giudicare il nazismo un « momento » spontaneo, una « sfasatura » imprevista, senza stretti legami né sta ­bili radici col passato, l’as ­sunto di Mosse (non diver ­samente da quanto hanno fatto altri interpreti: per esempio, Peter Vierek o Hans Kohn) è diretto a ap ­profondire i rapporti tra il nazionalsocialismo e le va ­rie correnti ideologico-culturali sviluppatesi tra la fine dell’800 e il primo ‘900, così da cogliere nelle parole e nelle azioni dei protagonisti del Terzo Reich il dramma ­tico punto dì arrivo di quei filoni dottrinari (o meglio: pseudo – dottrinari) che ave ­vano diffuso il mito del san ­gue e della razza e avevano alimentato le fosche paure di un’assurda « minaccia giu ­daica ».
Infatti, il filo conduttore del lucido discorso di Mosse prende avvio dal cosiddetto « movimento nazional-patriottico » di ispirazione roman ­tica, per seguire il diffon ­dersi tra l’opinione pubblica dei principali temi, poi de ­stinati a convergere nella piattaforma ideologica e po ­litica che aprirà la strada all’avvento di Hitler al po ­tere. Diventa facile avverti ­re subito come il pesante ri ­fiuto dei neo-romantici a te ­ner fede al primato della ra ­gione per inseguire i nuovi orizzonti dell’irrazionalismo, abbia finito non soltanto per imprimere una pesante bat ­tuta d’arresto al grandioso patrimonio del pensiero clas ­sico germanico ma anche a alimentare equivoche ideolo ­gie a sfondo mistico (o « emozionale » ), che produr ­ranno gravi conseguenze pro ­prio nell’ambito della socie ­tà tedesca.
Da questo punto di vista, il panorama della crisi che travaglierà tutto il corso del ­la Germania del nostro se ­colo appare nella sua dram ­matica ampiezza, perché la rapida, crescente febbre na ­zionalistica, che cercava an ­siosamente di « trascendere la banalità del mondo bor ­ghese », e all’ombra del pan-germanesimo guglielmino pre ­tendeva di vedere nel tede ­sco l’unico vero popolo su ­periore, destinato a imporsi e a ottenere la supremazia su tutti gli altri, lungi dall’esaurirsi in un fenomeno isolato e marginale, trova preziosi elementi di affinità nei gruppi, che all’insegna di analoghi richiami irrazio ­nali andranno esaltando il vitalismo, la morale eroica, le virtù guerriere delle genti teutoniche e concorreranno a far scoppiare la più terrifi ­cante lebbra razzista.

L’ondata antisemita

Non solo. Una simile pre ­tesa a mantenere e poten ­ziare un’ipotetica « purezza razziale », di cui esclusiva ­mente i tedeschi avrebbero goduto l’incondizionato privi ­legio (come sosteneva Chamberlain e ripeteranno i na ­zisti, con Rosemberg alla te ­sta) metteva capo a qualco ­sa di ancor più pericoloso e aberrante: a quella massic ­cia ondata di antisemitismo, che doveva sconvolgere lar ­ghi strati sociali fin dal pri ­mo ‘900, allargandosi a mac ­chia d’olio negli anni di fer ­mento dell’immediato dopo ­guerra, fino a raggiungere il traguardo più raccapriccian ­te con le leggi di Norimber ­ga « per la protezione e l’o ­nore del sangue tedesco » e la campagna di sterminio de ­gli ebrei, accusati di incar ­nare l’antitesi insanabile del ­l’anima tedesca e di essere i nemici del vivere civile, i diretti responsabili di ogni disfunzione nell’ordine so ­ciale.
Proprio seguendo le tappe involutive,  che  dal crollo dell’impero porteranno alle speranze deluse dell’esperien ­za di Weimar, offrendo il di ­sco verde all’avventura hitleriana, Mosse è in grado di mettere in luce quale e quanta sia stata la continui ­tà storica della Germania, impressa nelle radici cultu ­rali del Terzo Reich. «Il gennaio del 1933 – sostiene in polemica con Gerhard Ritter a proposito delle ori ­gini del nazismo – non fu un accidente storico, ma il risultato di una lunga preparazione ». È un giudizio drastico e severissimo, che riflette il principio ispirato ­re dell’intera opera e ne chiarisce la forte carica eti ­co-politica, destinata a servi ­re da vivida testimonianza per quanti rifiutano i falsi miti della nazione e della razza e continuano a crede ­re nella difficile conquista del primato della ragione. Che è anche il primato del ­la libertà.


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1 commento

  1. Commento by Gian Gabriele Benedetti — 19 Marzo 2009 @ 21:59

    Spesso mi domando come possa un popolo venir totalmente o quasi condizionato da teorie aberranti quali quelle espresse dal Nazismo. Una grande responsabilità, in questo senso, viene anche dalla lettura, spesso anche errata o esasperata, di certe opere, che hanno portato a plagiare un popolo, con i princìpi enunciati ed assimilati tout-court. È anche così che nascono e proliferano i regimi totalitari. Certamente una buona dose di colpa, nel caso del Nazismo, spetta alla superbia teutonica, che, a torto, considerava la superiorità dei Tedeschi sugli altri popoli.
    Nella parte finale dell’articolo, del resto molto interessante, si parla di “patrimonio della ragione che è anche il primato della libertà”. Io sostengo, però, che la ragione di per sé può essere troppo fredda, se non è supportata da una buona dose di sentimento
    Gian Gabriele Benedetti

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